Pd, tregua armata: nessun accordo con M5S e centrodestra
È tregua nel Partito Democratico fino alla prossima assemblea. Alla fine della Direzione nazionale ciascuno è convinto di avere vinto: tutti ribadiscono che l'unità è salva e s’intestano il trionfo: i renziani perché ha prevalso la linea indicata da Matteo Renzi del no a un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, i non-renziani perché Maurizio Martina ha ricevuto un mandato pieno con il voto sulla sua relazione e non sull'ordine del giorno di Lorenzo Guerini che le minoranze non avrebbero votato. Se gli uni vogliono fare passare lo stop al M5S come una resa del reggente, gli altri ribattono che l'intesa con Luigi Di Maio era già naufragata domenica.
Poi c'è stato il giallo del nuovo documento di mediazione promosso da Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria Pd, già padrino dell'appello fatto firmare ventiquattr'ore prima, la famosa “conta per evitare la conta” che aveva dimostrato come in Direzione Renzi abbia ancora la maggioranza (121 le firme raccolte su 209 membri del parlamentino dem). Ufficialmente era un documento che avrebbe dovuto permettere la mediazione ed evitare la spaccatura, ufficiosamente è la prova concreta che la linea del “governi chi ha vinto” ha la maggioranza.
Dopo due ore di Direzione l'accordo non è ancora dato per scontato: i renziani sono disposti a rinnovare con un voto la fiducia a Maurizio Martina soltanto se tutto il Partito Democratico conviene su di un punto fondamentale del documento, contenuto anche nella relazione del segretario reggente, ovvero la chiusura di ogni possibile accordo con i Cinque Stelle.
Alla fine il compromesso viene trovato: i renziani rinunciano a loro documento e votano la relazione di Martina, ma su tutti i punti della mediazione prevista dai renziani ottengono di fatto il via libera. C'è soltanto una questione fondamentale, che riescono a inserire le minoranze: lo stop a qualsiasi intesa del Pd con il centrodestra mascherata da governo di tutti. Non un punto da poco.
Ma la guerra è soltanto rinviata e correrà tutta sul filo dei numeri. I non-renziani infatti puntano il dito sul fatto che Renzi non avrebbe più la maggioranza schiacciante di una volta, non solo in Direzione ma anche nei gruppi parlamentari. Prossima tappa del duello di un partito al 18% sarà l'assemblea nazionale attesa presto, probabilmente entro maggio.
Lunedì nuovo giro di consultazione al Quirinale
Lunedì prossimo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella convocherà nuovamente le forze politiche e i presidenti delle Camere al Quirinale per un terzo e ultimo giro di consultazioni. Se emergerà la possibilità di dar vita a maggioranze parlamentari in grado di sostenere un governo diverse da quelle ipotizzate nelle settimane scorse e risultate impraticabili (centrodestra-M5S e M5S-Pd), bene.
Altrimenti il Capo dello Stato darà un incarico per formare un esecutivo che arrivi almeno a dicembre, per approvare la manovra economica e magari modificare la legge elettorale. E che se non riuscirà a ottenere la fiducia in Parlamento porterà il Paese alle elezioni a fine estate.
Difficile immaginare altre soluzioni. A meno che i partiti non indichino un nome in grado di formare un governo che riesca ad ottenere alle Camere una maggioranza certa o si creino le premesse per far rivivere quelle formule che finora si sono rivelate irrealizzabili. In altri termini, inutile parlare di esecutivo di minoranza in grado di trovare parlamentari disposti a sostenerlo.
Tutto ciò dovrà però avvenire entro lunedì. Dopo sarà il Capo dello Stato a prendere una sua iniziativa, a ormai più di due mesi dalle elezioni, un tempo che Mattarella ha lasciato trascorrere per rispettare l'esito delle urne.
Ora però il Paese non può più attendere. Soprattutto è la situazione economica a preoccupare il Presidente della Repubblica, anche alla luce degli ultimi dati che indicano l'Italia come fanalino di coda dell'Europa per quanto riguarda la crescita, cui si aggiungono le severe dichiarazioni del Commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici.
La situazione è destinata a peggiorare se con il nuovo anno dovessero scattare quelle clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva, con un conseguente aggravio per i bilanci delle famiglie, un calo dei consumi, un effetto depressivo sulla produzione e un peggioramento dei livelli occupazionali.
Si fa sempre più concreta l’ipotesi di un Governo del Presidente
Questa è la situazione che Mattarella porrà davanti alle forze politiche, sperando in un soprassalto di responsabilità. Lo sbocco dovrebbe essere l'appoggio a un esecutivo con presidente e ministri indicati dal Capo dello Stato, con un profilo e una connotazione che possano ottenere gradimento politico e fiducia in Parlamento. La parentesi potrebbe essere impiegata anche per tentare di modificare la legge elettorale inserendo dei meccanismi che evitino il riprodursi dell’attuale fase di stallo, lasciando tuttavia che sia il Parlamento a decidere senza coinvolgere il governo.
Difficile che in un contesto simile possa trovar posto una prosecuzione del mandato dell'attuale governo guidato da Paolo Gentiloni, espressione di una maggioranza sconfitta alle elezioni e che difficilmente potrebbero raccogliere il consenso delle forze politiche eventualmente disposte a sostenere un esecutivo di transizione.
Sciogliere le Camere a fine luglio e votare il 23 settembre, come in tanti sostengono, con l'attuale legge elettorale potrebbe significare veder riprodotto l'attuale quadro politico, con una nuova estenuante fase di stallo e l'inevitabile esercizio provvisorio con annesse clausole di salvaguardia e aumento dell'Iva.
L’ipotesi che potrebbe essere in qualche modo evitata se dalle urne emergesse una chiara maggioranza, capace di far nascere un governo in tempi rapidi, fornendo così le necessarie rassicurazioni ai mercati e al sistema economico riguardo la tenuta dei conti pubblici. Una prospettiva che con il Rosatellum appare però lontana.