La Meloni discuterà presto con gli alleati sulla squadra del suo governo

Il giorno dopo lo storico successo alle politiche, Giorgia Meloni adotta la strategia del basso profilo affidando i suoi pensieri a un paio di post social riguardanti lavoro e famiglia. Nel primo la presidente di FdI ricorda come gli italiani hanno affidato al suo partito “una responsabilità importante” e per questo “ora sarà nostro compito non deluderli e fare il massimo per restituire dignità e orgoglio alla Nazione”. Nel secondo invece dà spazio agli affetti, pubblicando il bigliettino scritto dalla figlia Ginevra: “Cara mammina, sono tanto felice che hai vinto”. 

La leader non si fa vedere neanche alla conferenza stampa indetta dal partito per un commento a caldo dei risultati elettorali, a prendere la parola sono i dirigenti, i due capigruppo di Camera e Senato Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani, assieme al responsabile organizzazione Giovanni Donzelli. Sono loro ad analizzare il voto, a confermare che “la leader del primo partito italiano sente il peso di questa responsabilità” e che perciò “sta approfondendo tutti i dossier più scottanti e urgenti, tra cui quello relativo alla Nadef” visto che “bisogna preparare di corsa la legge di bilancio”. In cima ai pensieri di Giorgia Meloni c'è sicuramente la composizione del nuovo Governo, primo banco di prova della coalizione. La squadra andrà costruita confrontandosi con Lega e Forza Italia ma, come ha ricordato in più occasioni, dalle urne è arrivata una “indicazione chiara per un governo di centrodestra a guida FdI”. 

A fare un passo in avanti è Ignazio La Russa che si sofferma sui criteri con cui potrebbero determinarsi le scelte legate al futuro esecutivo: “Si può vedere anche tra chi c'era alla nostra Conferenza programmatica di Milano. Abbiamo invitato persone compatibili, che su valori e progetti possono aiutare. Per noi non è importante che abbiano la tessera del partito, bisogna scegliere le migliori energie ma compatibili con il programma e il progetto”. Tra gli ospiti della kermesse c'era l'ambasciatore Stefano Pontecorvo, che secondo rumors potrebbe andare alla Farnesina. Nel valzer del toto-nomi ecco spuntare poi per il Viminale il prefetto di Roma Matteo Piantedosi. Non agli Interni ma all'Agricoltura potrebbe perciò andare il segretario leghista Matteo Salvini, che spinge per affidare la Giustizia a Giulia Bongiorno. Al Ministero dell’Economia si parla del membro del board della Bce Fabio Panetta che avrebbe come vice il responsabile economico di Fdi Maurizio Leo. In quota Forza Italia il coordinatore nazionale Antonio Tajani è associato all'Istruzione, mentre se si dovesse decidere di creare un ministero dell'Energia un nome sarebbe quello di Paolo ScaroniGuido Crosetto potrebbe invece conquistare la Difesa o in alternativa ricoprire uno dei posti da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma c’è chi parla di lui come prossimo Ad di Leonardo. Per la presidenza di Camera e Senato, infine, si fanno i nomi di Maurizio Lupi e Roberto Calderoli

Salvini non si dimette e si assume la responsabilità. Oggi c’è il Consiglio Federale

Il giorno dopo il voto che ha visto la Lega raccogliere solamente l’8,8% dei consensi, Matteo Salvini, si presenta in conferenza stampa per commentare i risultati dopo una notte di silenzio. Il responso delle urne è netto e oggi il Consiglio federale è convocato alle 15.00 a Milano per un’analisi del voto, che dà la Lega doppiata da Fratelli d’Italia in Lombardia, in Veneto e ancora più indietro in Friuli-Venezia Giulia, tre regioni guidate dal Carroccio. Salvini cede l'onore delle armi alla vera vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni: “Chapeau, è stata brava a fare opposizione. Alla Lega è costato il sostegno al governo Draghi”, ma “lo rifarei”. E si dice pronto a costruire insieme agli alleati la squadra di governo: “Conto che si tiri dritto per 5 anni mettendo al centro le cose da fare. Se la Lega fa la Lega, non ce n'è per nessuno”. Certo è che l’8,8% del voto di domenica, che ha ribaltato gli equilibri nel centrodestra regalando a Meloni e a FdI le chiavi della coalizione, è un crollo rispetto al 17% circa delle politiche del 2018 e del 34,2% delle europee del 2019. Nella notte elettorale, la finestra da cui solo tre anni fa era spuntata la statuetta di Alberto da Giussano mostrata ai cronisti da Giancarlo Giorgetti domenica aveva la tapparella abbassata. D’altronde, non c’era molto da festeggiare al di là della vittoria dell’intera coalizione

