Il centrosinistra conquista Firenze, Bari, Campobasso, Perugia e Potenza 

Nella grande sfida dei ballottaggi alla il centrosinistra vince nelle grandi città e conquista tutti e 5 i capoluoghi di Regione in palio (6 considerando Cagliari). Le buone notizie per la maggioranza di governo vengono invece da Lecce, dove torna Adriana Poli Bortone, RovigoVerbania e Caltanissetta, Comuni che cambiano colore passando al centrodestra. A vincere, però, è ancora una volta l’astensionismo con l'affluenza finale alle urne che si ferma, come per le Europee, sotto il 50% dei votanti: 47,71%, in forte calo rispetto al primo turno quando era stata del 62,83%. Intanto il centrosinistra canta vittoria, in primis la segretaria del Pd Elly Schlein: “Una vittoria storica per il Pd e il campo progressista” e rivendica la vittoria a FirenzeBariCampobassoPerugiaPotenza e Cagliari. La segretaria Dem, a un'ora dalla chiusura dei seggi, ha chiamato per complimentarsi con i neo-sindaci di Firenze, Sara Funaro, e di Bari, Vito Leccese (poi chiamerà anche quelli di Perugia, Vibo Valentia e Campobasso). 

La vittoria nei due capoluoghi di Regione era nell'aria e arriva con percentuali molto alte per l'ex capo di gabinetto di Antonio Decaro, Vito Leccese, che s’impone su Fabio Romito con oltre il 70% dei voti. Ma anche Sara Funaro diventa la prima donna alla guida di Palazzo Vecchio col 60% delle preferenze sull'ex direttore degli Uffizi Eike Schmidt al 39,4%. Meno scontata la vittoria del campo largo a Perugia con Vittoria Ferdinandi, anche qui la prima volta di una sindaca donna, che ottiene il 59,12% battendo la collega Margherita Scoccia. Non scontata a sinistra anche la vittoria di Vincenzo Telesca a Potenza che ribalta il risultato del primo turno con il 64% dei voti. Centrosinistra vittorioso anche a Cremona. Dall'altro lato FdI rivendica di aver strappato più Comuni all'altra coalizione, 4 a 3, sottolinea il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli. Se si considera anche l'esito del primo turno, sui 29 Comuni capoluogo al voto, 17 vanno al centrosinistra, 10 al centrodestra e 2 a candidati civici.

(leggi lo speciale: Elezioni amministrative: risultati del ballottaggio)

È scontro tra la Meloni e la Schlein

All'indomani dei ballottaggi tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein scoppia la tensione. È la premier, con un video postato sui social, a sferrare per prima l'attacco la leader FdI torna a difendere, da “patriota”, l'autonomia differenziata e accusa le opposizioni di essere “nervose” e usare “irresponsabili toni da guerra civile”: Meloni ricorda chi in aula alla Camera ha evocato piazzale Loreto (“in pratica io dovrei essere massacrata e appesa a testa in giù”) e le “liste di proscrizione della sinistra” sui parlamentari del Sud che hanno votato il ddl Calderoli “per incitare l'odio nei loro confronti”. Per la premier, insomma, esiste una sinistra che si sta radicalizzando e che usa “parole e modi violenti”, per mettere in campo “una difesa disperata dello status quo”. Immediata la replica di Schlein: “Non so che film stia vedendo Meloni, non è la prima volta che lancia allarmismi. Ognuno fa l'analisi della sconfitta con gli strumenti che ha. Capisco sia difficile digerire la sonora sconfitta e il tentativo di far parlare d'altro dopo un 6 a 0 tennistico”. 

La leader dem intende continuare a portare avanti in modo “testardamente unitario” le battaglie sostenute durante tutta la campagna elettorale: “Il messaggio a Giorgia Meloni è chiaro: basta con i tagli alla sanità, basta con l'autonomia che spacca il Paese”. La leader di FdI punge Schlein anche sul premierato, ma la Schlein attacca: “Meloni mi sembra un po' a corto di argomenti”, e punta il dito contro la proposta arrivata dal presidente del Senato Ignazio La Russa per una “riflessione” sulla legge elettorale per i sindaci e una revisione del doppio turno. “Non è che, quando si perde si aboliscono le elezioni. Non si scappa con il pallone in mano. Non è colpa degli elettori se la destra ha perso, è colpa loro. Noi non ci stiamo, e troviamo grave e sconveniente che la seconda carica dello Stato parli di cambiare le regole a pochi minuti dalla sconfitta, manca il senso delle istituzioni”. 

