Tensioni con la Lega, ma Meloni chiede l’unità del centrodestra
A più di due mesi dalle elezioni europee non è tanto il duello con Elly Schlein che va in scena oramai praticamente tutti i giorni, ma quello tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. I due non si incrociano dai giorni dell'abbraccio a favore di telecamere a Montecitorio, ma si rivedranno sul palco insieme il 19 aprile al comizio finale del centrodestra unito per Vito Bardi in Basilicata. E il leader della Lega non perde occasione per marcare la distanza da FdI e mettere le mani avanti rispetto alle scelte che saranno da fare dopo il 9 giugno. Ricorda che il centrodestra è sempre stato “su posizioni diverse in Europa” ma insiste: “Chi sceglie la Lega sceglie chi non si alleerà mai con la sinistra”, un punto, quello delle alleanze, che anche per la premier non è in discussione. A sé sarà la trattativa per costruire la nuova Commissione all'indomani del voto, cui tutti i Governi partecipano e che votano proprio in virtù di quelle intese.
FdI stavolta non potrà sottrarsi, perché l'intesa sulla presidenza porta con sé anche quella sui portafogli dei Commissari da affidare ai singoli Paesi. Mentre Matteo Salvini conferma di non avere intenzione di candidarsi alle europee, Giorgia Meloni non avrebbe ancora deciso riservandosi la possibilità di decidere a ridosso della consegna delle liste in occasione della conferenza programmatica del suo partito a Pescara. Le settimane che dividono dal voto rischiano di diventare roventi anche in Parlamento, dove sta rallentando l'iter del premierato e di conseguenza dovrebbe frenare anche quello dell'autonomia differenziata. FI e Lega hanno chiesto che insieme all'elezione diretta del premier venga portata avanti anche la legge elettorale, che arriverà, ha spiegato la Ministra Casellati, solo dopo che il testo avrà superato la prima lettura, a questo punto quasi certamente dopo lo spartiacque delle europee
Il Cdm dà il via libera ai test psicoattitudinali magistrati
Via libera del Cdm all'introduzione dei testi psicoattitudinali per l'accesso alla professione di magistrato. L'Anm è sulle barricate, le opposizioni vanno all'attacco, ma il Ministro della Giustizia Carlo Nordio difende il provvedimento: “Non è affatto un'invasione di campo da parte del Governo nei confronti della magistratura. Tutta la procedura di questo test è affidata al Consiglio superiore della magistratura”, spiega il Guardasigilli in conferenza stampa al termine del Cdm. E ancora: “Abbiamo assistito a una polemica di cui mi rammarico come ex magistrato. Ho letto addirittura che sarebbero stati istituiti dei test periodici dei magistrati in servizio. No, riguarda soltanto l'ingresso in magistratura”. Il titolare della Giustizia poi specifica che l'esame, che si terrà dopo le prove scritte, non riguarda i concorsi in atto, ma entrerà in vigore successivamente. Ma la valutazione finale è sempre rimessa alla Commissione, che decide sull'esito delle prove scritte e orali. Quindi, parlare di interferenza o quasi di oltraggio all'indipendenza della magistratura è, secondo noi, assolutamente improprio”.
Il Mef vende il 12,5% del Montepaschi
Il Mef cede un'altra tranche del Montepaschi, approfittando della corsa di Piazza Affari per mettere un ulteriore tassello nel maxi-piano di privatizzazioni del Governo e avvicinare ulteriormente le condizioni per l'emancipazione della banca senese dal salvataggio-nazionalizzazione di quasi un decennio fa. Il Mef ha dato il via libera alle banche d'affari per una “procedura accelerata di raccolta ordini” per un pacchetto di azioni Mps pari “a circa il 12,5% del capitale sociale”, un'operazione che porterà la quota del Mef nel capitale di Mps dal 39,23% al 26,8% circa. Con le azioni della banca senese a 4,256 euro oggi in chiusura, l'operazione porterebbe un incasso di poco meno di 700 milioni di euro che si sommano ai circa 920 milioni del collocamento di novembre, portando così a oltre 1,6 miliardi l'ambizioso piano di privatizzazioni con cui il Governo Meloni punta a ridurre il debito pubblico di 20 miliardi entro il 2026. Le indiscrezioni vorrebbero ulteriori cessioni dopo questa ulteriore tranche di Mps e dopo l'annunciato nuovo collocamento di Poste Italiane in più fasi. Principale indiziata è una nuova quota di Eni, mentre si discute di una cessione di Enav, la società del Controllo del Traffico e del 49% di Ferrovie, non quotata.
