L’Istat vede il Pil a -8,9% e stima una ripresa lenta nel 2021
Anche l'Istat prevede che la seconda ondata Covid nel 2020 oltre a colpire il pil nel finire dell'anno produrrà un certo effetto rallentamento anche nel 2021 quando la crescita dovrebbe fermarsi ad un +4%. Quest'anno invece l'economia subirà un calo stimato dall'Istituto a -8,9%. A conferma dell'andamento generale delle attività produttive c’è da registrare anche il calo dell'indice Pmi a novembre che identifica una forte contrazione della manifattura e dei servizi in Italia. Nel suo Report sulle prospettive economiche l'Istat prevede appunto una marcata contrazione del Pil nel 2020 e una ripresa parziale nel 2021. Il tasso di disoccupazione invece dovrebbe fissarsi al 9,4% nel 2020 per poi salire all'11% nel 2021. Il dato è spiegato dagli economisti dell'Istat con il fatto che le unità di lavoro annuali (Ula) dovrebbero ridursi del 10% nel 2020 e crescere del 3,6% nel 2021, ma la disoccupazione crescerà anche per il rientro nel mercato di persone rimaste inattive quest'anno a causa della pandemia.
In questo contesto appare in decisa contrazione l’attività manifatturiera e dei servizi in Italia a novembre. L'indice Pmi composito, che monitora l’attività dei settori servizi e manifatturiero e che misura la fiducia dei direttori degli acquisti è sceso il mese scorso a 42,7 punti dai 49,2 di ottobre. Il dato è peggiore delle stime che attendevano un calo a 43,7 punti. La soglia dei 50 punti fa da spartiacque tra espansione e contrazione del ciclo. Quest'anno la caduta del Pil sarà determinata prevalentemente dalla domanda interna al netto delle scorte (-7,5 punti percentuali), ma anche l'apporto della domanda estera netta e della variazione delle scorte risulterebbero negativi (rispettivamente -1,2 e -0,2 punti percentuali). Nel 2021, il contributo della domanda interna tornerebbe positivo (+3,8 punti percentuali), cosi come quello della domanda estera netta mentre le scorte fornirebbero un marginale contributo negativo (-0,1 punti percentuali). La spesa delle Amministrazioni pubbliche aumenterebbe con intensità differenziate nei due anni (+2,0% e +0,1%).
Il Governo stringe sul Recovery, fino a 60 progetti per il Piano
Una struttura con meno di 100 tecnici, 6 manager e al più una sessantina di progetti, articolati nelle sei missioni principali del Piano di Ripresa e Resilienza: il Governo cerca di stringere sul piano per l'utilizzo dei 209 miliardi europei in arrivo col nuovo anno e punta a presentare una struttura di governance del Recovery più snella, anche per cercare di sedare le tensioni nella maggioranza. Certo, per sciogliere tutti i nodi e fare rientrare i mal di pancia che serpeggiano tra i Ministeri e in Parlamento, molto probabilmente servirà una nuova riunione con i capidelegazione, ma, sottolinea il premier Giuseppe Conte, si discute “sulla struttura più efficiente” che garantisca di “superare tutte le carenze strutturali”, non “se deve comandare Conte o Gualtieri”. Lo schema di massima, spiega chi si sta occupando del dossier, sarebbe pronto; ancora non è stato stabilito, però, dove si collocherà e quindi da chi dipenderà questa nuova struttura di missione per l'attuazione del piano. “Il testo è quasi pronto, lo vedrete a breve”, assicura il ministro dell'Economia, parlando di una struttura “agile ed efficace” e che “ci aiuti a mettere a terra le risorse e a valorizzare le nostre pubbliche amministrazioni”. Digitalizzazione e conversione green dell'economia saranno le due missioni che dreneranno più fondi, oltre la metà di qui al 2026, ma qualche dettaglio in più sulla ripartizione dei finanziamenti dovrebbe arrivare con l'aggiornamento del Piano. “Approveremo il Recovery plan e la struttura di governance, non tutti i singoli progetti, in un Consiglio dei ministri straordinario” tra domenica e lunedì, spiega ancora Conte. Il Piano sarà inviato al Parlamento che sarà “aggiornato continuamente sullo stato dell'arte”.
