Dopo che nella giornata di martedì il Governo guidato dal neo-Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha ottenuto la fiducia della Camera con 360 voti favorevoli e 105 contrari, ieri è stato il turno del Senato. Anche l’altro ramo del Parlamento, nonostante la maggioranza sia nettamente più risicata rispetto a quella di Montecitorio, ha dato il via libera al Governo che ha raccolto 169 voti favorevoli, 99 contrari e nessun astenuto, un risultato in linea con le previsioni che accreditavano il nuovo Esecutivo di un sostegno tra i 166 e i 172 senatori, contando ministri e senatori a vita.

Anche al Senato le opposizioni hanno contestato duramente il nuovo Governo. In particolare i rappresentati del Movimento 5 Stelle, della Lega Nord e quelli facenti capo a Verdini non hanno partecipato ai lavori e al voto finale. Volendo alzare il tono della contrapposizione con la maggioranza, i 34 senatori Grillini, lasciando l’Aula, hanno lasciato sui loro banchi una copia della Costituzione, mentre i 18 senatori verdiniani, per evidenziare la loro contrarietà al Governo dal quale sono stati rumorosamente esclusi, hanno scelto di voltare le spalle al Presidente del Consiglio. L’Esecutivo ha ricevuto però il sostegno dei senatori ex Sel Dario Stefàno e Luciano Uras, e anche dell'ex premier e senatore a vita Mario Monti.

Nel suo intervento, il Premier Gentiloni ha sostanzialmente ribadito quanto già detto alla Camera sulla rilevanza dei prossimi impegni internazionali, sulla questione delle politiche di sicurezza e sul rafforzamento della ripresa economica, senza però tralasciare la delicata questione del sistema bancario, delle politiche sociali e per il mezzogiorno, e la necessità di portare a compimento la riforma della pubblica amministrazione e quella del processo penale. Infine ha affermato la necessità di una modifica e armonizzazione della legge elettorale per entrambi i rami del Parlamento. Nella sua replica ha però ribadito che "Non siamo innamorati della continuità, avevamo chiesto una maggiore convergenza, ma dalle forze politiche c'è stata indisponibilità. La presa d'atto di questa situazione ha spinto le forze che compongono la maggioranza a formare questo Governo. Per responsabilità. Sarebbe stato più utile sottrarsi a questa responsabilità, ma il segno di questo Governo è farsi carico di questa situazione". Gentiloni terminando il suo intervento ha poi citato l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi: " Resto in carica per il tempo che sarà necessario in questa delicata transizione e servirò con umiltà gli interessi del Paese".

Quello che sembra chiaro a tutti, salvo sorprese, è che il Governo Gentiloni avrà vita breve e che presto il Paese sarà nuovamente chiamato al voto. Il vero interrogativo è quando ciò accadrà. Di sicuro le varie forze politiche dovranno tenere ben presente la possibilità che già in primavera gli italiani possano essere chiamati a dire la loro su un nuovo referendum che questa volta riguarderà il Jobs Act: l'evento è ancora lontano e richiede ancora diversi passaggi istituzionali, tra cui quello fissato per l’11 gennaio quando la Corte Costituzionale si riunirà per valutare l’ammissibilità delle richieste relative a tre referendum popolari abrogativi in materia di lavoro. Nello specifico, le richieste riguardano le disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi, quelle limitative della responsabilità solidale in materia di appalti e quelle sul lavoro accessorio (voucher). Se la Consulta riconoscesse l’ammissibilità dei quesiti si andrebbe a votare in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno del prossimo anno, a meno di un ritorno al voto per il rinnovo delle Camere, che farebbe slittare il referendum di almeno dodici mesi. L'ipotesi è stata avanzata dal Ministro del lavoro Giuliano Poletti; le parole di Poletti sono state duramente commentate sia dalle opposizioni sia dai sindacati, in particolare dalla Cgil. Quello che è certo è che la variabile non è secondaria per tutte le forze politiche e in particolare per Matteo Renzi dal momento che una bocciatura delle norme sul lavoro rappresenterebbe l’ennesima sconfessione delle politiche del suo Governo e potrebbe molto probabilmenteazzoppare ogni possibilità di rivincita dell’ex Presidente del Consiglio poiché si riformerebbe la "corazzata del No", formata da Cgil, Movimento 5 Stelle, Lega Nord, spezzoni delle sinistre e magari una parte della minoranza del PD.

