La Bce conferma la debolezza dell’economia ma ribadisce che gli aiuti non si fermeranno
La pandemia fa ancora paura, ma si intravedono i primi effetti delle misure messe in campo da governi e banche centrali per arginare gli effetti economici. Il sostegno ai Paesi dell'Eurozona va comunque mantenuto fino a quando la crisi non sarà alle spalle. E per tale scopo servono massima disponibilità e flessibilità da parte delle istituzioni. È questo in sintesi il messaggio rassicurante lanciato ai mercati da Bce e Fed. L'istituzione guidata da Christine Lagarde ha pubblicato i verbali dell'ultima riunione del consiglio direttivo dello scorso 10-11 marzo. Il board ha ribadito di “essere pronto ad adeguare tutti i suoi strumenti, se necessario, per garantire che l'inflazione si muova verso il proprio obiettivo in modo sostenuto”. Per questo gli acquisti nell'ambito del Pepp, il programma pandemico di Francoforte da 1.350 miliardi di euro, devono restare flessibili. L'Eurotower aveva già detto di avere intenzione di incrementarli nel prossimo trimestre. Ora ribadisce: “La flessibilità degli acquisti nel tempo, tra classi di attività e tra giurisdizioni continuerebbe a sostenere la trasmissione regolare della politica monetaria”.
Ma da parte di alcuni membri dell'Eurotower emergono dubbi circa il fatto che la ripresa sarà visibile già nella prima parte di quest'anno. “A seconda dell'ulteriore evoluzione della pandemia, la debolezza dell'attività economica potrebbe continuare anche nel secondo trimestre e al di là”, rilevano alcuni membri del board. In relazione all'andamento dell'economia “sono state sollevate domande su quanto fosse realistico presumere che le misure di contenimento sarebbero state ridotte già nel secondo trimestre”, si legge ancora nelle minute. Nel complesso la visione di Francoforte è però migliore rispetto a qualche mese fa. “I rischi che circondano le prospettive di crescita dell'area dell'euro sono diventati più equilibrati” e l'attività economica “dovrebbe riprendersi grazie alla revoca delle misure di confinamento una volta che ci sarà una più ampia immunità, misure di politica monetaria eccezionali, un continuo sostegno alla politica fiscale e un rimbalzo della domanda estera”. E sull'inflazione spiega: “è prevista una certa volatilità durante tutto l'anno e si prevede che i fattori temporanei svaniranno dai tassi di inflazione annuali all'inizio del prossimo anno”. Dall'altra parte dell'oceano anche la Fed si è pronunciata sui rischi per i prossimi mesi. I membri del Fomc hanno rilevato che “ci vorrà del tempo prima che vengano compiuti progressi significativi nel raggiungimento degli obiettivi di massima occupazione e stabilità dei prezzi e che di conseguenza, in coerenza con la guidance basata sui risultati della Commissione, gli acquisti di asset continueranno al ritmo attuale almeno fino a quel momento”.
Al G20 il Ministro Franco fa il punto sulla crisi economica generata dall’emergenza Covid
“La ripresa è ricca di incertezze ed è iniqua tra i paesi. Il G20 ha rinnovato l'impegno ad evitare il ritiro prematuro delle misure di supporto, abbiamo riaffermato la decisione di avvalerci di tutti gli strumenti disponibili fino a che sarà necessario e affrontare le conseguenze a lungo termine della pandemia. Un recupero stabile e durevole non può essere ottenuto senza aver prima affrontato il Covid e rendere i vaccini accessibili e disponibili per tutti”. Lo ha detto il ministro dell'Economia Daniele Franco nel corso della conferenza stampa a conclusione della seconda riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali del G20. Per il titolare del Mef la crescita dell'Italia “è quasi in linea con quella dei paesi più sviluppati”. Per quest'anno vediamo una leggera flessione del Pil nel primo trimestre, una ripresa nel secondo trimestre che dovrebbe accentuarsi nel terzo e nel quarto in relazione alla graduale rimozione dei vincoli al movimento e alla graduale riapertura di tutte le attività economiche che ci aspettiamo abbia luogo nei prossimi mesi”, ha aggiunto. Ma permangono motivi di incertezza: “l'evoluzione dell'epidemia negli ultimi mesi ha avuto alti e bassi, il Governo sta adottando misure per la crescita economica e nelle prossime settimane completeremo il Def con il quale fisseremo i nuovi obiettivi di finanza pubblica. Nel far questo chiederemo al Parlamento un nuovo scostamento per un nuovo decreto volto a dare ulteriore sostegno all'economia e ai cittadini. Ci saranno interventi di carattere più strutturale che stiamo definendo con il completamento del Pnrr che consegneremo alla commissione europea a fine aprile”.
