Meloni: “Se divento premier non rinuncerò a nulla di ciò che riguarda mia figlia”

Giorgia Meloni, tra una tappa e l'altra della campagna elettorale, parla con la rivista “Chi” e rivendica il ruolo delle donne in politica. “Le donne si organizzano sempre. Basta guardare Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che ha sette figli, o Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, che sta crescendo quattro maschi”. Quindi, è il messaggio, se il voto la sosterrà, nulla le potrà impedire di arrivare a Palazzo Chigi. Anche se, ammette, “spesso mi sono sentita inadeguata e a volte tutto mi sembra più grande di me”. Ma, appunto, “sono un soldato, una combattente” e visto che “i sondaggi ci danno al 24% perché siamo i più seri”, la conseguenza è che il premierato non se lo lascerà sfuggire. Ma una cosa l'ha ben chiara in mente: anche nel caso diventi premier, dice, “non rinuncerò a nulla di ciò che riguarda mia figlia Ginevra, che ha 6 anni”. Intanto la leader di Fratelli d'Italia continua il suo giro nelle regioni. 

Ieri sera a “Fuori dal coro”, su Rete 4, la Meloni ha rilanciato: “Perché con me dovrebbe cambiare qualcosa in Italia? Perché non ho paura dei tanti gruppi di potere che hanno tenuto questa nazione bloccata, perché non mi spaventano determinate lobby. E perché penso che questa nazione si possa rilanciare solo se torna a crederci la gente”. E nessun timore nemmeno davanti alla possibilità di diventare la prima premier donna in Italia: “Le donne di destra interpretano la parità come una sfida e non come una concessione. Noi sappiamo che, qualunque sia il nostro sesso, nessuno ti regala niente. Sto al gioco degli uomini e non ho mai accettato il principio di ricevere un trattamento diverso perché donna, perché voglio raggiungere i miei obiettivi grazie alle mie capacità e non per il genere”.

Letta e Conte lanciano la corsa in Veneto per recuperare i delusi del post Draghi

L'obiettivo è chiaro: approfittare del disorientamento dei moderato-leghisti dopo la caduta del governo Draghi per tornare a guadagnare consensi in Veneto. Sarà una coincidenza, ma gli ex alleati Enrico Letta e Giuseppe Conte stanno battendo la regione in un tour elettorale che, da punti di partenza diversi, sa di scommessa: intercettare voti in uscita dalla Lega di Matteo Salvini, e portare a casa seggi in una terra dove la Lega vince con percentuali del 70%, e il centrodestra punta a fare cappotto. In ambienti del Pd si dice che sarebbe un successo riuscire a fare qui 7-8 parlamentari. Ancora più dura per i 5 Stelle, che in Veneto dopo i fasti dell'esordio sono praticamente scomparsi. Enrico Letta è partito dalla provincia di Vicenza, dove è candidato come capolista alla Camera, incontrando le realtà industriali in ginocchio per il caro energia. Giuseppe Conte ha circumnavigato la provincia di Treviso, parlando con chi fa innovazione e sostenibilità e rilanciando il mantra sull'energia da fonti rinnovabili, e l'addio a quelle fossili. Ad un certo punto si è rischiato un ingorgo di ex premier: perché a Vicenza c'era in campagna anche Matteo Renzi

I leader di M5S e Pd stanno conducendo una campagna, social a parte, di forte confronto con il territorio “La gente va incontrata, vanno strette mani nei mercati, sui luoghi di lavoro”. Anche per rispondere alle critiche del proprio stesso elettorato: come a Vicenza, dove i militanti Dem hanno mal digerito i paracadutati del Pd da Roma, lo stesso Letta e Beatrice Lorenzin, entrambi capolista in Veneto. Il segretario del Pd allora ha dovuto instillare entusiasmo nei 500 sostenitori accorsi ad ascoltarlo a Torri di Quartesolo, sottolineando che la storia si può cambiare. “Nessuna sfida è impossibile. Come abbiamo dimostrato con i successi dei nostri sindaci, Damiano Tommasi a Verona, e Sergio Giordani a Padova”. Il leader Dem è apparso carico per questa sfida in Veneto “che per me è una delle cose più belle della campagna elettorale. Sono qui per convincere coloro che sono rimasti molto delusi dall'atteggiamento della Lega, in particolare, e di Forza Italia, che ha fatto cadere il Governo Draghi”. Giuseppe Conte, invece, al netto delle responsabilità politiche ha rimarcato la diversità del Movimento 5 Stelle rispetto agli altri partiti “Chi è stato mandato a casa da degli irresponsabili, che oggi sono in tutti gli schieramenti, tranne nel nostro”. Ed infatti, da Treviso, ha chiuso la porta a Letta: “fino a quando i vertici del Pd saranno concentrati su un'agenda Draghi di cui non conosciamo i contenuti”, “non saranno possibili alleanze”.