Una vittoria non soddisfacente per Matteo Salvini che ieri ai cronisti comunque ha ribadito: “Il giudizio degli elettori è chiaro. Gli elettori hanno premiato, bravi loro, quelli che hanno fatto opposizione. Domani ho convocato il Consiglio federale, valuteremo tutti i dati”. Una riunione dello Stato maggiore cui parteciperanno, fra gli altri, anche Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, ci sarà anche Attilio Fontana, che scalpita per la riconferma in vista delle regionali del 2023 e avverte: “Non nascondo che il risultato di oggi del mio partito necessiti di una seria riflessione. Sono certo che, a partire dall'impegno dei propri militanti e dei tanti amministratori, la Lega saprà immediatamente riannodare il dialogo con le proprie comunità”. 

In ogni caso, Salvini non vuole sentire parlare di dimissioni e alle domande sul suo futuro nel partito, di cui va fiero per la “quota 100 parlamentari” eletti, risponde così: “Una fase di riorganizzazione del movimento, puntando su sindaci e amministratori, è fondamentale”. E ancora: “I governatori sono militanti come gli altri. Tutti hanno dato il massimo. Oggi è una bella giornata di democrazia per l'Italia di centrodestra. Quando votano gli italiani, votano sempre bene. Se questa volta hanno premiato altri e meno noi, vuol dire che noi ci facciamo internamente le nostre valutazioni. Sono andato a letto abbastanza incazzato ora sono carico a molla”. Il leader del Carroccio poi sottolinea: “Il mio mandato è in mano ai militanti. Non è un'autoassoluzione, mi prendo io tutte le responsabilità, mi faccio carico degli errori. Onori e oneri, sono abituato a fare così e conto che il 99% della comunità militante lavori insieme. Se qualcuno ha altri progetti, non siamo mica una caserma”. Comunque sia, la tensione è palpabile, i governatori sono sul piede di guerra e lo scontento, specie sui territori è molto avvertito. Matteo Salvini dovrà quindi giocare d’anticipo e soprattutto con diplomazia sia sul fronte interno che su quello della coalizione e la fase di costruzione del prossimo governo sarà centrale per ricompattare il partito.

Lo sconfitto Letta anticipa il congresso. Pronti Bonaccini, Schlein e Ricci

Per spirito di servizio era tornato da Parigi, per lo stesso spirito di servizio Enrico Letta condurrà il Pd a un congresso al quale non si ricandiderà per la segreteria. Il leader ne parla con lo Stato maggiore in mattinata e poi in conferenza stampa subito dopo. L'analisi della sconfitta è netta e condivisa, e condivisa è anche la necessità di “evitare ulteriori traumi e nuove rotture al partito”. Ecco perché alla fine la scelta è per una “gestione ordinata” del percorso di avvicinamento al congresso. La scadenza naturale è a marzo: i tempi tecnici di avvio della legislatura e di formazione del Governo non permettono di partire prima di un mese, un mese e mezzo. Per mettere in moto la macchina e arrivare al traguardo ci vogliono poi “minimo tre mesi”. 

A gennaio potrebbero tenersi le Regionali nel Lazio e in Lombardia. Le primarie per il nuovo segretario potrebbero essere a febbraio. Davanti ai giornalisti Letta ribadisce la linea: “I numeri dimostrano che l'unico modo per battere la destra era fare il campo largo, non è stato possibile non per nostra volontà”, insiste. Quanto a chi già bolla come affrettato l'addio al M5S, l'ex premier ricorda: “Se dopo Draghi arriva Meloni è per colpa di Conte che ha fatto cadere il Governo”. E su Carlo Calenda, taglia corto, suo il “fuoco amico” che, ad esempio, non ha permesso a Emma Bonino di entrare in Parlamento. Per il segretario, quindi, il congresso dovrà segnare una “profonda riflessione sul concetto di un nuovo Pd che sia all'altezza di questa sfida epocale, di fronte a una destra che più destra non c'è mai stata”. Intanto, però, sono i nomi dei possibili candidati al dopo Letta a circolare: Stefano Bonaccini resta una possibilità alla quale guardano in tanti anche se per il momento non esce, giustamente, allo scoperto. 