Per l’Istat in Italia quasi metà delle imprese sono a rischio per gli effetti della pandemia
Quasi la metà delle imprese italiane sono strutturalmente a rischio, solo l'11% risulta solido, e una su tre pensa di non farcela a superare la pandemia. L'effetto più devastante sul settore del turismo e, a livello territoriale, le più colpite sono le Regioni del Centro-Sud. È la fotografia scattata dall'Istat nel Rapporto 2021 sulla competitività dei settori produttivi. Una mappa della solidità delle imprese indica che “circa il 45% di esse è strutturalmente a rischio”, soprattutto nei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza. All'opposto, “solo l'11% risulta solido, ma spiega quasi la metà dell'occupazione e oltre due terzi del valore aggiunto complessivi”. Circa il 30% delle imprese è rimasto “spiazzato” dalla pandemia e a novembre 2020 “quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza, oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione e solo una su cinque riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi”.
I provvedimenti di lockdown introdotti in Italia e all'estero hanno svolto “un ruolo non marginale nella contrazione del valore aggiunto dei settori italiani” e in Italia il valore aggiunto è “diminuito dell'11,1% nell'industria in senso stretto, dell'8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6,0% nell'agricoltura”. Gli effetti economici più devastanti riguardano le attività legate al turismo. La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60%), nell'assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel traporto aereo (59%), nella ristorazione (55%). Nel comparto industriale risaltano le difficoltà della filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%). La crisi ha colpito soprattutto le imprese di piccola e piccolissima dimensione, attraverso un crollo della domanda interna e della liquidità, e ha “prodotto divisioni sul territorio”, anche a causa delle misure di contenimento della pandemia su base regionale. In 11 regioni, si legge, “almeno la metà delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio Alto o Medio-alto (riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi)". Sette sono nel Mezzogiorno, una al Nord e tre nel Centro Italia.
L’Istat è chiara: a febbraio quasi un milione in meno al lavoro
Quasi un milione di occupati in meno a febbraio rispetto allo stesso mese del 2020, prima delle restrizioni decise per fronteggiare la pandemia da Covid 19: il dato, secondo le rilevazioni Istat però risente delle nuove regole europee sul calcolo degli occupati scattate a gennaio 2021, che tiene fuori coloro che sono assenti dal lavoro per almeno tre mesi, come è accaduto in questo periodo per quelli che sono in cassa integrazione o hanno un’attività indipendente sospesa. Questi ultimi che fino a dicembre erano comunque considerati occupati sono conteggiati da gennaio tra gli inattivi (o tra i disoccupati se fano ricerche attive di lavoro) e fanno scendere in modo sensibile il numero di coloro che hanno un'occupazione. Secondo le nuove statistiche (rielaborate a partire dal 2004) gli occupati a febbraio erano 22.197.000, in lieve aumento su gennaio (+6.000) ma in forte calo su febbraio 2020 (-945.000), dato che risente anche del massiccio utilizzo degli ammortizzatori sociali e delle sospensioni di molte attività indipendenti. Il tasso di disoccupazione a febbraio si attesta al 10,2% diminuendo di 0,1 punti rispetto a gennaio e aumentando di 0,5 punti su febbraio 2020. I disoccupati a febbraio erano 2.518.000 in aumento di 21.000 unità rispetto a febbraio 2020 (-9.000 su gennaio 2021) mentre gli inattivi tra i 15 e i 64 anni erano 14.084.000 in aumento di 717.000 su un anno prima. In pratica la riduzione dell'occupazione non si è trasformata in una crescita della disoccupazione, ma prevalentemente in un aumento dell'inattività. Quest'ultima è parzialmente legata alla scarsa fiducia nella possibilità di trovare lavoro in questo periodo di pandemia e di restrizione dell’attività e in parte è un effetto statistico che comprende in questa platea anche coloro che sono in cassa integrazione ma hanno un lavoro e dovrebbero tornare in azienda quando ripartiranno le fabbriche e riapriranno negozi, alberghi e ristoranti.
Non sono cambiate invece le regole per il calcolo dei numeri sulla disoccupazione e dell’inattività. A gennaio quando è partito il nuovo calcolo si è registrata una riduzione di 184.000 occupati rispetto a dicembre (naturalmente sulla base di serie storiche ricostruite con le nuove regole). La diminuzione dell'occupazione coinvolge sia i dipendenti (-590.000) che gli autonomi (-355.000) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 2,2 punti percentuali toccando il 56,5%. A febbraio gli uomini hanno perso 533.000 occupati (-4%) su febbraio 2020 mentre le donne occupate in meno sono state 412.000 (-4,2%). È aumentata in modo consistente l’inattività con il 46,3% del totale tra le donne tra i 15 e i 64 anni e il 27,6% tra gli uomini. Ha sofferto soprattutto il lavoro a termine con 372.000 unità in meno in un anno (-12,8%) ma anche quello indipendente con 355.000 unità in meno a febbraio su un anno prima (-6,8%). Gli occupati dipendenti con un contratto a tempo indeterminato sono diminuiti di 218.000 unità (-1,5%) e questo è il dato che risente di più delle nuove regole e dell'assenza dal lavoro per cassa integrazione.