Dal G7 arriva l’accordo sugli asset russi per l’Ucraina
Un ulteriore sostegno all'Ucraina di circa 50 miliardi di dollari grazie agli extraprofitti derivanti dagli asset russi. Nel primo giorno del G7 i leader raggiungono l'accordo su nuovi aiuti all’Ucraina; riuniti a Borgo Egnazia, in Puglia, i Capi di Stato e di Governo dei 7 (Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Canada, Giappone) hanno trovato un punto di caduta: concedere a Kiev fino a 50 miliardi di dollari in prestiti garantiti dagli interessi su 300 miliardi di euro di asset della Banca centrale russa congelati dall’Ue e dai paesi del G7. La richiesta aveva visto nei giorni scorsi Parigi e Berlino, e in parte anche Roma, su posizioni di maggior prudenza a tutela della stabilità dei mercati finanziari. Ieri l'accordo politico, in cui il G7 ha rinnovato il patto per il sostegno politico, militare ed economico all'Ucraina senza incertezze, complice anche la presenza a Fasano del presidente ucraino Volodomir Zelensky che ha partecipato a una sessione allargata del G7. “Non si tratta di una confisca ma di profitti che maturano”, ha assicurato la premier italiana Giorgia Meloni parlando di un “risultato non scontato”. “Ora bisogna creare nel più breve tempo possibile i presupposti tecnici per l'attuazione. Ma sono contento che tutti gli sforzi delle ultime settimane e mesi abbiano dato i loro frutti”, ha specificato il cancelliere tedesco Olaf Scholz parlando di una “decisione storica”, di un “passo importante, buono e necessario” compiuto “al momento giusto”.
Nella stessa giornata, Zelensky ha siglato accordi di sicurezza decennale con Stati Uniti e Giappone. “Oggi, gli Stati Uniti mandano un segnale forte del nostro fermo sostegno all'Ucraina”, ha annunciato Biden in una conferenza stampa congiunta con l'omologo ucraino; di fatto, “solo con il nostro sostegno l'Ucraina potrà resistere”. In particolare, gli Usa riconoscono come necessaria per la sicurezza dell'Ucraina una forza militare significativa, capacità solide e investimenti sostenuti nella sua base industriale di difesa, il tutto coerente con gli standard della Nato. E l'impegno americano in questa direzione sarà sostanziale per dieci anni. Il presidente ucraino ha ringraziato i suoi alleati, invitandoli però ad “accelerare” le consegne di armi e munizioni: “Stiamo ancora cercando ulteriori Patriot”, ha ricordato, “Vi chiedo anche di fare tutto il possibile per accelerare l'addestramento dei piloti di F-16”. L’esercito ucraino, privo di munizioni e di uomini, è in difficoltà, soprattutto a causa del ritardo nella consegna dei rifornimenti militari.
Al G7 è scontro tra Meloni e Macron sull'aborto
È tensione e scontro tra il presidente francese Emanuel Macron e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulla questione aborto. Ieri mattina c’era stata la conferma che nella bozza delle conclusioni, che saranno diffuse oggi, era stato cancellato il riferimento (inserito al G7 di Hiroshima) alla necessità di garantire “un accesso effettivo e sicuro all'aborto”, un fatto che avrebbe suscitato il disappunto della Francia, che ha puntato il dito contro l'Italia. Forse anche per questo, il saluto tra i due era apparso “imbarazzato” agli osservatori. La premier gli ha teso la mano e i due si sono avvicinati per uno scatto. Nel pomeriggio la Presidenza italiana ha provato a chiudere il caso, mostrando però per intero l'irritazione per quella che è stata giudicata come una “scorrettezza”. Secondo le fonti italiane, infatti, è vero che nella dichiarazione non c'è la parola aborto però gli impegni di Hiroshima “vengono tutti riconfermati”, dunque “non si fa nessun passo indietro”. Evidentemente, per Roma, da qualcuno è stato “montato un caso” con “un po' di strumentalizzazione elettorale o post-elettorale”. Tempo due ore, terminati i lavori e prima della cena con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Macron ha sferrato il suo attacco a viso aperto: “La Francia ha integrato nella sua Costituzione il diritto delle donne all'aborto, la libertà di disporre del proprio corpo. Queste non sono le stesse sensibilità che esistono oggi nel vostro Paese. Me ne rammarico”.