Il Pd cerca la quadra sulle candidature alle europee e scoppia il caso Tarquinio
La segretaria Pd Elly Schlein sta provando a stemperare la tensione dopo gli strappi delle liste per le europee. Al termine dell’incontro tra Schlein e Stefano Bonaccini, che non avrebbe gradito l'ipotesi di non essere il capolista nel Nord Est, è stata diffusa una nota congiunta: “Incontro positivo, al lavoro insieme su elezioni europee, regionali e amministrative”. Ma l’incontro non è stato risolutivo, la quadra deve essere ancora trovata. E secondo alcuni esponenti Pd, non è detto che sia sulla posizione in lista, perché Bonaccini non sarebbe così determinato ad andare a Bruxelles. A seguire ha visto i segretari regionali, che dovranno condividere le scelte, visto il loro ruolo sui territori in un voto dove le preferenze sono decisive. Alla fine, si sarebbe deciso di programmare nuovi incontri per fare il punto sui nomi anche sulla base delle indicazioni dei territori. Schlein avrebbe garantito un mix tra candidature civili e politiche. E sarebbe stata confermata la volontà di dare una stretta alle deroghe allo stop dopo tre mandati consecutivi. Però, mentre Schlein cercava di tessere consensi, accordi e mediazioni, nel partito è scoppiato un altro caso, per la possibile corsa col Pd dell'ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Contro l'ipotesi si è schierata la deputata Pd Lia Quartapelle, mentre è a favore Nicola Zingaretti. C'è poi il caso Ilaria Salis: per una suggestione che sarebbe circolata fra Schlein e alcuni fedelissimi nel giorno dell'udienza a Budapest, il nome ha trovato qualche spazio anche nel dibattito interno al Pd sui candidati a Bruxelles.
Meloni sull’Ucraina chiarisce: non prepariamo la guerra
L'Occidente non si sta preparando a una guerra contro la Russia, anzi il sostegno all'Ucraina è per la pace e se è vero che “non molliamo” contro Putin è necessario anche evitare “atteggiamenti muscolari”. È il richiamo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni invia coloro che nelle ultime settimane hanno alzato i toni nei confronti di Mosca, il presidente francese Emmanuel Macron ma anche quello americano Joe Biden e alcuni leader europei. Dal salotto di “Fuori dal coro” su Rete4 Meloni ha parlato di svariati temi, ma sono quelli di politica estera a tenere banco. La premier respinge le accuse di Vladimir Putin, secondo cui dietro l'attentato di Mosca ci sono l'Ucraina e l'Occidente, perché “è stato rivendicato” dall'Isis-K e il resto è “propaganda”. La verità è che il leader russo in Ucraina “aveva in testa una guerra lampo che gli avrebbe consentito di invadere l'Ucraina” e se ci fosse riuscito “non si sarebbe fermato” ma avrebbe perseguito il disegno di tornare ai “confini storici della Russia” che incorporano anche “Moldova, Georgia, i Baltici, una parte della Finlandia, volendo anche la Polonia”. Dunque, chi aiuta Kiev lo fa per “allontanare la guerra” dal “cuore d'Europa”: solo così, “se non molliamo lo costringiamo anche a sedersi a un tavolo delle trattative per cercare una pace giusta”. Meloni ribadisce: “Non ho condiviso le parole di Macron” su un possibile invio di truppe perché si deve “fare attenzione ai toni che si usano”.
Meloni dal Libano ribadisce il sostegno italiano alla sicurezza
Aumentare il contingente italiano impegnato nella missione bilaterale in Libano, che ora conta un centinaio di militari: l'ipotesi è stata affrontata nei colloqui avuti a Roma il primo marzo con il comandante delle Forze armate libanesi, il generale Joseph Aoun, e potrebbe rientrare tra le ulteriori attività a sostegno dell'esercito di Beirut per evitare un’escalation al confine Sud fra i gruppi di Hezbollah e Israele. È lo scenario che Giorgia Meloni vuole evitare, come ha ribadito anche nell'incontro con il premier libanese uscente Najib Miqati a Beirut. Nelle prossime ore la premier si recherà alla base militare italiana di Shamaa. La missione della presidente del Consiglio capita in una delle giornate più sanguinose da quando si è riacceso il conflitto: almeno 14 vittime, incluse le sei uccise nel raid israeliano nel sud del Libano, non lontano dalla base militare di Naqura, sede del quartiere generale di Unifil, la missione Onu di cui fa parte anche il contingente italiano con oltre un migliaio di soldati. La de-escalation è stata al centro del faccia a faccia fra Meloni e Miqati. Palazzo Chigi chiarisce la “necessità di evitare ogni rischio di escalation lungo il confine con Israele” fra i gruppi Hezbollah e l'esercito israeliano, un fronte che è tornato instabile dopo l'attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre. E per evitare conseguenze su più larga scala gli sforzi italiani puntano al cessate il fuoco a Gaza. L'Italia è pronta a contribuire con ulteriori attività a sostegno delle forze armate libanesi. Fra queste, ci sarebbe anche l'ipotesi di un aumento della presenza di militari italiani nella missione bilaterale Mibil.
