Vittoria Salvini e Di Maio. Tria cede, deficit al 2,4%
Dopo giornate in cui la tensione tra Movimento 5 Stelle, Lega e il Ministro dell’Economia è salita alle stelle ieri sera il Consiglio dei Ministri ha approvato la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza su cui verrà costruita la prossima legge di bilancio, i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi di Maio hanno sfondato l'argine sul deficit che il ministro dell'Economia Giovanni Tria aveva tentato di difendere: il rapporto deficit-Pil è stato fissato al 2,4% nel 2019 e non, come avrebbe voluto Tria, all'1,6%; significa che per le coperture si ricaveranno circa 15 miliardi in più. Al termine dell'ultimo vertice e con il Consiglio dei ministri ancora in corso, è uscita una nota congiunta dei due vicepresidenti che esultavano: “Accordo raggiunto con tutto il governo sul 2,4%. Siamo soddisfatti, è la manovra del cambiamento”.
La fumata bianca è arrivata al termine di un lunghissimo vertice a Palazzo Chigi, in due tempi. Nel primo, iniziato attorno alle 16, il premier Giuseppe Conte e i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio contrariamente alle aspettative non sono arretrati di un centimetro rispetto alla decisione di fissare l’asticella del deficit 2019 al 2,4-2,5%. Nel secondo vertice, iniziato intorno alle 19, il braccio di ferro con Tria: il Ministro ha provato a resistere ma Lega e M5S sono risultati uniti e irremovibili. Dal vertice, a cui ha partecipato anche il ministro degli Affari europei Paolo Savona, sono filtrate indiscrezioni su un “clima buono e su un accordo vicino”. Ma è solo all'ora di cena che i due leader della maggioranza gialloverde hanno ufficializzano l'intesa sul 2,4% che sfida l'Europa e i mercati.
Attorno alle 22 il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha telefonato al capo dello Stato Sergio Mattarella. Poco più tardi la nota di aggiornamento al Def è stata approvata. “Una manovra meditata, ragionevole e coraggiosa. Abbiamo programmato il più consistente piano di investimenti pubblici che sia mai stato realizzato in Italia” ha dichiarato lo stesso premier.
Subito sotto Palazzo Chigi si è riunito un gruppo di parlamentari pentastellati con le bandiere del Movimento in attesa che scendesse il loro leader per festeggiare quella che il Movimento chiama “la manovra del Popolo”. È Di Maio a sottolineare l'incasso per i Cinque Stelle: “Abbiamo portato a casa la manovra del popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà grazie al reddito di cittadinanza, per il quale ci sono 10 miliardi, e rilancia il mercato del lavoro anche attraverso la riforma dei centri per l’impiego. Restituiamo futuro a sei milioni e mezzo di persone”. Ma non solo, perché ci saranno i fondi per la pensione di cittadinanza con l’innalzamento delle minime a 780 euro e anche misure per i “truffati delle banche, che saranno risarciti con un Fondo ad hoc di 1,5 mld”.
Dal canto suo, invece, Matteo Salvini ha evidenziato i risultati portati a casa dalla Lega: “Tasse abbassate al 15% per più di un milione di lavoratori italiani, diritto alla pensione per almeno 400.000 persone, chiusura delle cartelle di Equitalia, investimenti per scuole, strade e Comuni. Nessun aumento dell'Iva”.
Scongiurate le dimissioni di Tria. Ora lo sguardo va a mercati, Europa e spread
Se da un lato Di Maio e Salvini esultano, quello che colpisce è il silenzio del presidente Sergio Mattarella e del ministro dell’economia Giovanni Tria, quest'ultimo in attesa della risposta dei mercati. L'altra faccia della vittoria politica del M5S e della Lega, dei festeggiamenti in piazza dei ministri e dei parlamentari pentastellati, è fatta da una certa preoccupazione e attesa per la risposta, attesa per questa mattina, di Borse, Europa e spread. Con un punto fermo, che emerge in serata: il Ministro del Tesoro Giovanni Tria resta al suo posto, ben sapendo che, nella sua scelta, può contare sulla piena sponda del capo dello Stato. Fonti del Quirinale smentiscono con decisione che tra Mattarella e Tria ci siano stati contatti anche se è risaputo che il Quirinale è sempre stato contrario alle dimissioni del titolare del Mef.