Parole che, appena battute dalle agenzie, fanno suonare l'allarme a Palazzo Chigi. Questa volta è Giorgia Meloni che replica in prima persona: “La polemica sulla presenza o meno della parola aborto nelle conclusioni è totalmente pretestuosa. Le conclusioni di Borgo Egnazia richiamano quelle di Hiroshima, nelle quali abbiamo già approvato lo scorso anno la necessità di garantire che l'aborto sia sicuro e legale”. È un fatto assodato che nessuno ha mai chiesto di fare passi indietro su questo. Le conclusioni, infatti, se non introducono nuovi argomenti, per non essere inutilmente ripetitive, richiamano semplicemente quanto già dichiarato nei precedenti vertici. Non c'è alcuna ragione di polemizzare su temi che già da tempo ci trovano d'accordo. E credo sia profondamente sbagliato, in tempi difficili come questi”, è l'accusa all'inquilino dell'Eliseo, “fare campagna elettorale utilizzando un forum prezioso come il G7”. Il saluto all'arrivo al Castello Svevo di Brindisi, ieri sera, fa capire che le prossime ore saranno all'insegna della tensione: Macron, dopo aver salutato con cordialità Mattarella e la figlia Laura, si è girato verso Meloni cui ha fatto un baciamano ricambiato da un freddo sorriso. Tra i due anche qualche parola.
Mattarella presenzia alla cena con i leader del G7
Il G7 si concede una serata particolare, tra la bellezza delle mura del Castello Svevo di Brindisi e la profondità dei temi di stretta attualità. La cena offerta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in onore dei 7 Grandi della Terra riuniti in Puglia è l'occasione per riflettere sulla prima giornata di lavori, anche se il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è assente perché affaticato. Il Capo dello Stato, arrivato nel pomeriggio direttamente da Roma, accoglie uno a uno i leader con accanto la premier Giorgia Meloni. Dopo la foto di gruppo, la riunione si trasferisce alla sala superiore, dove Mattarella tiene un breve discorso in cui tocca diversi argomenti, dalla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina al conflitto in Medio Oriente con i negoziati per il cessate il fuoco che “devono rappresentare una tappa per intraprendere un concreto percorso politico verso una pace duratura, che non può che fondarsi sulla soluzione a due Stati”.
Ma anche i “vecchi fantasmi” che mettono “a dura prova la convivenza tra i popoli” e la capacità del G7 di “adeguarsi ai mutamenti del contesto internazionale”, come dimostra il vertice di Borgo Egnazia in cui “nuove tematiche, dallo sviluppo sostenibile del continente africano, ai flussi migratori, alla rivoluzione indotta dall’intelligenza artificiale, trovano giusto spazio”. Poi la considerazione di Mattarella sul futuro: “La capacità di costruire partenariati con quella parte del mondo che, nelle fisiologiche differenze, è disponibile al dialogo sulle nostre opzioni, è il naturale orizzonte al quale guardare”. Dopo le parole del Presidente della Repubblica, il via alla cena con i leader, finita la quale Mattarella torna a Roma al Quirinale, gli altri leader nei rispettivi alberghi, per prepararsi al meglio alla seconda giornata di lavori, con l'Intelligenza artificiale al centro e la presenza di Papa Francesco, il primo Pontefice a prendere parte a un G7.
Il G7 è un primo snodo per le nomine europee
I leader delle tre grandi potenze europee si sono incontrati al G7 in Puglia per la prima volta dopo il voto. È facile immaginare che un primo scambio sulle nomine europee ci sia stato, almeno tra delegazioni. Sulla partita dei top jobs europei la posizione del cancelliere tedesco Olaf Scholz è nota: nonostante il suo Governo sia frutto di una coalizione tra socialisti, verdi e liberali, la linea è non perdere la presidenza della Commissione europea e continuare a farla gestire dalla popolare Ursula von der Leyen. Questo è il primo scenario, che rispetterebbe il sistema degli spitzenkandidaten. La scelta, tuttavia, spetta al Consiglio europeo, a maggioranza qualificata, che dovrà tenere conto dei risultati elettorali. Prima del Consiglio del 27 e 28 giugno ci sarà già un indirizzo che emergerà lunedì prossimo alla cena informale dei leader Ue. Cinque anni fa fu proprio il presidente Emanuel Macron a mandare tutto all'aria, facendo bocciare il candidato popolare Manfred Weber e tirando fuori dal cilindro l'ex ministra tedesca Ursula von der Leyen.
Ora il capo dell'Eliseo non ha ancora scoperto le carte, ma dopo il Consiglio europeo di aprile disse che il presidente della Commissione non deve essere troppo politicizzato, come a dire che von der Leyen lo era diventata scendendo in campo con il Ppe, dichiarazioni che fanno il paio con quelle del commissario francese Thierry Breton dopo il congresso di Bucarest che fece notare come metà partito non la sosteneva. Il ruolo di Macron sarà decisivo e si intreccia con l'azzardo di aver convocato le elezioni in Francia il 30 giugno. Altrettanto cruciale saranno le scelte che opererà Giorgia Meloni, che sarà chiamata a fare una scelta di campo, accettare l'offerta del Ppe di entrare nella maggioranza europea, necessariamente con liberali e socialisti, volendo ottenendo in cambio un Commissario di peso con la vicepresidenza e magari anche l'Alto rappresentante, oppure guidare un'asse di destra, magari con i lepenisti una volta al governo a Parigi.