Per quanto riguarda i lavori parlamentari, nella giornata di oggi l’Assemblea del Senato e le Commissioni non si riuniranno. Tutto rimandato a martedì della settimana prossima dopo le comunicazioni del Presidente Piero Grasso sul nuovo calendario dei lavori. Per quanto riguarda l’altro ramo del Parlamento, dopo che nella giornata di ieri l’aula di Montecitorio ha approvato definitivamente il decreto terremoto, oggi l’Assemblea della Camera e le Commissioni non si riuniranno: come era da immaginarsi, visti i recenti sviluppi politici, i lavori sono rinviati alla settimana prossima.

Ieri pomeriggio si è tenuto il secondo Consiglio dei ministri presieduto da Paolo Gentiloni. La riunione di Governo è durata poco meno di un’ora. Nello specifico sono stati esaminati in via preliminare alcuni provvedimenti attuativi di direttive europee fra cui quello sulla gestione collettiva dei diritti d’autore su opere musicali on-line e quello sullaqualità della benzina e del combustibile diesel; approvati invece in via definitiva due decreti legislativi sulla codifica di tessuti e cellule umane e sulle infrastrutture per i combustibili alternativi.

Intanto in casa del Partito Democratico la tensione rimane altissima. Sono moltissimi i temi di scontro come legge elettorale, post referendum e nuovo Governo ma soprattutto il prossimo congresso che, secondo quanto anticipato dal Segretario Matteo Renzi, potrebbe tenersi tra febbraio e marzo. La decisione sarà presa dall’Assemblea Nazionale del partito prevista per domenica prossima e che proprio ieri è stata definitivamente confermata. Le trattative per frenare la corsa di Renzi verso la riconferma alla guida del partito, e poi versonuove elezioni, ieri avevano spinto anche a ipotizzare un rinvio, ma alla fine si è deciso di procedere comunque. Sulla linea proposta dal Segretario c'è il rischio di una spaccatura che potrebbe suonare drammatica poiché la minoranza guidata da Speranza e Bersani non accetta l’idea stessa di un congresso unicamente orientato alla rielezione di Renzi e non al confronto politico interno e sul partito. Ma a essere scettiche sarebbero anche alcune componenti della maggioranza, come l’area che fa capo al Ministro della cultura Dario Franceschini, fortemente preoccupata per l’unità del partito, e anche una parte dei renziani.

Ma le intenzioni di Renzi sembrano estremamente chiare e tutte orientate ad andare al voto il prima possibile e non oltre giugno, così da non lasciare il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord e Fratelli di Italia a sparare a zero sul Governo Gentiloni rimanendo comodamente all’opposizione. Sostanzialmente, quello che vuole evitare l’ex sindaco di Firenze è l’effetto logoramento che contraddistinse gli ultimi mesi del Governo Monti e che di fatto ne compromise fortemente il risultato elettorale. Ieri sera il vice segretario del Partito Democratico Lorenzo Guerini, ospite di Bruno Vespa, ha ribadito che andare a votare a giugno è possibile, che le scadenze internazionali non rappresentano un problema e che il Pd non accetterà giochini e astuzie parlamentari per perdere tempo sulla definizione della nuova legge elettorale di Camera e Senato. L’obiettivo sembra già piuttosto chiaro al Nazareno, anche se la strada per raggiungerlo non è ancora ben definita.

Secondo alcuni renziani, se l'anticipo del congresso deve diventare una rissa si può scegliere una strada alternativa:congresso a scadenza naturale, o comunque dopo il voto, e primarie stile Bersani-2012 per scegliere il candidato premier prima delle elezioni, un modo per ricevere comunque una nuova forte legittimazione dal basso prima del voto. Ora la palla sembra essere in mano alla minoranza che nelle prossime ore dovrà capire e poi dire se anticipare o rinviare il congresso. Le trattative proseguiranno nei prossimi giorni, con due sole certezze: Renzi vuole un percorso che lo porti a elezioni in primavera con una nuova legittimazione popolare, le varie correnti Pd vogliono evitare strappi laceranti ma anche un semplice plebiscito nei confronti dell’attuale Segretario.

 



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