Fmi, taglio tassi Fed e Bce nella seconda metà del 2024
I tassi di interesse negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell'area euro resteranno ai livelli attuali fino alla seconda metà del 2024 prima di calare gradualmente. La previsione del Fondo monetario internazionale smorza anche le più lievi speranze di un taglio dei tassi già in primavera. L'ipotesi di una sforbiciata della Fed già in marzo è completamente tramontata di fronte alla forza dell'economia e ora le stime più ottimiste indicano maggio come il mese della svolta, anche se giugno o l'estate appaiono la soluzione migliore per la banca centrale americana. Far slittare il taglio dei tassi consente, infatti, alla Fed di guadagnare tempo e verificare con mano gli effetti reali sull'economia della sua aggressiva campagna di rialzi del costo del denaro, schizzato ai massimi da 22 anni ma non per questo in grado di frenare la crescita. Per la Fed, di fatto, è difficile giustificare un taglio dei tassi anche perché l'inflazione sta rallentando e sembra avviata, nel tempo, a tornare all'obiettivo del 2%. Le banche centrali “devono evitare un allentamento prematuro” che metterebbe a rischio la credibilità che si sono guadagnate, in quanto ciò si potrebbe tradurre in una ripresa dell'inflazione, ha detto il capo economista del Fmi Pierre-Olivier Gourinchas, sottolineando che “con l'inflazione che cala verso il target, la priorità di breve termine per le banche centrali è un atterraggio morbido, né abbassando i tassi in modo prematuro né ritardando troppo i tagli”.
Anche la Bce di Christine Lagarde cavalca l'onda della prudenza. “Siamo dipendenti dai dati”, ha ribadito la presidente dell'Eurotower nella sua ultima conferenza stampa osservando come le nubi sulle prospettive a medio termine non si sono interamente dissipate. La situazione in Medio Oriente, ha detto, è la “sorvegliata speciale” per i rischi che pone ai prezzi di energia e trasporti. Lagarde guarda comunque anche più avanti del medio termine e in particolare a un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che potrebbe esporre l'Unione europea a potenziali dazi. Per l'Ue - spiega in un'intervista a Cnn - il modo migliore per prepararsi a un possibile ritorno di Trump è rafforzare il mercato unico europeo.
Bce, il capo economista Lane: fari su contrattazioni salariali
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea esaminerà attentamente gli esiti della tornata di contrattazioni salariali che si sta svolgendo in vari Paesi dell'area euro in questo primo trimestre dell'anno. Completata questa fase, poi, valutando i dati che arriveranno ad aprile, cercherà quei segnali che diano “maggiore fiducia” sul fatto che l'inflazione sia incanalata su un percorso per tornare ai livelli obiettivo. Lo ha ribadito il capo economista della Bce, Philip Lane intervenuto a Roma su politica monetaria e inflazione ad un evento organizzato dall'Istituto Einaudi per gli studi economici e finanziari assieme alla Banca d'Italia. Un aspetto particolare su cui Lane ha tenuto a rispondere, tuttavia, è quello di rassicurare sul fatto che la Bce presta attenzione al fatto di non creare danni non necessari all'economia e che vuole evitare che l'inflazione finisca sotto il suo livello obiettivo. Il capo economista ha rimarcato che nel 2021 l'istituzione ha deciso una revisione alla strategia con cui è stato ridefinito l'obiettivo di inflazione al 2% simmetrico. E in base a questo, chiarisce, “guardiamo con la stessa attenzione al rischio che l'inflazione finisca sotto questa soglia, come a quello (attuale) che stia sopra”. Spostandosi sul tema del Mar Rosso, grade protagonista delle preoccupazioni attuali, ha ribattuto che “gli attacchi dei guerriglieri Houthi dello Yemen alle navi in transito hanno causato un drastico calo del traffico marittimo nel Canale di Suez, e uno speculare aumento della rotta che doppia il Capo di Buona Speranza”, ma finora, ha continuato a notare Lane, l'impatto su prezzi al consumo nell'area euro e sul petrolio è stato limitato. Nello scenario previsionale di base la Bce si attende che quest'anno l'economia si orienti verso una moderata ripresa. In particolare, la previsione di crescita formulata lo scorso dicembre dai tecnici della Bce, di un più 0,8% del Pil dell'eurozona quest'anno, appare ormai eccessiva. Tuttavia, ha riconosciuto che “c'è chiaramente un effetto trascinamento sul 2024”. Quindi, con ogni probabilità, salvo sorprese positive, a marzo queste stime potrebbero essere ritoccate al ribasso.
