La Bce torna al rialzo dei tassi: +0,25%, Lagarde non prevede uno stop
La Bce torna ad alzare i tassi di interesse: si tratta del nono aumento consecutivo da quando, esattamente un anno fa, era il luglio del 2022, l'istituzione di Francoforte ha iniziato la sua manovra antinflazionistica. E potrebbe non essere l'ultimo, anche se nella conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo la presidente Christine Lagarde ha temperato i toni, aprendo alla possibilità di una pausa alla prossima riunione operativa del 14 settembre, quando “Potremmo alzare o potremmo confermare i livelli alzare o fare una pausa. Posso dire con certezza che non ridurremo i tassi", aggiungendo che le decisioni sui rialzi verranno prese volta per volta. Cautela dovuta ai dati, perché secondo i banchieri centrali, nonostante i ripetuti calmieramenti l'inflazione dell'eurozona resta troppo elevata (a giugno è calata al 6,4%) e per troppo tempo è attesa al di fuori del target della Bce.
La mossa della Bce segue un rialzo di portata analoga effettuato in settimana da parte della Federal Reserve americana. Queste strette monetarie puntano a favorire un calo dell'inflazione, creando un freno all'attività economica tramite condizioni di finanziamento meno convenienti ed espansive. "Le prospettive economiche dell'area euro sul breve termine si dono deteriorate, in ampia misura per l’indebolimento della domanda interna", che a sua volta risente dell'alta inflazione e dell'inasprimento delle condizioni di finanziamento, cha rilevato la stessa Lagarde. Parallelamente la Bce sta anche riducendo la mole del suo bilancio, e indirettamente la quantità di liquidità disponibili nel sistema, sia dismettendo parte dei titoli di Stato accumulati negli anni scorsi giunti a scadenza, sia riducendo i finanziamenti ultragevolati che aveva erogato alle banche negli anni scorsi. Interpellata sulle critiche, la presidente ha risposto: "non stiamo facendo troppo, siamo determinati a riportare l'inflazione dell'area euro all'obiettivo del 2%. E vediamo che, in base a tutte le misure, l'inflazione resta troppo alta”.
L’FMI alza le stime di crescita, l’Italia cresce più di Germania e Francia
Il Fondo Monetario Internazionale rivede al rialzo le stime di crescita per l’Italia, il cui pil è atteso quest’anno al +1,1% in una performance migliore di Francia e Germania, ma anche superiore alla media dell’area euro. Ritoccata al rialzo anche la previsione per il 2024, quando la crescita è prevista dello 0,9%. Le stime “confermano l’efficacia della politica economica del Governo e ci spronano ad andare avanti su questa strada e fare ancora meglio”, commenta la premier Giorgia Meloni. “In uno scenario complesso continueremo a coltivare la linea dello sviluppo e della prudenza, dello slancio e della stabilità dei conti. L’Italia dimostra di essere resistente e dinamica”, aggiunge la premier, spiegando che il Governo è già a lavoro sulla prossima legge di bilancio. La revisione al rialzo di 0,4 punti percentuali del pil italiano nel 2023 è legata al buon andamento dei servizi e del turismo e si accompagna al taglio delle stime per la Germania: la locomotiva tedesca si contrarrà quest’anno dello 0,3%, più del -0,1% previsto in aprile risentendo dell’effetto dell’inflazione sui redditi reali.
Nel complesso l’economia dell’Eurozona crescerà dello 0,9% nel 2023, a una velocità che è la metà di quella degli Stati Uniti (+1,8%), per poi accelerare al +1,5% nel 2024. Secondo l’FMI il quadro economico mondiale è senza dubbio in miglioramento ma gli esperti di Washington avvertono che serve cautela. I rischi sull’outlook sono diminuiti ma restano e fra questi ci sono l’alta inflazione e la Cina che, dopo il boom legato alla riapertura dal Covid, sta rallentando. Sul fronte dei prezzi la battaglia si prospetta ancora lunga per riportare sotto controllo l’inflazione: è per questo necessario in molte economie continuare con i rialzi dei tassi d’interesse, come per la Fed che mercoledì li ha rialzati dello 0,25%, confermando come la banca centrale americana non è ancora in grado di cantare vittoria sull’inflazione nonostante l’aggressiva campagna di aumenti del costo del denaro che porta avanti da oltre un anno.
Fitto presenta le modifiche al Pnrr, definanziate misure per 16mld
L’esecutivo di Giorgia Meloni ha presentato la riscrittura del Pnrr: In una bozza diffusa al termine della riunione della cabina di regia a Palazzo Chigi, è messa nero su bianco la proposta di revisione e aggiornamento, con annesso capitolo RePowerEu, necessario a conseguire traguardi e obiettivi previsti fino al 30 giugno 2026. La proposta interessa 144 investimenti e riforme. Le richieste di modifica possono essere distinte in tre categorie: quelle necessarie per velocizzare la rendicontazione degli obiettivi; quelle che vedono la riprogrammazione di risorse e di interventi già pianificati e infine quelle relative ai progetti in essere”, cioè, quei progetti inseriti nel Pnrr e precedenti al Piano che evidenziano sia difficoltà di rendicontazione, sia di completamento al 100% dei lavori entro il 2026. Nello specifico, 9 misure per un ammontare totale di 15,9 miliardi di euro, sono state definanziate dal Pnrr e salvaguardate attraverso la copertura con altre fonti di finanziamento, come il Piano nazionale complementare.