Le scelte riguardano anche quelle di Ecr, del cui partito Meloni è presidente, e si vedranno nella composizione del gruppo parlamentare. Mercoledì Ecr tornerà a vedersi, anche in vista della riunione del 26 giugno che definirà la presidenza. Uno dei nodi rimane come rispondere alla richiesta di Viktor Orban, che con il Fidesz, potrebbe portare in dote altri undici eurodeputati. Il gruppo sta crescendo ed è arrivato a 76 membri a poca distanza dai 79 dei liberali di Renew. In Ecr ora è FdI la prima delegazione, con 24 membri, mentre i polacchi del Pis scendono a 20 componenti; da questi ultimi ci sarebbe un via libera all'ingresso di Orban, mentre sarebbe pronti ad andarsene i Democratici svedesi, con 3 eurodeputati, così come il partito Ods del premier ceco Petr Fiala, che conta altri 3 eurodeputati. La scelta non sarebbe gradita nemmeno ai nazionalisti fiamminghi della N-VA, anche loro con 3 eletti e che potrebbero esprimere anche il prossimo premier in Belgio.
È ancora polemica sulla rissa alla Camera, opposizioni in piazza martedì
Tensione e bagarre, con le opposizioni che annunciano la piazza e Lorenzo Fontana che certifica le sanzioni per diversi parlamentari dopo la rissa in Aula: 15 giorni di sospensione per Igor Iezzi della Lega e un pacchetto di 7 giorni per Federico Mollicone, Gerolamo Cangiano ed Enzo Amich, tutti e tre di Fdi. Nelle maglie della giustizia dell'ufficio di presidenza finiscono anche Domenico Furgiuele, altro leghista, e il Pd Nico Stumpo (7 giorni anche a loro), nonché altri 4 giorni per il pentastellato Leonardo Donno. A casa per 3 giorni ci dovranno stare anche Vincenzo Amendola (Pd) e Stefano Candiani (Lega); due giorni per Arturo Scotto e Claudio Stefanazzi, altri due parlamentari dem. Le sanzioni non piacciono a Pd e M5S per il fatto che, a loro avviso, sarebbero stati messi sullo stesso piano aggrediti e aggressori. Dopo i disordini alla Camera un deputato del M5S è finito al pronto soccorso e il giorno dopo il clima è rimasto tesissimo.
A Palazzo Madama, dove è in discussione il premierato, le senatrici di opposizione hanno occupato i banchi del governo. A Montecitorio, i primi passi verso l'autonomia sono stati accompagnati dalle note di “Bella Ciao” e pure da grida come “Fuori i fascisti”, in risposta al vicesegretario della Lega Andrea Crippa, che aveva detto: “Io credo che richiamare il comunismo” con Bella ciao, “sia un po' peggio che richiamare gli incursori della Marina”. In entrambi i rami del Parlamento, sedute sospese più volte e forze di minoranza che hanno continuato a sventolare i tricolori, abbandonando l'Aula; alla protesta non hanno partecipato i centristi. Per martedì, quando è atteso il voto finale sul premierato, le opposizioni hanno convocato una manifestazione a Roma: “Non possiamo accettare che anche il Paese sia ostaggio di questo clima di intimidazioni continue”. L'invito è di portare le bandiere dell'Italia.
Tutto questo accadeva mentre era in corso il “l'istruttoria” sulla bagarre a Montecitorio. Il presidente della Camera e i questori hanno visionato le immagini e ascoltato i protagonisti per ore. Nei corridoi di Montecitorio si sovrapponevano le voci di un possibile rinvio del verdetto, anche alla luce del fatto che alcuni parlamentari coinvolti non si erano presentati a testimoniare, come Domenico Furgiuele e Igor Iezzi, un quadro che ha dato la sensazione di un vero e proprio braccio di ferro all'interno della maggioranza. Alla fine restano i fatti e le parole del presidente Fontana: “Non ci possono essere comportamenti che minano la credibilità” della Camera. Quello che è accaduto in Aula è stata “un'aggressione”, ha protestato la segretaria Pd Elly Schlein. La versione M5S l'ha data il presidente Giuseppe Conte: “Il nostro deputato Donno voleva semplicemente consegnare il nostro tricolore al Ministro Calderoli. Ne è nata una reazione inaccettabile. Lo hanno aggredito tanti deputati delle forze di maggioranza con minacce, spintoni, cazzotti e calci”. Donno ha annunciato denunce. In attesa della manifestazione di martedì, è scesa in piazza la Cgil con un sit-in di fronte a Montecitorio alla quale si sono unite delegazioni del Pd, Avs e M5S.