Dall'area dem che fa riferimento a Lorenzo Guerini e Luca Lotti confermano: nessuna volontà di mettere marchi su possibili candidati, anche se “se Bonaccini si candidasse noi lo sosterremmo”. In campo, in un derby tutto emiliano, potrebbe esserci anche la vicepresidente di Bonaccini in Consiglio regionale Elly Schlein: incoronata dal Guardian come “stella nascente” del centrosinistra e volto “anti Meloni” della campagna elettorale, l'ex europarlamentare potrebbe essere la carta “left” da giocare, entrando poi a pieno diritto in quelle “nuove generazioni” alle quali Letta ha fatto riferimento per il futuro. Anche Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei primi cittadini Pd, valuta la corsa alla segreteria; secondo i rumors, una sua riflessione sarebbe in corso visto il pressing di alcuni amministratori locali dem per “valorizzare le esperienze maturate sul territorio”. E anche Paola De Micheli, secondo alcune voci, alla fine potrebbe decidere di correre. Quello che è certo è che gli elettori hanno chiesto al Pd un cambiamento e l’avvio di una nuova fase che produca risposte nuove da persone nuove e soprattutto che sia capace di fare opposizione a una destra sovranista che si appresta a governare il Paese.

Conte parla di un grande successo e punta a essere il leader dell’opposizione

Il giorno dopo il voto Giuseppe Conte parla del recupero del M5S come di “un grande successo” e incassa anche il plauso del garante Beppe Grillo, che rompe il silenzio e twitta “Viva il Movimento 5 Stelle!”, accompagnando l'esultanza con un video dei suoi in cui paragona il Movimento a un nespolo malridotto cui “gliene abbiamo fatte di tutti i colori” ma “fa delle nespole bellissime”. E tocca persino al vecchio capo politico Luigi Di Maio, grande sconfitto dalle urne e fuori dal Parlamento, fare i “complimenti a Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, i due vincitori di queste elezioni”. Insomma, dal voto esce un risultato che il leader pentastellato sembra voler subito capitalizzare. Approfitta delle difficoltà del Pd per proporsi come leader dell'opposizione che fissa paletti sia nei confronti dei vincitori del centrodestra che di eventuali futuri alleati nel campo progressista. Conte, infatti, archivia definitivamente l'intesa con Letta: “Ha puntato il dito contro di me esplicitamente e univocamente”, dice, ma “quando c'è una sconfitta come quella del Pd, il leader non cerca capri espiatori cui addossare la responsabilità”. 

Prima del congresso “non ci sarà alcun dialogo” coi dem, assicura, prima “bisogna capire che Pd verrà fuori dal confronto interno che ci sarà. All'esito di quello, vedremo se ci saranno le condizioni per riallacciare il dialogo”. Anche l'alleanza per le regionali nel Lazio è a rischio, perché dopo quanto accaduto in queste elezioni “non sarà facile dialogare con noi”, avverte l'ex premier, che lancia un messaggio altrettanto chiaro a Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli: “Se si uniranno alle nostre battaglie ne saremo contenti. Ma bisogna dimostrare nei fatti di essere d'accordo con noi”. Quanto al centrodestra, Conte ne riconosce la vittoria, fa gli auguri a Giorgia Meloni ma avvisa: “Difenderemo i nostri valori e i principi costituzionali, e non faremo sconti. Nella prospettiva di un governo di centrodestra non ci sentiamo di festeggiare alcunché”. Il presidente dei cinque stelle promette battaglia sul presidenzialismo e sull'agenda sociale: “Se verrà toccato il reddito di cittadinanza l'opposizione sarà durissima e inflessibile. Su questo come sul principio di progressività del sistema fiscale non faremo sconti”. 



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