Renzi rilancia: “Se perdo non lascio la guida del Pd

Contrariamente a quanto fatto per il referendum costituzionale, questa volta Matteo Renzi non lega il suo destino politico all’esito del voto del 4 marzo. In caso di una sconfitta del Partito Democratico, qualora quindi non riuscisse a raggiungere quel 25% ottenuto da Pierluigi Bersani nel 2013, non farà nessun passo indietro e non si dimetterà da segretario.

Secondo Renzi il Partito Democratico dovrebbe essere il primo partito almeno in un ramo del Parlamento. I sondaggi dovrebbero vedere i dem in vantaggio al Senato, premiati da un elettorato più adulto rispetto a quello della Camera. Il segretario dem assicura che il risultato, sebbene difficile, è alla portata e dal palco di Brescia invita tutto il mondo democratico a dare il massimo nell’ultimo miglio prima del traguardo.

Ma nel Pd come nel resto della coalizione lo sguardo è già oltre l’ostacolo e si pensa già al giorno dopo il voto e agli eventuali accordi post elettorali per cercare di formare un nuovo Governo. In un’ottica interna, i renziani ricordano che il segretario è stato eletto lo scorso anno dalle primarie e dovrà eventualmente essere sfiduciato da un Congresso. Ma aggiungono che molto dipenderà dalle percentuali e che Renzi al momento non è in discussione.

La minoranza per ora non rompe, nelle dichiarazioni, il fronte unitario della campagna elettorale. Ma Michele Emiliano, dopo avere a lungo auspicato l'indicazione di Paolo Gentiloni come candidato premier, già invoca ad una "nuova fase" il 5 marzo. E dall'area che fa capo ad Andrea Orlando, senza negare che una sconfitta potrebbe aprire anche il dossier della guida del partito, si punta l'attenzione sul tema del Governo.

La minoranza non si fida molto dell’impegno di Renzi a non fare larghe intese con Berlusconi: la richiesta è perciò quella di essere nella delegazione del Pd che andrà al Colle, un segnale che lascia intendere che la minoranza non intende lasciare il “dopo” a Renzi. Ma il vero ago della bilancia sarà la componente guidata dal ministro Dario Franceschini, AreaDem: per ora il silenzio è totale ma quello che è certo è che non ci sarà un appoggio incondizionato al segretario come in passato.

Per quanto riguarda la coalizione di centro sinistra ieri sera Emma Bonino, leader di +Europa, nonostante abbia dichiarato in più occasioni la sua disponibilità ad accordi post elettorali con altri partiti, ha respinto la possibilità lanciata da Silvio Berlusconi di proporla come Presidente del Consiglio.

Venerdì Di Maio lancerà la squadra di Governo

Sono ormai un paio di settimane che la comunicazione di Luigi Di Maio e del Movimento 5 Stelle si muove su di un doppio binario: da una parte si rivolge, come ovvio, agli elettori e agli avversari politici e dall’altra direttamente al Quirinale. Lo scopo è riuscire a infuocare le piazze, lanciando il movimento di Grillo oltre il 30% dei voti e quindi accreditarlo come il partito più votato del Paese, e presentarsi agli occhi del Capo dello Stato come forza politica credibile e in grado di gestire la fase post elettorale.

Risponde ad entrambe le esigenze la strategia sui nomi del prossimo Governo. Nel fine settimana è stato lanciato per il Ministero dell’ambiente il generale dei Carabinieri Sergio Costa mentre ieri sono circolati altri due nomi: allo Sviluppo economico sembra in pole position Lorenzo Fioramonti, professore di Economia politica all’Università sudafricana di Pretoria, mentre allo sport, dopo il no di Damiano Tommasi, il più accreditato sarebbe l’ex commentatore sportivo Guido Bagatta.

Quello che è certo è che la lista della squadra di governo del Movimento 5 Stelle sarà lanciata venerdì pomeriggio al Salone delle Fontane, prima del grande evento a Piazza del Popolo a Roma per la chiusura della campagna elettorale. Alla grande manifestazione parteciperanno tutti i big del partito come Alessandro Di Battista, Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Virginia Raggi e Roberta Lombardi.



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