Sull’energia il governo lavora su nuove misure, verso proroga taglio accise

Il governo studia nuove misure di sostegno contro il caro bollette di luce e gas. Dopo il no allo scostamento di bilancio sembra sia ormai in arrivo un nuovo provvedimento che potrebbe andare in Cdm la settimana prossima. Sulla questione si sono riuniti il premier Mario Draghi, il ministro all'Economia Daniele Franco e il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani. Oltre al credito d'imposta e alla proroga al taglio delle accise sui carburanti per altri 15 giorni, quindi fino al 5 ottobre; c'è anche molta attenzione alla partita sugli extraprofitti. Intanto si spera che, dopo le aperture delle ultime ore sul fronte europeo, si possa arrivare alla definizione di un tetto al prezzo del gas. Gli industriali del nord Italia, i presidenti di Confindustria Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto nel corso di una riunione ad hoc, hanno lanciato un altro allarme, in linea con l'appello del presidente nazionale Carlo Bonomi, sulla situazione di “urgenza indifferibile” per “tutta la filiera produttiva”.

Tra gli elementi messi in evidenza “l'annullamento del rilancio economico post-pandemia”. Secondo gli industriali del Nord “nel 2019 il totale dei costi di elettricità e gas sostenuti dal settore delle quattro Regioni ammontava a circa 4,5 miliardi di euro; nel 2022 gli extra-costi raggiungeranno una quota pari a circa 36 miliardi di euro, che potrebbe essere addirittura superiore ai 41 miliardi nello scenario di prezzo peggiore”. Per questo dicono “le imprese non possono attendere un giorno di più” quelle misure come “l'introduzione di un tetto al prezzo del gas, la separazione del meccanismo di formazione del prezzo dell'elettricità da quello del gas, misure per il contenimento dei costi delle bollette con risorse nazionali ed europee, destinazione di una quota nazionale di produzione da fonti rinnovabili a costo amministrato” alle industrie. La definizione di un tetto europeo al prezzo del gas sembrerebbe vicino.

Governo e partiti si posizionano sull’energia. Scostamento divide il centrodestra

I partiti concordano sulla necessità di intervenire subito, ma se il pressing su Mario Draghi per muoversi al più presto contro il caro-energia unisce tutti gli schieramenti, a dividere i partiti sono non solo le ricette da mettere in campo ma anche le modalità per trovare le risorse. A chi invoca un maxi-scostamento di bilancio come ai tempi della crisi Covid, Matteo Salvini in testa, Giorgia Meloni, in linea con Palazzo Chigi, è per agire in fretta ma senza creare nuovo debito. Le misure contro il caro-energia ancora non sono mature. La volontà c’è, soprattutto per evitare blocchi della produzione o, peggio ancora chiusura di imprese, ma “la coperta è corta”, sospira più di un ministro. In mattinata il ministro Daniele Franco ha fatto un punto con il premier ma senza i dati sulle entrate di luglio e di agosto è difficile fare simulazioni. Per i calcoli precisi servirà ancora qualche giorno ma già c’è chi si spinge a ipotizzare una dote da 6-8 miliardi. Numeri “in libertà”, almeno per ora, dicono gli addetti ai lavori, che sono in attesa anche di testare gli effetti della stretta varata a inizio agosto sulle imprese del comparto energetico che non hanno versato l'acconto della tassa sugli extraprofitti. Un tasto su cui batte il Pd: “il governo recuperi con tutti gli strumenti possibili quanto dovuto” chiedono i dem mentre il segretario Enrico Letta definisce “improcrastinabile” un intervento “sia italiano che europeo per bloccare le bollette e fermare la speculazione”.

