La partita sulla legge elettorale sembrerebbe chiusa. Tra qualche settimana il Paese potrebbe avere una nuova normativa per l'elezione dei deputati. Il presidente del Consiglio sarebbe riuscito a portare a casa un risultato fondamentale per il suo programma. I parlamentari a lui più vicini spiegano che non ci sono margini per approvare emendamenti correttivi all'Italicum, lo rimarcano mentre il premier è in viaggio per Washington. Sono ore di grande agitazione per i parlamentari di Area riformista, dopo le dimissioni del capogruppo Roberto Speranza. Ma Renzi non sembra disposto a offrire “monete di scambio” per favorire un ripensamento. Prima di salire sull'aereo che lo porta negli Stati Uniti per una due giorni che culminerà nell'incontro con Barack Obama, Renzi fa trapelare la sua “soddisfazione” per l'assemblea conclusasi poche ore prima a Montecitorio. E la volontà di voltare pagina: “Adesso concentriamoci sulle priorità" dell'economia e della politica estera”. Intanto c'è la soddisfazione per aver confermato la linea già emersa in direzione, con l'impegno a non cambiare il testo dell'Italicum e a non presentare perciò emendamenti correttivi. Ma soddisfazione anche, spiega qualche renziano, perché in assemblea è emerso con chiarezza che tanti deputati della minoranza non sono disposti a salire sulle barricate e votare contro il governo in Aula. In transatlantico altri esponenti della sinistra dem sostengono che i 120 deputati che non hanno votato la linea di Renzi - su 310 voti disponibili i sì sono stati 190 – danno la misura della battaglia che ci sarà. Ma sono numeri ben lontani dalla realtà, spiegano i renziani. Innanzitutto perché, nonostante il lavoro tenace di Ettore Rosato per tenere tutti dentro fino alla fine, qualche deputato della maggioranza dem intorno alla mezzanotte ha ceduto alla tentazione di andare a cena o a dormire. Ma soprattutto perché, sottolineano, se anche si considerano cento i parlamentari di minoranza, la “grande maggioranza” di loro non ha alcuna intenzione di far barricate e votare in Aula contro la linea del partito e contro il governo, mettendone a rischio la stessa esistenza. È questo il punto. Renzi è convinto, anche perché lo ha misurato nei toni moderati di interventi di alcuni deputati come Bordo e Ginefra, che un pezzo della minoranza dem ha già deciso di seguire la linea dettata dal gruppo sull'Italicum. I dissidenti duri e puri vengono considerati 30, 40 al massimo.

La "trappola" del voto segreto resta un rischio reale, anche per il possibile asse con i partiti di opposizione su temi come l'apparentamento. Questa modalità di scrutinio potrebbe essere richiesta senza problemi quando si discuterà di articoli ed emendamenti concernenti le minoranze linguistiche e l'assegnazione dei seggi dell'Alto Adige. Per annullare l'ostruzionismo dei più intransigenti resta l'arma della fiducia, che il premier è pronto a usare nonostante i dubbi del Quirinale e della totalità dei costituzionalisti. Quanto all'apertura di Renzi a discutere di qualche modifica alla legge costituzionale, “non ha senso - avverte Lorenzo Guerini - interpretarla come moneta di scambio”. La mossa del premier serviva a dimostrare che non c'è da parte sua una chiusura pregiudiziale al dialogo. Ma resta il no alle modifiche sostanziali alla composizione del Senato chieste da Bersani. Quelle modifiche, spiegano diversi esponenti di Area riformista, potrebbero anche far rientrare le dimissioni di Speranza. Ma il segretario del Pd non è disposto a concederle. “Il capogruppo rifletta sulla sua scelta”, è il refrain che ripetono i renziani per tutta la giornata: è ancora in tempo per ripensarci. Ma non pensi di rendere il suo gesto, spiegano, oggetto di una trattativa sulle riforme. “Nessuno gli ha chiesto di lasciare, nessuno lo supplicherà di restare”, riassume un deputato. Qualcuno vede già Speranza come leader della minoranza al prossimo congresso. Ma intanto, ammettono deputati di diverse correnti, lo “schema” che vedeva un esponente della minoranza come capogruppo ha funzionato bene, tanto che dentro Area riformista c'è chi ipotizza che Speranza possa essere sostituito da un collega d'area, come Matteo Mauri o Micaela Campana, segnando una frattura ancora più netta tra moderati e barricaderi. Ma il candidato più accreditato resta il vicecapogruppo Ettore Rosato, vicinissimo a Matteo Renzi. Intanto, ieri, i servizi Bilancio di Camera e Senato hanno messo nero su bianco tutte le riserve sulla validità delle misure inserite dal governo nel Documento di economia e finanza e nel Piano nazionale riforme. Secondo i tecnici del Parlamento, se l'esecutivo non rispetterà il cronoprogramma sulle riforme c'è il rischio di dover ricorrere a una manovra correttiva da 6 miliardi.



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