Il governo di Matteo Renzi è pronto al tutto per tutto per approvare il suo programma di riforme. Palazzo Chigi non ha nessuna intenzione di indietreggiare di fronte alle sempre più evidenti difficoltà: al primo posto resta sempre il “Jobs act”. La modifica del diritto del lavoro potrebbe però causare diversi problemi alla maggioranza di centrosinistra. Al Senato andrà in onda una battaglia all'ultimo emendamento. Gli esponenti della minoranza del Pd non faranno sconti, una linea rafforzata dai crescenti malumori in Forza Italia. La lite tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto rischia infatti di mandare in archivio la collaborazione tra il movimento azzurro e l'ex sindaco di Firenze. Nelle prossime ore andranno avanti gli incontri per concordare il contenuto della legge delega in discussione; Renzi vorrebbe chiudere entro una settimana e non è escluso che dai banchi dell'esecutivo possa arrivare un maxiemendamento sul quale apporre la questione di fiducia. Mettere d'accordo tutti, in questo momento, è estremamente difficile, i centristi, come dichiarano in una nota congiunta i rappresentanti di Ncd, Sc, Svp, Pi e Udc, vogliono lasciare la delega così come figura nel testo in discussione. I democratici vogliono che siano messi per iscritto dettagli tutt'altro che secondari, a partire dalla reintegra in caso di licenziamenti discriminatori e disciplinari. Basta l'affermazione di principio, con il rinvio ai decreti delegati dell'elencazione delle singole fattispecie, spiegano dal Pd. Ma agli alleati di Ncd, preoccupati anche dall'irrigidirsi della posizione di Forza Italia, neanche questo va bene. Ma nella sede del Pd spiegano che non c'è intenzione di fare passi indietro rispetto alla mediazione raggiunta lunedì in direzione: documento politico nato da un compromesso “Se possibile - dice il responsabile economico Filippo Taddei - si fanno passi avanti”. I senatori della minoranza dem sono diffidenti verso lo strumento dell'ordine del giorno, atto politico troppo debole e sempre passibile di facile superamento. Il rischio, avrebbero spiegato al premier in queste ore anche alcuni senatori renziani, sarebbe quello di riacciuffare i trenta voti Ncd, ma perderne altrettanti nella minoranza Pd, che invece su un emendamento che recepisca il “passo avanti” fatto in direzione potrebbero assumere una posizione più morbida. Oggi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si incontrerà nuovamente con una delegazione dei movimenti centristi della maggioranza. Il tempo per le trattative si esaurirà mercoledì, quando al Senato inizieranno le votazioni su articoli ed emendamenti della legge delega. Renzi avrebbe fatto diffondere nuovamente un messaggio molto chiaro: per arrivare al suo obiettivo è pronto a ricorrere all'adozione di un decreto-legge. Scelta in grado di scatenare durissime reazioni da parte dei sindacati, pronti a tutto pur di evitare che un atto urgente di Palazzo Chigi possa stravolgere le relazioni industriali.

Nell'agenda di Renzi resta ai primi posti anche l'approvazione di una legge di stabilità in grado di favorire ripresa e crescita. Il fine settimana sarà caratterizzato da un braccio di ferro sottotraccia tra Roma e Berlino. Ieri, durante la sua visita a Londra, il presidente del Consiglio ha infatti rivolti un nuovo attacco alla Germania di Angela Merkel: “Nessuno ha il diritto di trattare gli altri Paesi come si trattano gli studenti, l'Europa non è un posto per insegnanti e studenti”. Il capo del governo ha rinsaldato l'asse con la Francia, ottenendo la solidarietà del Regno Unito, da sempre critico nei confronti della normativa europea in materia di conti pubblici e politica monetaria. L'Italia, così come già annunciato dal titolare del Mef, Pier Carlo Padoan, non ha intenzione di arrivare al pareggio di bilancio prima del 2017. “Io sto con Hollande, se la Francia ha deciso di posticipare il rientro nei parametri del 3 per cento ha i suoi motivi”, ha spiegato Renzi di fronte al gotha della finanza londinese. Ha però precisato che la situazione italiana è nettamente diversa e che “Roma intende rispettare i patti e non sforerà il tetto del 3 per cento sul bilancio”. Resta il fatto che “un Paese libero e amico come la Francia, che rappresenta la seconda potenza europea, non può essere trattato come uno scolaretto”. Parole dure in grado di causare una prossima presa di posizione della Commissione europea, già pronta a precisare che tutti i Paesi hanno il dovere di rispettare i patti sottoscritti negli ultimi anni. Accordi nati in un contesto economico stravolto dall'attuale congiuntura. Ieri, il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi ha ricordato la necessità di adottare riforme incisive. Le sue “misure straordinarie” - secondo gli analisti – avranno pochi effetti se si deciderà di continuare a non rispettare il patto di stabilità e il Fiscal compact. Insomma, la mossa della Francia rischia di aprire un solco tra i Ventotto governi dell'Ue.



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social