Per quanto riguarda il capitolo aggiuntivo del RePowerEu, esso si articola in 3 misure d’investimento (reti dell'energia, transizione verde ed efficientamento energetico, filiere industriali strategiche) e 6 riforme. Complessivamente sono previsti interventi per 19 miliardi di euro “che andranno a beneficio della crescita economica, occupazionale e di tutti i principali settori strategici selezionati in base ai criteri del RePowerEu relativi sia al raggiungimento degli obiettivi in ambito energetico, sia alla tempistica di realizzazione entro il 2026”. Uno dei punti del RePowerEu riguarderà l'Ecobonus dedicato alle abitazioni private con una dotazione da 4 miliardi di euro, ma con alcune “correzioni” che lo renderanno disponibile solo alle fasce a basso reddito.
Cala domanda prestiti di imprese e famiglie, ai minimi dal 2003
La domanda di prestiti da parte delle imprese ha mostrato una nuova marcata riduzione riflettendo l’aumento del livello generale dei tassi di interesse, il calo degli investimenti fissi e l’inasprimento degli standard creditizi per i prestiti o le linee di credito alle imprese. È quello che rileva nel Bank Lending Survey la Bce, scrivendo che “la domanda netta di prestiti delle imprese è fortemente diminuita nel secondo trimestre del 2023, scendendo ai minimi storici dall’inizio dell’indagine nel 2003”. Per il terzo trimestre le banche prevedono un’ulteriore diminuzione netta della domanda di prestiti alle imprese, ma molto inferiore rispetto al secondo trimestre. La contrazione della domanda ha riguardato imprese di diverse dimensioni, nonché prestiti a breve e a lungo termine. È diminuita anche la domanda di credito da parte delle famiglie per l’acquisto di abitazioni e per finalità di consumo. In entrambi i casi, non è solo l’elevato livello dei tassi di interesse ad esercitare un contributo negativo, ma anche il peggioramento della fiducia dei consumatori e l’aumentata percezione del rischio.
Il ministro Giorgetti interviene sul tema “l’aumento dei tassi d’interesse è un qualcosa che non fa soltanto male alle famiglie, ma fa male anche allo Stato che poi deve pagare interessi sul debito pubblico e il debito pubblico che abbiamo noi ci fa pagare ora moltissimi più interessi rispetto al passato”. Continua poi sugli interventi del governo: “per tutte le famiglie abbiamo fatto una pressione molto forte sull’Associazione bancaria italiana che, proprio in questi giorni, ha annunciato l’iniziativa di mettere un tetto agli aumenti dei tassi d’interesse sui mutui, quindi sostanzialmente per limitare e non aumentare più l’onere per quanto riguarda le famiglie delle rate del mutuo”. “Per quanto riguarda i giovani, soprattutto quei giovani che vogliono comprare la prima casa - ha proseguito il ministro - ricordo che già nella scorsa Legge di Bilancio, e ha avuto grandissimo successo, abbiamo fatto un fondo garanzia prima casa, proprio per i giovani. E intendiamo ripeterlo anche nella prossima Legge di Bilancio.”
Istat: prezzi alla produzione dell’industria e delle costruzioni – giugno 2023
A giugno 2023 i prezzi alla produzione dell’industria diminuiscono dello 0,3% su base mensile e del 5,5% su base annua (era -4,3% a maggio). Sul mercato interno i prezzi diminuiscono dello 0,4% rispetto a maggio e dell’8,2% su base annua (da -6,8% del mese precedente). Al netto del comparto energetico, i prezzi decrescono dello 0,4%. Sul mercato estero i prezzi diminuiscono su base mensile dello 0,1% (-0,2% per l’area euro, stazionari per l’area non euro) e crescono su base annua dell’1,1% (+0,4% area euro, +1,5% area non euro). Nel secondo trimestre 2023, rispetto al trimestre precedente, i prezzi alla produzione dell’industria diminuiscono del 7,6%. La flessione è molto ampia sul mercato interno (-10,2%), modesta su quello estero (-0,2%).
A giugno 2023, fra le attività manifatturiere, gli aumenti tendenziali più elevati riguardano i settori computer, prodotti di elettronica e ottica (+8,6% area non euro), industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (+8,1% mercato interno), industrie alimentari, bevande e tabacco (+6,3% mercato interno, +5,8% area euro, +8,0% area non euro) e mezzi di trasporto (+8,0% area non euro). Cali tendenziali su tutti e tre i mercati si rilevano per coke e prodotti petroliferi raffinati (-22,6% mercato interno, -3,9% area euro, -20,9% area non euro) e metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-6,2% mercato interno, -12,6% area euro, -10,6% area non euro). Sul mercato interno, si amplia ulteriormente la flessione tendenziale dei prezzi per attività estrattive (-47,6%) e fornitura di energia elettrica e gas (-28,4%).