Eurozona: Mes, con crescita più debole rischi per propensione acquisto debito sovrano
Se due anni fa circa un terzo del debito pubblico dell’area euro venne assorbito dall’Eurosistema, dopo anni in cui gli acquisti delle banche centrali sono stati decisivi nel puntellare la domanda di titoli governativi ed evitare la corsa degli spread, nel 2023 l’Eurosistema ha ridotto la sua quota di titoli sovrani nel quadro della normalizzazione/restrizione monetaria diventando venditore netto di titoli sovrani. Ne è derivato che il ruolo degli investitori privati risulta sempre più importante per le emissioni di debito pubblico, sostenuto sia dal livello dei tassi di interesse sia dalle politiche macroeconomiche e di sostegno comune al rilancio post Covid (i fatidici Pnrr). I dati sinora disponibili, in particolare, mostrano che gli investitori stranieri sembrano tornare nelle quattro principali economie dell’area dell’euro: Germania, Francia, Italia e Spagna, che nei primi tre trimestri del 2023 hanno attirato afflussi di quasi 200 miliardi di euro dall’esterno dell’area dell’euro nel loro debito pubblico. Ne è risultata in aumento la quota di titoli sovrani detenuta da soggetti non residenti ed è aumentata la parte di debito pubblico detenuta dalle famiglie in una misura vicina alla quota delle partecipazioni degli investitori esteri. Tuttavia, occorre segnalare che il quadro per gli altri investitori nazionali è più contrastante. I gestori patrimoniali e i fondi di investimento nell’area dell’euro hanno recentemente aumentato la loro quota di titoli di stato detenuti, ma la quota di debito pubblico detenuta dalle banche, così come dalle assicurazioni e dai fondi pensione, è diminuita nello stesso periodo, al valore di mercato.
La prospettiva nella quale si avvia l’area euro è che meno le banche centrali continueranno a investire i proventi dai titoli pubblici in scadenza più i governi dovranno fondarsi sugli investitori privati. Difatti, le prospettive per la domanda da parte degli investitori esteri sono incerte e potrebbero essere soggette a oscillazioni nella propensione al rischio. Mentre le banche centrali a livello globale continuano a ridurre le loro partecipazioni in titoli di stato per motivi di politica monetaria, la liquidità in eccesso si sta riducendo, gli investitori potrebbero quindi diventare più selettivi e i governi potrebbero avere più difficoltà a finanziare il proprio debito, anche a tassi più elevati.
Bankitalia sollevata: il factoring tiene nell'anno più difficile, volume affari 2023 a 290 mld, +0,87%
Mentre i prestiti alle aziende continuano a diminuire, il factoring tiene e chiude il 2023 con un turnover leggermente superiore (+0,87%) a quello dell'anno precedente: 290 miliardi di euro, un valore pari a circa il 15% del Pil, è il dato calcolato da Assifact, l'Associazione per il factoring che riunisce gli operatori del settore. Segni positivi al 31 dicembre 2023 anche per l'outstanding, i crediti in essere (70 miliardi di euro, +1,17%) e degli anticipi/corrispettivi pagati (58 miliardi di euro, +0,03%). “Al termine di un anno difficile - si sottolinea Bankitalia in una nota- il factoring si conferma uno strumento decisivo per la gestione del capitale circolantedelle imprese”. Diversa è la situazione della domanda di prestiti bancari: nel 2023 ha continuato a indebolirsi, anche per la rigidità dei criteri di offerta, coerentemente con l'orientamento restrittivo della politica monetaria. La flessione, ha segnalato Bankitalia, si è acuita nel settore delle costruzioni e si è attenuata in quello dei servizi, mentre è rimasta sostanzialmente invariata nella manifattura.
Più complessa sarà la vicenda delle imprese che vantano crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione e che rischiano di essere penalizzate dalle nuove norme sul ripianamento del disavanzo delle Regioni a statuto ordinario. Queste prevedono una definizione transattiva dei debiti commerciali della PA nei confronti dei fornitori. In particolare, si riconosce alle Regioni che presentano un disavanzo pro capite al 31 dicembre 2021 superiore a 1.500 euro, un contributo annuo di 20 milioni di euro per gli anni dal 2024 al 2033. Le Regioni devono preparare un piano di rilevazione dei debiti commerciali esigibili al 31 dicembre 2023 e devono avvisare i creditori, i quali devono presentare istanza di ammissione al piano nel termine indicato, pena la cancellazione automatica del loro credito. Valutato l'importo complessivo di tutti i debiti inclusi nel piano, le regioni propongono individualmente ai creditori la definizione transattiva del credito offrendo il pagamento di una quota variabile tra il 40 e l'80%, secondo l'anzianità del credito. La procedura prevede il blocco delle azioni esecutive e la transazione prevede la rinuncia ad ogni altra pretesa.