Ue compatta contro l'Italia. Tria fermo, niente manovra
Il negoziato con la Commissione Ue è partito e il fronte europeo si compatta a sostegno di Bruxelles. Nessuno vuole arrivare davvero all'apertura di una procedura d’infrazione per debito eccessivo, ma ora si chiede all'Italia di fare le sue mosse per evitarla. Il tempo non è molto, perché la Commissione vuole mettere l'Ecofin dell'8-9 luglio nelle condizioni di decidere se aprire o no una sanzione a carico di Roma. La richiesta di partenza è chiara: “Servono aggiustamenti considerevoli per quest'anno e per il prossimo”, ha detto il vicepresidente Valdis Dombrovskis; ma il Ministro dell'economia Giovanni Tria torna a escludere una manovra correttiva: “Non ne abbiamo bisogno”.
All'Eurogruppo di Lussemburgo l'Italia non è sull'agenda, ma i protagonisti del negoziato preparano il terreno. La Commissione vuole avere un mandato politico dai Ministri per poter andare avanti sia nella trattativa col Governo sia nell'iter formale della procedura, ormai avviato due settimane fa. E la tappa è scontata, visto che i ministri avevano già dato l'ok ai loro Direttori generali riuniti nel Comitato economico e finanziario (Efc), che martedì scorso aveva approvato la valutazione dei Commissari sul debito italiano. Il presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno lo chiarisce ulteriormente: “Sull'Italia dobbiamo essere in grado di rassicurare tutti, i cittadini italiani, le imprese, gli investitori, che gli impegni ci sono e li rispettiamo”.
Sono gli stessi impegni di cui parla Dombrovskis: il saldo strutturale dell'Italia deve migliorare, sia nel 2019 che nel 2020. “È prima di tutto nell'interesse dell'Italia”, ha detto il lettone, ribadendo una linea ormai nota, ovvero che il debito italiano va messo su un percorso di discesa credibile. È quello che a Bruxelles si aspettano dal Governo nelle prossime settimane: che individui il modo per fare risparmi già da quest'anno, in modo da rimediare anche al buco del 2018. Il commissario Pierre Moscovici gioca come sempre la parte della colomba: “Vogliamo evitare una procedura per debito”, che in questa fase non è ancora scontata, anzi, “è ancora evitabile”. E quindi ora servono “fatti, cifre, dati per il 2019 e 2020, perché le intenzioni non bastano”.
Tria prepara il negoziato e assicura che la flat tax non sarà fatta in deficit
Il Ministro dell’Economia Giovanni Tria, intanto, avvia il negoziato. Ancora non ci sono numeri sul tavolo, né da parte italiana né da parte europea. Lo stadio della trattativa è ancora embrionale e la Ue per ora ascolta i nuovi elementi che il Ministro, promette, a fine luglio dimostreranno che gli obiettivi del deficit saranno centrati. Si tratta delle entrate fiscali supplementari del primo semestre, ad esempio dalla fatturazione elettronica, e poi le ricadute di quota 100 e reddito di cittadinanza. Ma i Commissari e i Ministri dell'Eurozona si aspettano qualcosa di ben diverso. Il negoziato dovrà avvicinare le due posizioni, che al momento sembrano molto distanti. “Stiamo facendo un negoziato sugli obiettivi di deficit che noi abbiamo, dimostreremo che li raggiungeremo perché ci mettono in posizione di sicurezza”, assicura Tria, che esclude anche di fare la flat tax in deficit: “Ero favorevole alla flat tax anche in passato, bisogna vedere come si fa, ma in questo momento gli obiettivi di deficit sono quelli”.
Il capo del Mef smentisce una lite con il vicepremier Matteo Salvini sulla questione: una “notizia chiaramente falsa, di colore”. Sul caso italiano si esprime anche il direttore del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, che invita il Governo a muoversi: “Credo che tutti quei Paesi che hanno un alto debito, e l'Italia occupa una posizione piuttosto importante in questa categoria, hanno strumenti e politiche per affrontare la situazione attuale. Come membro dell'unione monetaria, insieme ai colleghi e alle istituzioni, dovrebbe trovare il percorso di bilancio e avere il coraggio politico di attuare le riforme che liberino il genio italiano”.