Meloni vede Orban: strade diverse in Ue ma asse sui temi

Lunedì la premier Giorgia Meloni ha ricevuto Viktor Orban. La riunione fotografa due strategie politiche differenti nella nuova Ue, ma un asse rinsaldato su temi come migrazioni e denatalità. La Meloni afferma di “condividerne le priorità, a partire dalla decisione di inserire la sfida demografica”, e Orban rilancia annunciando che in tema di migrazioni “appoggerà tutto ciò che la premier ha proposto”, perché “o c'è un progetto di sviluppo per l'Africa o ci sarà una migrazione di massa che non potremo gestire”. La linea comune si estende anche alla difesa e alla competitività. Le posizioni differenti sulla guerra in Ucraina, invece, costituiscono il bivio da cui i due premier prendono strade diverse: Meloni dialogante con il Ppe e al lavoro per un posto di rilievo per l'Italia in Commissione; Orban nettamente all'opposizione e durissimo contro “il patto partitico sui top jobs”. “L'Italia è uno dei nostri alleati più importanti nel raggiungimento dei nostri obiettivi nel campo della migrazione e della competitività”, twitta Orban che poi chiarisce “ci impegniamo a rafforzare i partiti di destra europei anche se non siamo nello stesso gruppo”. 

La Meloni affronta in maniera soft il principale ostacolo, quello di Ecr, a un ingresso di Orban, ovvero il conflitto ucraino: “Le nostre posizioni non sono sempre coincidenti ma apprezzo la posizione ungherese in Ue e Nato che consente agli alleati di assumere decisioni importanti anche quando non è d'accordo. Con Viktor abbiamo ribadito il sostegno all'indipendenza e sovranità ucraina”. La premier, insomma, gioca su due piani. Da un lato, forte degli ottimi rapporti con Ursula von der Leyen e dell'appoggio di Antonio Tajani nel Ppe, si prepara a dialogare con la maggioranza e lavora sul tavolo dei top jobs per ottenere quanto più possibile per l'Italia. Dall'altro continua a tessere la rete con le altre destre europee tenendo alti i cavalli di battaglia comuni per intensificare il pressing esterno sui temi. L'ipotesi per i conservatori è quella di un appoggio esterno a un bis di von der Leyen. 

Le opposizioni attaccano Meloni sul rischio d’isolamento dell’Italia 

Le opposizioni attaccano Giorgia Meloni sul modo con cui si è mossa a Bruxelles dopo le Europee. L'occasione sono state le comunicazioni in Parlamento in vista del Consiglio europeo. E così, uno dopo l'altro, sono intervenuti un po' tutti: Elly SchleinGiuseppe ConteAngelo BonelliRiccardo MagiMatteo Renzi e anche Carlo Calenda. Hanno dominato i toni del sarcasmo: “Trovo positivo che la presidente del Consiglio si accodi a chi come noi l'Europa vuole cambiarla e non uscirne”, ha detto Schlein preparando l'affondo: “Mi aspetto che nella discussione” in Ue “porti le priorità del Paese e non della sua famiglia politica, perché spesso le due cose non coincidono”. Il ruolo della premier anche di capo dell'Ecr è stato più volte nel mirino: “Ci aspettavamo le comunicazioni della presidente del consiglio italiana, abbiamo invece ascoltato il comizio della leader del partito dei conservatori”, le ha detto Riccardo Magi

Anche l'esclusione dai top job, dai ruoli che contano in Ue, è stata tirata in ballo spesso: “Lei ha detto che non farà inciuci con questa sinistra” le ha ricordato Schlein, “Siamo noi a non essere disponibili. Se poi i socialisti in Europa hanno più voti di voi, non vi lamentate se non vogliamo allearci con gli antieuropeisti”. Per Giuseppe Conte la “Meloni vada in Europa con forza a prendersi un posto di prestigio nella Commissione. Visto che si tratta di un incarico di prestigio, non lo affidiamo a un parente. Per una volta applichiamo il principio di meritocrazia”. Sarcastico anche Matteo Renzi: Meloni “ci ha raccontato una storia fra la grande statista e la piccola fiammiferaia. La grande statista che vuol cambiare il mondo e la piccola fiammiferaia che si lamenta perché non l'hanno chiamata ai caminetti. Forse non è che non hanno rispetto per l'Italia, ma non vogliono lei e le sue idee politiche”. 

