L'aula di Montecitorio proseguirà l’esame del disegno di legge di riforma del sistema scolastico. Provvedimento che dovrebbe essere votato entro la seduta di mercoledì prossimo. Ieri il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, ha difeso strenuamente il contenuto della proposta del governo. Secondo Palazzo Chigi il ddl “La buona scuola” è un mezzo per reintrodurre la meritocrazia e rendere più moderno il sistema educativo. Intanto il Garante per gli scioperi ha fatto sapere che l'eventuale blocco degli scrutini da parte dei docenti sarebbe illegittimo e potrebbe portare alla precettazione. Dal canto loro, i deputati del Movimento 5 stelle annunciano di voler dare battaglia. La situazione, avvertono i grillini, è grave. Sia fuori sia dentro l'aula. “C'è già una data certa per il voto finale del provvedimento, il 20 maggio - osserva il capogruppo in commissione Cultura, Simone Valente - e anche se non è formalmente una fiducia, questo è l'ennesimo atto antidemocratico di un governo che vuole zittire il Parlamento e che gioca sulla pelle della scuola”. I tempi per il dibattito saranno quindi contingentati. Ma diversamente da quanto accaduto in commissione Cultura, dove nelle scorse settimane i pentastellati - da sempre fermi contestatori della riforma - hanno abbandonato la discussione per protesta “contro il metodo di lavoro”, oggi i deputati saranno in aula. E martedì, vigilia del voto finale, scenderanno in piazza per ribadire il loro no al ddl. Anche i deputati della sinistra del Partito democratico cercheranno di disinnescare il contenuto della riforma presentando degli emendamenti. I deputati di Area riformista vicini all'ex capogruppo Roberto Speranza, che si sono riuniti subito dopo l'assemblea del gruppo di ieri, hanno deciso che sarà fatta battaglia nel merito, sugli emendamenti, senza arrivare a uno scontro frontale. Anche perché confidano che dopo aver ottenuto qualcosa in commissione ci sia ancora la possibilità di ottenere modifiche in Aula, in particolare sul meccanismo del 5 per mille. Ci sono poi parlamentari come Stefano Fassina pronti ad abbandonare il Partito democratico se la riforma dovesse essere licenziata senza nessun tipo di modifica.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi batterà a tappeto, negli ultimi giorni, le sette Regioni al voto. Con un'attenzione particolare alle sfide più delicate. Come la Liguria, dove il segretario dem potrebbe fare due tappe e chiudere la campagna. Mentre pensa ancora di rinviare a dopo il voto la soluzione della problematica nata dalla sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni, argomento che sarà comunque all’attenzione del Consiglio dei ministri di lunedì, per una prima ricognizione. Domani mattina Renzi sarà a Napoli per l'inaugurazione di una nuova fermata della metropolitana. E sfiderà a viso aperto le contestazioni, che si annunciano forti, contro il governo. Forte anche dei dati di un'economia in ripresa, con il segno “più” nel primo trimestre 2015. Ma le difficoltà sul fronte economico sono ancora tante: il premier lo ha ribadito più volte, anche dopo la sentenza della Consulta che ha messo Palazzo Chigi nella condizione di dover recuperare oltre 11 miliardi per permettere i rimborsi a tutti i pensionati con assegni superiori a tre volte il trattamento minimo. Il lavoro dei tecnici del ministero dell'Economia, in stretto contatto con Palazzo Chigi, sembra portare sempre più verso la soluzione, per il 2015, di mini-rimborsi ripartiti per fasce di reddito. Ma la riflessione e lo studio di un intervento che riduca il più possibile l'impatto sui conti pubblici potrebbe non concludersi prima delle regionali. Un rinvio limitato, di un paio di settimane, sarebbe infatti un modo per rispondere alle sollecitazioni che sarebbero venute anche dal Quirinale ad affrontare tempestivamente la questione, sottraendo però misure tanto delicate al clima da campagna elettorale. Intanto il centrodestra continua ad essere condizionato da una situazione piuttosto caotica. Tra i ranghi di Forza Italia si parla con sempre più insistenza di una scissione sempre più prossima: i parlamentari vicini all'ex ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto sarebbero pronti a far nascere gruppi autonomi sia alla Camera sia al Senato. Uno scontro all'arma bianca che rischia di compromettere le prestazioni del centrodestra in Puglia e in Campania.



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