La mozione di sfiducia a Santanchè agita la maggioranza
Il caso Santanché agita il Governo. La mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni contro la Ministra del Turismo, alla luce dell'indagine della Procura di Milano sul caso Visibilia, approderà in Aula alla Camera mercoledì prossimo, ma potrebbe slittare ancora, complice un ingorgo di provvedimenti. E nel frattempo nessuno nella maggioranza scommette siano esclusi colpi di scena. “Nessuno mi ha chiesto di dimettermi”, ha assicurato la ministra; c'è chi giura che la stessa Giorgia Meloni le abbia chiesto almeno una riflessione e segnali di pressioni arrivano anche dalla Lega, anche se il partito di Matteo Salvini ha provato a stoppare queste ricostruzioni con una nota: “La Lega è e resta garantista” e la vicenda che riguarda la Ministra “confermerà per l'ennesima volta la compattezza della maggioranza e la piena sintonia tra i leader”. Dopo Pasqua, tra mercoledì e giovedì, dovrebbe arrivare in Aula, sempre a Montecitorio, la mozione di sfiducia delle opposizioni al ministro Matteo Salvini, che riguarda i rapporti della Lega con il partito Russia Unita. L'esito di questa votazione non agita affatto la maggioranza che su questo è certa di superare l’ostacolo con semplicità.
Salvini rilancia il tetto del 20% agli stranieri nelle classi. Polemiche.
Sul caso Pioltello interviene il vicepremier Matteo Salvini non solo considerando “un arretramento” la chiusura della scuola per la fine del Ramandan ma anche proponendo la quota massima del 20% di bambini stranieri in una classe, parole che arrivano dopo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva espresso apprezzamento per il lavoro “che il corpo docente e gli organi di istituto svolgono nell'adempimento di un compito prezioso e particolarmente impegnativo”. Parole, quelle di Salvini, divergenti dal pensiero espresso dal Capo dello Stato: “Non credo che in nessun Paese islamico chiudano per la Santa Pasqua o per il Santo Natale. Finché l'Islam non si darà una struttura e non riconoscerà la parità tra uomo e donna chiudere la scuola mi sembra un pessimo segnale. È un segnale di cedimento e arretramento chiudere per il Ramadan”. Salvini poi rilancia la proposta del tetto agli alunni stranieri in aula, già avanzata anni fa dopo il caso di una scuola romana, la Pisacane, dove intere classi erano composte prevalentemente da bimbi immigrati o figli di immigrati. “Se hai tanti bambini che parlano lingue diverse e non parlano l'italiano è un caos. Bisogna controllare la presenza di bambini. Un 20% di bambini stranieri in una classe è anche stimolante ma quando gli italiani sono il 20% dei bambini in classe come fa una maestra a spiegare?”.
FdI attacca l’ostruzionismo delle opposizioni sul premierato
FdI cerca di accelerare sul premierato. I lavori sembravano partiti con il turbo ma vanno a rilento in Commissione Affari Costituzionali al Senato e si accende lo scontro con l'opposizione sull'ostruzionismo. Si riprende martedì, dopo una mini-pausa pasquale, quando si voterà sul cuore della riforma, l'emendamento del Governo sull'elezione diretta del premier. Ma il cammino è ancora lungo, due letture in ciascuno dei due rami del Parlamento e il referendum, che ormai maggioranza e Governo danno per scontato. “Faccio una facile previsione: si arriverà al referendum. Non vedo la possibilità di una maggioranza tanto qualificata da evitarlo”, dice il presidente del Senato Ignazio La Russa, e “credo che sarà importantissimo quello che faranno Senato e Camera ma sarà più importante quello che deciderà ogni cittadino italiano”. Il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni: “Il M5S era partito con 20 emendamenti, manifestando l'intenzione di un confronto di merito. Poi si è fatto trascinare dalla foga ostruzionistica di Pd e Avs e adesso partecipa con entusiasmo all'ostruzionismo, intervenendo su ogni emendamento”. Dalle opposizioni “mi aspettavo lo stesso atteggiamento dell'autonomia”, con emendamenti “tutti di merito che hanno costretto a un approfondimento”, invece “hanno presentato 2.600 emendamenti”.