L'Europa sceglie ancora la maggioranza Ursula, l'Italia si astiene

leader Ue blindano l'accordo confezionato da popolarisocialisti e liberali e confermano reincarico a Ursula von der Leyen. Il sì alla triade che la tedesca formerà per i prossimi cinque anni con Kaja Kallas nelle vesti di Alto rappresentante Ue e Antonio Costa a guidare i lavori del Consiglio Ue ha trovato la maggioranza qualificata. Nonostante il negoziato serrato trainato dai popolari Ue per convincere anche l'esclusa Giorgia Meloni, l'Italia ha bocciato l'intesa astenendosi sul nome della tedesca e votando contro l'estone e il portoghese. L'annuncio, è arrivato dopo l'ok dei leader all'agenda strategica per il prossimo mandato e dopo circa un'ora di confronto sulle nomine, è subito stato celebrato da Costa e Kallas. 

La giornata era però iniziata con un indizio inequivocabile del cambio di strategia offerto dal presidente del Ppe Manfred Weber per ribaltare l'approccio che nei giorni scorsi aveva tagliato fuori la premier dalla trattativa lampo per portare a casa il negoziato. “L'Italia è un Paese del G7, leader nell'Ue” e i suoi “interessi”, è stato il monito, vanno presi in considerazione. Poi, uno dopo l'altro, gli esponenti di punta dei popolari hanno teso la mano alla premier italiana, negando che sia stata esclusa dai negoziati, parlando di “un malinteso” e di ragioni “politiche” e matematiche di maggioranza. E confermando, per bocca del premier polacco e negoziatore Donald Tusk, che “non c'è Europa senza Italia” e che nessuna decisione può essere presa senza la sua leader. 

La linea è stata ribadita anche dal vicepremier Antonio Tajani che ha messo più volte in luce le “convergenze” tra il suo Ppe e l'Ecr della premier su più fronti, dall'Ucraina alla lotta alla migrazione clandestina, tornando a invocare un dialogo tra le due famiglie utile a dare nuova forma all'Europa e a spostare il baricentro della futura maggioranza che non dovrebbe, a giudizio del leader di Fi, in alcun modo coinvolgere anche i verdi. Geometrie del tutto opposte a quelle dei socialisti che sono invece tornati a puntellare la loro linea rossa: “Nessuna collaborazione con Ecr” e “l'estrema destra”; l’hanno ribadito riunendosi a porte chiuse prima dell'avvio del summit e lasciando parlare il capo negoziatore Olaf Scholz, voce anche dell'omologo e amico spagnolo Pedro Sanchez assente giustificato a Bruxelles per la morte del suocero. E poi, più apertamente, con le parole nette della leader del Pd Elly Schlein, a ribadire il muro a “qualsiasi tipo di alleanza con l'Ecr di Giorgia Meloni e con Id di Marine Le Pen e Matteo Salvini”. L'unica via per allargare la maggioranza, è stata l'indicazione della dem, è rivolgersi ad “altre famiglie democratiche come i verdi europei, con cui ci sono tanti obiettivi condivisi come la difesa del Green Deal”. 

Meloni attacca: nomine Ue “sbagliate nel metodo e nel merito”

Nella notte in cui il Consiglio europeo dà il via libera alle nuove cariche apicali dell'Ue, Giorgia Meloni si astiene sulla riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue e vota no alla designazione del socialista Antonio Costa e della liberale Kaja Kallas. La premier sceglie la linea dura dopo aver tuonato in Parlamento contro la “logica dei caminetti” e la “conventio ad excludendum” che a suo dire Ppe, S&D e Renew avrebbero attuato nei confronti dell'Italia. Al termine dei lavori la Meloni ribadisce: “La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni”. In attesa del pronunciamento del Parlamento Ue, che dovrà esprimersi sulla nomina di von der Leyen, i riflettori sono puntati sulle trattative per l'assegnazione dei Commissari: “Continuiamo a lavorare per dare finalmente all'Italia il peso che le compete in Europa”. 

Calato il sipario sul Consiglio Ue da Chigi spiegano la scelta della Meloni e rimarcano come la premier italiana abbia esternato la propria contrarietà al metodo. Per quanto riguarda la nomina di von der Leyen a presidente della Commissione, sottolineano le stesse fonti, “si è deciso per un voto di astensione nel rispetto delle diverse valutazioni tra i partiti della maggioranza di governo” dove coesistono orientamenti differenti come quello di Antonio Tajani. Palazzo Chigi ora aspetta di conoscere “le linee programmatiche” di von der Leyen e “aprire una negoziazione sul ruolo dell'Italia”, che Roma intende far valere chiedendo una vicepresidenza e un Commissario con deleghe pesanti: tra i nomi in pole c'è quello ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, che potrebbe accasarsi a Bruxelles alla Coesione e al Recovery Plan. 