Al termine della serata molti Ministri hanno ribadito che grazie al risultato raggiunto Tria non è in discussione. Insomma le tensioni dei giorni scorsi e le richieste più o meno velate di un passo indietro del Ministro dell’economia sembrano oramai passate. Anche se la reazione dei mercati e soprattutto il confronto che si aprirà con la Commissione Europea potranno rappresentare un nuovo e duro terreno di forte scontro politico. A complicare le cose poi ci saranno i giudizi di Standard &Poor's e Moody's sulla revisione del rating: il rischio di un taglio del merito di credito è elevato, soprattutto da parte di Moody's. Un eventuale declassamento del rating dell'Italia magari accompagnato da un outlook negativo avvicinerebbe il rating in area no investment grade. Il giudizio di Moody's sull'Italia oggi è Baa2, appena due gradini sopra la classificazione “junk”.
Una manovra che vale 27 miliardi di euro
Alzare l'asticella del deficit fino al 2,4% del Pil nella Nota di aggiornamento al Def libererà circa 27 miliardi di euro per la prossima legge di bilancio (partendo dal dato tendenziale dello 0,8% inserito nel Def di aprile) e consentirà di portare a casa gran parte delle misure annunciate nel contratto di governo, a partire dalla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull'Iva che pesano per 12,5 miliardi sul bilancio del prossimo anno. Il reddito di cittadinanza vale invece 10 miliardi, poco più di quanto dovrebbe richiedere la revisione della legge Fornero con l'introduzione di quota 100 per andare in pensione, valutata al momento dalla Lega tra i 6 e gli 8 miliardi. La flat tax sugli autonomi dovrebbe invece valere 1,5 miliardi (proiettati però in gran parte nel 2020), così come lo stanziamento a favore dei risparmiatori colpiti dai crac bancari. Secondo Luigi di Maio, alle coperture in deficit dovrebbero anche affiancarsi tagli di spesa, con una “riorganizzazione della spesa pubblica improduttiva”.
Tensione nel Pd per il Manifesto per una nuova Europa di Renzi
E mentre il Governo si appresta a porre le basi per la “manovra del cambiamento” il Partito Democratico non riesce a staccarsi dalle tensioni interne in vista del congresso. A smuovere le acque ci ha pensato Matteo Renzi con un Manifesto per una nuova Europa firmato assieme ad altri sei leader europei. Il testo guarda alle elezioni europee del maggio 2019, ma incrocia dei temi decisivi del congresso, che si concluderà con le primarie il 27 gennaio, come ha annunciato il segretario Maurizio Martina. L'appello di Renzi propone una “rifondazione dell'Europa”.
Al sovranismo di “Orban, Salvini e Le Pen” si oppone una visione federalista dell'Europa, che metta in comune le politiche sociali o quelle sull'immigrazione, e difenda i valori di libertà e solidarietà. Nessuno ha obiettato sui contenuti, quanto sui nomi degli altri sei leader che hanno firmato: non solo socialisti, ma anche liberali e centristi, come Castaner di En Marche, il partito di Macron. Il testo lancia un appello a mettere insieme tutte le forze europeiste per far fronte ai populisti e ai nazionalisti. Al Manifesto si sono aggiunte le “11 tesi riformiste” pubblicate dai liberal del Pd, Libertà Eguale, l'associazione di Enrico Morando, Giorgio Tonini e Stefano Ceccanti.
Le tesi sostengono che dopo la sconfitta elettorale non si deve “tornare indietro” come chiede la sinistra, ma sfidare i “nazionalpopulisti” con nuove riforme all'insegna dell'innovazione, anche correggendo quelle precedenti, come Jobs Act e Buona Scuola. In ogni caso “nessun appeasement” con M5S. A dar voce al diffuso dissenso interno è Andrea Orlando: “Contrariamente a quello che si cerca di far credere, il prossimo congresso del Pd non sarà tra chi vuole fare l'alleanza con i grillini e chi no, ma tra chi vuole restare nel Pse allargandolo, e chi vuole andare con i liberali dell'Alde, spesso all'opposizione dei pochi governi socialisti rimasti in Europa”.