Duro botta e risposta tra Confindustria e Governo
A brevissimo ripartirà il confronto con le “forze economiche e sociali”, dice Gualtieri. Ma “non siamo in ritardo” puntualizza il premier, rispondendo alle aspre critiche di Confindustria e del suo presidente Carlo Bonomi: il Governo “è in ritardissimo” e non ha coinvolto i settori produttivi, è la lettura degli industriali, né “per fronteggiare gli impatti economici e sociali della pandemia” e tantomeno per affrontare “l'occasione storica del Recovery”; “volevo un patto per l'Italia ma sono rimasto solo” attacca ancora Bonomi, dicendosi “fortemente arrabbiato perché non vedo nessuno che ha voglia di cogliere questa grande occasione”. Al leader degli industriali risponde anche Stefano Patuanelli, ricordando che l'Italia, forse tra i primi, ha già scritto dei progetti che saranno finanziati con i fondi Ue nella legge di Bilancio, a partire dal rafforzamento del Piano industria 4.0. In manovra ci si aspettava che sarebbe arrivata anche la proroga del superbonus al 110%, sfruttando sempre i finanziamenti Ue, ma la misura finora non c’è, tra le polemiche e le frizioni anche tra maggioranza e Governo. La proroga arriverà, assicura però il viceministro Antonio Misiani, anche se non potrà essere molto lunga. Il tema sarà senz'altro oggetto di trattativa nelle prossime settimane in cui la Camera sarà chiamata a votare gli emendamenti alla manovra: dei 7mila, circa 2,500 sono stati tagliati perché inammissibili e ne rimangono da esaminare circa 900 segnalati dai Gruppi.
L’Eurogruppo raggiunge l’accordo sulla riforma e backstop per le banche
La videoconferenza dell'Eurogruppo, allargata a tutti ministri delle Finanze Ue, ha finalmente raggiunto un accordo sulla riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), e, in questo contesto, sulla creazione, anticipata di due anni, della rete di sicurezza (backstop) per il Fondo unico europeo di risoluzione bancaria. Si tratta di “un risultato enorme”, ha commentato durante la conferenza stampa on line al termine dell'Eurogruppo il direttore del Mes Klaus Regling, sottolineando che verrà accolto con favore dai mercati e dai risparmiatori, che “minimizzerà i rischi di contagio in caso di fallimenti bancari” e che riguarderà, per ora, “i 19 paesi membri dell'Euro e 340 milioni di cittadini europei”. Ora, grazie alla riforma del Trattato, il Mes potrà prestare denaro al Fondo unico di risoluzione, non più solo agli Stati. Ma la cosa più importante Regling l'ha detta quando ha sottolineato che “questa riforma permetterà al Mes di diventare la rete di sicurezza per le banche”; ha detto “diventare”, non “fornire” il backstop, un vero e proprio cambiamento di natura per quel “Fondo salva-Stati” che era nato per prestare denaro agli Stati quando i mercati chiedono interessi troppo alti, ma che in cambio poneva condizioni spesso molto dure di austerità economica e di bilancio.
Il cambiamento era già iniziato con la nuova linea di credito sanitaria, senza condizioni macroeconomiche, creata come prima risposta alla pandemia del Covid-19, ma era stato compromesso dallo stigma, la cattiva fama del Mes e la paura che i mercati interpretassero qualunque ricorso al Fondo come un segnale di fragilità finanziaria, attirando la speculazione, tanto che nessun Paese finora ha chiesto di accedere a quella linea di credito. D'altra parte, come ha detto il presidente dell'Eurogruppo Paschal Donohoe, questa mancanza di appetito per i crediti del Mes si spiega come “un riflesso del successo” e della tempestività delle altre misure prese dalla Bce, dalle istituzioni europee, e dagli Stati membri grazie alla sospensione temporanea delle regole Ue nel campo dei bilanci e degli aiuti di Stato. La decisione di affidare al Mes il compito di costituire una rete di sicurezza finanziata dagli Stati, il common backstop, per il Fondo unico di risoluzione per le banche era stata presa già nel 2018, in linea di principio, ma per la decisione definitiva su questo dispositivo di “condivisione dei rischi” si era deciso di attendere un rapporto di valutazione della “riduzione di rischi” nel sistema bancario, che doveva essere completata entro il 2020 e che è stata discussa dall'Eurogruppo. Sulla base di questa valutazione, che è stata ampiamente positiva, i Ministri delle Finanze hanno deciso di procedere con il backstop anticipandone l'entrata in funzione all'inizio del 2022.