Le opposizioni lavoro al tavolo per il referendum sull'autonomia

La riforma dell'autonomia differenziata è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, ma le opposizioni si sono già attivate. Il tavolo per il referendum si è riunito lunedì scorso e sabato lo farà di nuovo, per ragionare sui quesiti da sottoporre alla Corte costituzionale. Il lavoro è ancora di carattere più tecnico che politico, ma qualche mossa si delinea, come l'intenzione di far pressione sul ministero della Giustizia affinché vari la piattaforma per la raccolta delle firme on line. La scadenza per presentarle è il 30 settembre e le vacanze estive non aiutano le iniziative ai gazebo. Intanto, il Governo ha sottolineato i tempi celeri con cui Mattarella ha promulgato la riforma: “L'autonomia è una legge importante” ha detto la Ministra Maria Elisabetta Casellati. Per le opposizioni, al tavolo per il referendum si sono sedute “le rappresentanze sociali, come sindacati e associazioni e rappresentanti dei partiti: per adesso, oltre al M5S, il Pd e Avs. L'idea è costituire un coordinamento”; anche Azione e +Europa hanno risposto. La platea è destinata ad allargarsi con la nascita del comitato promotore: Cgil e Uil hanno già annunciato che ne faranno parte, Azione e Iv potranno decidere in quali forme dare il loro contributo, se partecipando direttamente alla macchina organizzativa o sponsorizzando la raccolta delle firme e il voto.  

Cori e insulti antisemiti, dimissioni tra giovani di FdI dopo l’inchiesta di Fanpage

Cadono le prime teste tra i giovani di FdI. La seconda puntata dell'inchiesta di Fanpage travolge i militanti di Gioventù nazionale, la “squadra primavera” del partito di Giorgia Meloni, protagonisti di insulti antisemiti, razzisti e frasi in cui esaltano il nazismo. Fino alle risate contro la senatrice ebrea e meloniana Ester Mieli. Troppo, insomma, per lasciar correre. Così a parte la solidarietà corale alla senatrice; a meno di 24 ore dalla proiezione al Monk di Roma dell'inchiesta e in linea con il pugno duro anticipato da FdI, si dimettono le militanti Flaminia Pace ed Elisa Segnini, misure invocate da tutte le opposizioni che però condannano il “silenzio colpevole” della premier e leader di FdI e chiedono lo stop di Gioventù nazionale. Nell'imbarazzo e gelo che avvolge i meloniani in Parlamento, arriva la reprimenda del partito per bocca di Ignazio La Russa che, da presidente del Senato e colonnello di FdI, solidarizza con Mieli “vittima di frasi inaccettabili da parte di alcuni militanti di Gioventù nazionale”, tracciando un solco netto rispetto ai valori del partito. Poi il presidente dei deputati Tommaso Foti scandisce ai cronisti: “In FdI chi sbaglia paga, state tranquilli”. Anche il fondatore e ministro Guido Crosetto si smarca da insulti e offese. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 25 giugno, i primi dopo le elezioni europee e amministrative, tra i partiti del centrodestra si nota un grande balzo Fratelli d’Italia con + 2,0%, e Lega con +0,5%Il partito di Giorgia Meloni si conferma primo partito italiano con il 29,0%. In seconda battuta il PD, che guadagna terreno e vede il distacco da FdI ridursi al 5,5%. Terza forza nazionale in rallentamento il Movimento 5 Stelle (10,0%). Nella galassia delle opposizioni, la sorpresa delle europee AVS sale al 7,1%, mentre i centristi dopo la sconfitta europea sono stati rilevati nuovamente singolarmente con Azione (4,2%) e +Europa (2,2%) e IV (1,7). Chiudono il quadro settimanale le rilevazioni sul movimento di Cateno de Luca Sud chiama Nord dato al 1,2% e il partito alleato di governo guidato da Maurizio Lupi Noi Moderati fermo al 1,0%.

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, Noi Moderati) sale rimanendo al comando con il 47,5%. Il centrosinistra è secondo in crescita con il 30,6%; fuori da ogni alleanza, il M5S, perde 5 punti percentuale e registra un 10,0%. In flessione di 1,3% anche il Centro, che raggiunge il 7,3%.

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  1. Il centrosinistra conquista Firenze, Bari, Campobasso, Perugia e Potenza 
  2. È scontro tra la Meloni e la Schlein
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