La manovra dovrebbe arrivare in Senato entro la giornata di oggi quando Matteo Renzi sarà in Cile per una missione in Sudamerica insieme alle imprese italiane. Ma prima di partire, il premier ha messo i puntini sulle i alle accuse dei tanto odiati “gufi e frenatori”. Nel mirino del presidente del Consiglio – non poteva essere altrimenti – è finita la sinistra del Partito democratico, pronta a presentare diversi emendamenti alla legge di Stabilità. “Cosa è più di sinistra? Litigare su mille euro di contante o mettere finalmente le risorse sul sociale e sulla povertà?”, è la domanda retorica del premier che difende gli investimenti sociali di una manovra che, ha ricordato, sostiene al tempo stesso la crescita. Il tetto ai contanti, oltre all'esenzione dalla Tasi, è la misura della manovra che più fotografa la distanza dentro il Pd. Renzi ha annunciato che per difendere il limite dei tremila euro è disposto a mettere la fiducia sull'approvazione della manovra; Pier Luigi Bersani e la minoranza vedono il provvedimento come l'anticamera alla crescita dell'evasione e della corruzione. Oltre a difendere l'impegno del governo contro gli evasori, il leader Pd ha acceso il faro su quella che definisce “l'anima della manovra”: l'investimento nel sociale. “Soldi in più – ha rivendicato - contro la povertà (più 700 milioni rispetto al 2015), soldi in più per il sociale, dall'autosufficienza al dopo di noi (più 200 milioni rispetto al 2015), soldi in più per la sanità (più un miliardo rispetto al 2015), soldi in più per famiglie e bambini (più 400 milioni rispetto al 2015)”. Numeri, ha evidenziato, che dimostrano come “la realtà sia più forte delle fantasie dell'opposizione”. Ma ai numeri Renzi ha aggiunto una domanda per “quella parte del Pd che contesta sempre, a prescindere”. È più di sinistra sostenere il welfare che fare polemiche sul tetto ai contanti, ha tagliato corto il presidente del Consiglio. Obiezioni che non hanno spostato di una virgola l'opposizione interna che con Alfredo D'Attorre, prossimo all'addio al Pd, ha risposto a quesito con quesito. “È più di sinistra – ha chiesto il deputato bersaniano - regalare 2 miliardi di euro alla fascia alta dei proprietari di immobili o con quei soldi evitare ulteriori pesanti tagli alla sanità? È più di sinistra dare la priorità al taglio delle tasse sui profitti delle grandi aziende o a quello sui redditi da lavoro?”. Quindi, ha concluso D'Attorre, “Renzi ha tutto il diritto di difendere le sue scelte, eviti però di farlo contro il buon senso e l'evidenza delle cose". Obiezioni che non sono servite a mutare la linea del governo: “C'è un equivoco di fondo – ha contrattaccato Maria Elena Boschi - noi non l'abbiamo presentata per convincere la minoranza Pd ma per tutti gli italiani”. Intanto, a differenza di quanto annunciato dal governo negli ultimi giorni, si profila un aumento della pressione fiscale per milioni di contribuenti. Il blocco all'aumento delle imposte locali varrà per tutti “fatta eccezione – ha spiegato il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti - per situazioni straordinarie legate all'addizionale regionale per le Regioni in eventuali disavanzi sanitari”. Ad oggi, le Regioni che si trovano a dover seguire il cosiddetto piano di rientro sono Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Sicilia, Calabria, Piemonte, Puglia e per le quali “la legge prevede un aumento automatico di addizionali Irpef e Irap – ha ricordato il coordinatore degli assessori al Bilancio Massimo Garavaglia - ma i presidenti e le Giunte possono anche scegliere di agire sui ticket”. Ma i nodi da sciogliere sul fronte sanità non sono finiti: il presidente della conferenza delle Regioni, Sergio Chiamaparino, che ieri ha anche rassegnato le proprie dimissioni a causa, ufficialmente, della situazione del bilancio del Piemonte, ha infatti chiesto al governo di chiarire il finanziamento (sceso da 113 a 111 miliardi di euro rispetto alle promesse di luglio) del fondo del Servizio nazionale. Altra stretta, stando alle ultime versioni della manovra, riguarda la pubblica amministrazione: il turnover per il triennio 2016-2018 si assottiglia ulteriormente, scendendo al 25% della spesa del personale pensionato l'anno precedente. In vista dell'inizio della sessione di bilancio al Senato, il Partito democratico ha blindato la relativa commissione di Palazzo Madama. Al posto del dimissionario Antonio Azzollini (Ncd) e in sostituzione del presidente provvisorio Giancarlo Sangalli (Pd), i Dem hanno proposto di mettere uno dei fedelissimi del capogruppo Luigi Zanda, Giorgio Tonini, renziano doc, vicepresidente del gruppo e segretario d'Aula. La sua candidatura, alla quale lavoravano da giorni anche il ministro Boschi e il suo staff, ha incassato 15 sì su 17 votanti in una commissione convocata ad horas solo per eleggere il presidente. La maggioranza potrà ora gestire tutte le operazioni su voti ed emendamenti senza troppi pensieri.