Difficile, come chiede ad esempio FdI, che si modifichi la base imponibile della tassa. Ma non si escludono, nel passaggio parlamentare del decreto aiuti bis, “ritocchi tecnici” per rendere il meccanismo più efficace e sottrarre alle aziende alibi per non pagare. Finora in cassa è entrato poco più di un miliardo sui circa 10 attesi complessivamente. E c’è chi non esclude che si possa anche aumentare la percentuale del prelievo, oggi al 25% (lo chiede la sinistra di Fratoianni, non lo esclude il Pd). Per ora le commissioni in Senato sono convocate per un esame lampo in due sole sedute, oggi pomeriggio e martedì, a ridosso dell'Aula. Ma un eventuale nuovo intervento, che si dovrebbe concentrare prevalentemente sulle imprese, potrebbe essere contenuto in un decreto-legge da travasare per intero, e a quel punto senza ulteriori modifiche, nel decreto aiuti bis, anche per evitare di lasciare le misure appese in piena campagna elettorale. “Troviamoci in Parlamento lunedì” rilancia l'invito agli altri partiti Meloni. Ma niente extradeficit come chiede il suo alleato leghista, e come si esclude nel centrosinistra. Salvini chiede “un decreto di guerra perché siamo in guerra” e ribadisce che “con meno di 30 miliardi rischiamo un'ecatombe”. A metà strada la posizione di Fi: “meglio” se si riesce a fare qualcosa, comunque, è il ragionamento di Antonio Tajani, ma “se la situazione dovesse precipitare” via libera al modello Covid per proteggere famiglie e imprese.

Draghi: serve uno sforzo straordinario per mettere al riparo il Pnrr

Mario Draghi suona la carica e dopo la pausa estiva richiama i ministeri interessati affinché si rispettino i tempi dell'attuazione del programma di riforme e investimenti dell'esecutivo e si raggiungano i traguardi e i target del Pnrr. L'obiettivo, evidentemente, è quello di chiudere il maggior numero di dossier, mettere a riparo i fondi da incassare dall'Europa nel 2022 e lasciare un carico più leggero di cose da fare al nuovo governo che si formerà dopo le elezioni. A Palazzo Chigi hanno fatto i conti sulle tempistiche, il nuovo esecutivo dovrà affrontare prima di tutto il rinnovo dei decreti sul caro energia e carburanti, oltre alla manovra economica tutta da scrivere e da approvare entro il 31 dicembre. E le previsioni che circolano indicano il possibile insediamento del nuovo governo la prima settimana di novembre. Il Piano di ripresa e resilienza, come spesso ha ricordato il premier Draghi, rientra nel perimetro delle urgenze per cui è nata la sua squadra a febbraio del 2021 e in quelle indicate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando ha sciolto le Camere consegnando all'ex capo della Bce gli affari correnti potenziati. “Vietato perdere tempo”, è l'ordine di scuderia.

La linea è tracciata e a spiegarne dettagli e timing è il sottosegretario Roberto Garofoli che ha riunito i capi di gabinetto dei dicasteri. Ogni amministrazione, durante l'incontro, ha presentato una ricognizione sullo stato dell'arte e sui tempi per raggiungere Milestones e target del secondo semestre 2022. Il messaggio è stato chiaro: “Accelerare e adottare tutte quelle misure che, sulla base delle scadenze e del cronoprogramma previsto dal Piano, possono essere anticipate a settembre e ottobre”. Non a caso l'Ufficio del programma di governo ha elaborato “dei target molto ambiziosi che portino ad una drastica riduzione dello stock della XVIII legislatura con un target complessivo di 121 provvedimenti a settembre e 122 provvedimenti ad ottobre”. Pertanto “per ogni Amministrazione sono stati elaborati dei target quantitativi, ma anche specifici con l'indicazione dei provvedimenti, avendo già provveduto ad escludere i decreti presenti nello stock con un termine di scadenza ai sensi di legge fissato per fine 2022 o addirittura per il 2023 oppure caratterizzati da un iter di adozione troppo lungo per essere perfezionato in due mesi (ad es. regolamenti con dpr) ovvero ancora provvedimenti rispetto ai quali la singola amministrazione ha rappresentato la sussistenza di gravi problematicità attuative”. 



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