Il salvataggio di Radio Radicale spacca il Governo
I timidi segnali di ripresa dei rapporti tra Lega e M5S sono già tornati ai minimi livelli e il nuovo pomo della discordia è il sì della Lega a un emendamento del Partito Democratico che concede 3 milioni di euro a Radio Radicale. Luigi Di Maio proprio non riesce a mandare giù il boccone: “Oggi la maggioranza si è spaccata, per la prima volta, inutile nasconderlo”. Parole che fanno trasparire tutta l'irritazione per la mossa dell'alleato, non concordata o preannunciata da Matteo Salvini: “La Lega ha votato a favore (insieme a Forza Italia), con mia grande sorpresa; è una cosa gravissima, di cui dovrà rispondere davanti ai cittadini”. I Cinque Stelle vivono questa vicenda come una rottura del contratto di Governo, ma soprattutto come l’ennesima provocazione.
Il Ministro dell'Interno, però, getta acqua sul fuoco, pur difendendo l'operato dei suoi: “Non si chiude una radio con un emendamento. Ma chiariremo tutto anche in questo caso”. Matteo Salvini, per forza di cose, deve fare i conti con la maggioranza del suo partito che vorrebbe chiudere l'esperienza di governo con il Movimento e capitalizzare il trend positivo con nuove elezioni politiche. Ma il vicepremier non si rassegna all'idea che non ci sia più un futuro per l'esecutivo anche se le ipotesi di rimpasto sembrano di ora in ora più lontane.
Le due forze di maggioranza hanno ben altri problemi cui pensare. Come trovare il modo di scongiurare l'apertura di una procedura d’infrazione Ue, ma senza deprimere la prossima legge di Bilancio e senza calare troppo la testa con Bruxelles, rischiando di indebolire il peso dell'Italia proprio alla vigilia delle trattative per la composizione della nuova Commissione. Il problema inevitabilmente impone una profonda riflessione interna alla maggioranza visto che in questo momento sul tavolo, oltre alla flat tax, c’è anche il salario minimo a 9 euro e la conferma del reddito di cittadinanza e quota 100, tutte misure che hanno un impatto importante sul deficit e sulle quale dovrà essere presa una decisione.
Mattarella chiede di voltare pagina per nuovo Csm
Dopo giorni d’intensa riflessione Sergio Mattarella non nasconde la propria preoccupazione, apre alla riforma delle procedure di elezione dei membri del Csm e indice per ottobre le suppletive per la sostituzione dei due membri al centro della bufera giudiziaria sugli accordi per le nomine di alcune importantissime procure. Forse per alcuni a sorpresa, il capo dello Stato ha deciso di non attendere oltre e di non sciogliere il Csm. La motivazione è forte e ben riflette lo stato d'animo del presidente e capo del Csm: uno scioglimento oggi cambierebbe poco riproponendo con tutta probabilità le stesse criticità che le indagini stanno portando a galla.
Naturalmente l'obiettivo del presidente Mattarella è di restituire l'indipendenza alla Magistratura che oggi è fiaccata dalla bufera dell'inchiesta e dall'amplificazione mediatica attraverso una serie d’intercettazioni, che saranno valutate penalmente ma che di certo mostrano all'opinione pubblica una poco edificante commistione con la politica. Mattarella quindi concede tempo alla politica per elaborare ed approvare un progetto di riforma del metodo di elezione al Csm. Mattarella ha avuto in queste settimane continui contatti con i vertici del Csm e con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede; in una prima fase il presidente aveva dato mandato al vicepresidente Ermini di esplorare e approfondire la gravità della situazione ma oggi ha deciso di voltare pagina anche per evitare che il Quirinale possa essere utilizzato strumentalmente.