Berlusconi, Salvini e Meloni rilanciano l’unità del centro destra

Dopo mesi di distanza, ieri a palazzo Grazioli si è tenuto il vertice a tre del centro destra. Per la prima volta dai tempi delle consultazioni, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono ritrovati per fare il punto sulla situazione e decidere la strategia da tenere alle prossime elezioni regionali. Il comunicato congiunto alla fine parla di centrodestra unito, pronto a presentare candidati comuni in tutte le sette regioni in cui si voterà da qui alla fine del 2019. Nelle prossime settimane si definiranno i criteri per candidature unitarie in Piemonte (FI), Abruzzo (Fdi), Basilicata (Fi), Sardegna (Lega). Marciare divisi ma colpire uniti, sembra essere la parola d'ordine del centrodestra in questa fase.

Nella dichiarazione finale c'è poi un passaggio che riguarda la prossima legge di bilancio, un sostanziale impegno a sostenere le misure presenti nel programma di centrodestra. Di fatto, Forza Italia e Fratelli d'Italia hanno garantito a Salvini i loro voti sulla flat tax, mentre hanno bocciato il reddito di cittadinanza. Silvio Berlusconi, in particolare, avrebbe incalzato Salvini sulle misure varate dal Governo che giudica “illiberali e "liberticide”: “Ma come si fa a sostenere leggi come quel ddl sull'anticorruzione, che entra nelle libertà private della gente?”. È noto, poi, che nel mirino del leader azzurro c'è l'annunciato provvedimento sul tetto agli spot tv che danneggerebbe non poco Mediaset.

Ed è proprio sul tema della durata del Governo che, al termine del vertice, Berlusconi ha voluto fare con i giornalisti il suo pronostico: “Sono sicuro che in un futuro non lontano il centrodestra tornerà al governo e alla guida del paese, per la fortuna dell'Italia e degli italiani, che usciranno abbastanza presto dall'ubriacatura che si sono presi nei confronti dei Cinque Stelle”. La previsione è però subito smentita dalla Lega: l'intesa, fa sapere, vale soltanto per le Regionali, mentre a palazzo Chigi regge il patto con il M5S. Aggiunge Giancarlo Giorgetti: “Il Governo Lega-5Stelle lavorerà, e bene, per tutti i cinque anni previsti, rispettando punto per punto il contratto di governo”.

Ancora tensione tra M5S e Lega sulla manovra economia

Il Ministro dell'economia Giovanni Tria prova a rassicurare tutti: stoppa l'aumento dell'Iva, così come invocato da Matteo Salvini e Luigi di Maio, e al contempo ribadisce che nella manovra ci sarà spazio per gli interventi messi nero su bianco nel contratto di governo anche se saranno introdotti inevitabilmente con gradualità per salvaguardare il necessario equilibrio dei conti. L'impegno a mantenere la barra dritta sarebbe stato confermato dal titolare del Tesoro ma anche dal premier Giuseppe Conte, proprio in questi giorni, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso di alcuni colloqui telefonici.

Il titolare di via XX Settembre ha scelto il Parlamento per spendere parole di mediazione sui vari fronti aperti in vista della presentazione della prossima legge di bilancio: è infatti rispondendo ad alcuni senatori che si affretta a spiegare di avere tutte le intenzioni di rispettare il contratto di governo, dalla sterilizzazione degli aumenti dell'imposta sul valore aggiunto all'introduzione del reddito e della pensione di cittadinanza, senza dimenticare la pace fiscale che, precisa, “non significa varare un nuovo condono” ma piuttosto vuol dire disegnare un “fisco amico”.

Ma nei fatti ogni giorno gli alleati di maggioranza si trovano a incrociare le armi ora fra di loro, ora con il responsabile dell'economia come dimostra anche l'ultimo scontro sull'incremento dell'Iva che per essere neutralizzato richiede un importante investimento (10-12 miliardi di euro). Che l'ipotesi di non neutralizzarla, magari parzialmente, sia stata per qualche giorno sul tavolo dei tecnici viene confermato in mattinata anche dal viceministro del Tesoro leghista Massimo Garavaglia che però poi smentisce.

Fatto sta che la strada, che non è mai dispiaciuta allo stesso Giovanni Tria e su cui forse anche il premier Giuseppe Conte sarebbe stato disponibile a ragionare pur di trovare qualche fonte di copertura, viene sbarrata all'unisono dalla coppia di vicepremier Salvini-Di Maio e nel giro di qualche ora viene ufficialmente bloccata.

Per un fronte che sembra chiudersi, uno si apre e proprio di questo dovranno discutere oggi gli alleati in un nuovo vertice di maggioranza. La nuova riunione, convocata al termine di un incontro fra Salvini e i suoi (e dopo quello del centrodestra a Palazzo Grazioli) dovrà cercare di rispondere a una lunga serie di domande: la Lega infatti delinea ogni giorno che passa sempre di più il profilo delle misure su cui vuole mettere la propria firma (riforma Fornero, pace fiscale, flattax per aziende e partite Iva) ma allo stesso tempo fissa anche i paletti per quanto riguarda quelle che dovrebbero essere targate M5S come il reddito di cittadinanza.

Inevitabilmente l'atteggiamento leghista ha provocato non poca irritazione da parte degli alleati pentastellati. In serata, Luigi Di Maio ha ribadito “un governo serio trova le risorse perché sennò è meglio tornare a casa”. Per il M5S l’unico modo per arginare le fughe in avanti della Lega e garantire allo stesso tempo la riconoscibilità delle misure pentastellate sarebbe quello di aumentare la flessibilità di bilancio e quindi portare il rapporto deficit/pil al 2%.

Nel Partito Democratico è ancora lite sul congresso

L'impegno profuso dal Partito Democratico nella battaglia parlamentare contro il decreto Milleproroghe si è intrecciato con il complicato dibattito interno sul congresso. Il presidente Dem Matteo Orfini ieri ha riproposto il rinvio a dopo le europee, mentre il segretario Maurizio Martina ha ribadito la tempistica sin qui annunciata, con le primarie a gennaio, un percorso condiviso dall'area che sostiene Nicola Zingaretti, ma anche da quasi tutte le altre correnti, Matteo Renzi compreso.

E uno stop a Orfini è giunto da AreaDem, la componente che fa capo a Dario Franceschini e Piero Fassino, attraverso Marina Sereni: “Il rimedio proposto da Orfini è peggiore del male”. Analogo l'atteggiamento dell'area di Michele Emiliano, espresso da Francesco Boccia. Nell'area renziana, se il sindaco di Firenze Dario Nardella ha convenuto che “ci vuole tempo anche per organizzare un buon congresso, fatto bene, che sia largo, partecipato”, la maggior parte dei suoi esponenti è convinta che alla fine è meglio tenere subito le assise e le primarie, come ha detto Ettore Rosato.

Anche Matteo Renzi ha osservato che “il congresso è già cominciato”, visto che sono iniziati quelli regionali, dove si profilano gli schieramenti che saranno poi ripetuti nel nazionale. Renzi ha esplicitato qual è secondo lui la posta in gioco: la possibile alleanza futura con M5S, in caso di rottura dei pentastellati con la Lega: “Mi batterò perché' il Pd non diventi subalterno al M5S”.



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