Meloni lavora sul caso Salis e chiede di non strumentalizzare il caso
Se si vuole riportare Ilaria Salis in Italia, è meglio evitare di usarla per fare campagna elettorale. Nel Governo circola questo ragionamento davanti alla mobilitazione delle opposizioni per la trentanovenne attivista che resta in carcere a Budapest dopo il respingimento della richiesta dei domiciliari. La riflessione si estende anche alla suggestione, attribuita a Elly Schlein, di candidare la docente brianzola alle Europee. È il momento del silenzio, di abbassare il livello della polemica, è la linea condivisa fra Palazzo Chigi e Farnesina, perché è a fari spenti che si lavora in casi dai risvolti diplomatici, giudiziari e politici così intricati, con la speranza che nel giro di qualche settimana possa essere valutata diversamente una nuova istanza per i domiciliari in Ungheria, passaggio indispensabile per poi chiedere lo stesso regime detentivo nel Paese di origine. Nella maggioranza c'è chi ricorda il caso di Patrick Zaki. Quando tre anni fa il centrosinistra insisteva per votare alla Camera una mozione per impegnare il Governo a sostenere l'istanza per conferirgli la cittadinanza italiana, l'allora presidente del Consiglio Mario Draghi era piuttosto perplesso, sostiene un esponente di peso di FdI, non per il merito, ma perché anche sul caso dello studente detenuto in Egitto serviva evitare di infiammare il clima. E sono poi passati altri 24 mesi per arrivare alla grazia, subito dopo la condanna a tre anni. “Un risultato” rivendicava in quei giorni l'esecutivo di centrodestra “portato a casa in primis dal lavoro silenzioso di Meloni”. Meloni non parla in pubblico del caso Salis da un paio di mesi.
Dopo le polemiche, il Mef conferma il superbonus per i comuni terremotati
Nel decreto superbonus resteranno la cessione di credito e lo sconto in fattura per i Comuni del cratere del sisma 2009 e 2016. Dopo 48 ore di polemiche e la rivolta di sindaci e governatori l'esecutivo salva la misura per le aree terremotate. “Il Governo nella sua azione di tutela e sostegno delle comunità colpite” dice il Mef per bocca della sottosegretaria Lucia Albano che assicura che non sarà previsto alcun blocco per i crediti “superbonus sisma”. Allarme rientrato, dunque, con i Comuni del cosiddetto cratere (Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche) che prima dell'uscita del Mef non avevano nascosto la rabbia, parlando di un “colpo mortale” alla ricostruzione e di un freno alla ripartenza dei territori devastati dai terremoti del 2009 e del 2016. Si tratta di 140 amministrazioni che insistono sull'area del 'cratere' e dove ci si apprestava a dare il via a nuovi cantieri godendo proprio del bonus statale. Un appello al confronto era arrivato anche dalle principali istituzioni, capitanate dalle Anci delle regioni terremotate. A stemperare le polemiche aveva provato il governatore delle Marche Francesco Acquaroli, esponente dello stesso partito della premier Giorgia Meloni: “Dobbiamo stare sereni e aspettare il testo definitivo, senza ingenerare terrore, perché la volontà di tutti non è di definanziare la ricostruzione ma di sostenerla. Credo che nelle prossime ore potremo avere maggiore chiarezza”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 25 marzo, l'orientamento di voto degli italiani premia quasi tutti i partiti maggiori. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 26,8%, davanti al PD (19,8%). Rimane in terza posizione il Movimento 5 Stelle che sale dello 0,3 e ad oggi riscuote il 15,6%. Resta praticamente invariato rispetto alla settimana precedente il distacco tra FdI e il PD, attestandosi attorno al 7%. Nella coalizione del centrodestra, la Lega risale al 8,3% mentre Forza Italia cala sensibilmente (-0,1) registrando il 7,7% dei consensi. Nella galassia delle opposizioni, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra (4,1%) scavalca i centristi di Azione (4,0%), i quali registrano il maggior calo della settimana; guadagnano Italia Viva e Dem. Sovrana e Popolare mentre cala +Europa. Novità della settimana, invece, è Pace Terra e Dignità (1,6%).
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) sale al 43%, mentre il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra, scende al 26,8%. Il Centro, sommando i consensi di Azione e Italia Viva, scende al 7,4%; fuori da ogni alleanza, il M5S riprende quota e si assesta sul 15,6%.
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