Il secondo filone delle indagini su “Mafia capitale” riserva una raffica di arresti tra gli esponenti della politica romana. Le ordinanze di custodia cautelare non hanno risparmiato nessuno, sono pienamente coinvolti iscritti al Partito democratico e a Forza Italia (compresi diversi ex eletti nelle liste del Pdl). Il partito guidato di Matteo Renzi non ci sta però a passare come luogo del malaffare. “È giusto che chi ha violato la regole del gioco paghi tutto, fino all'ultimo giorno e fino all'ultimo centesimo”, ha tuonato Matteo Renzi nel corso dell'incontro con la presidente del Cile, Michelle Bachelet. Concetto che il premier aveva già ribadito nel corso della campagna per le Regionali, dove era il capitolo degli impresentabili a tener banco. “Un Paese solido combatte la corruzione, come sta avvenendo in Italia, con grande decisione e forza mandando chi ruba in galera”, ha rimarcato ieri Renzi, replicando indirettamente a chi, come il pentastellato Alessandro Di Battista, abbina il Pd alle arance. E Matteo Orfini, presidente dei Dem nominato commissario straordinario del partito romano proprio dopo lo scandalo Mafia Capitale, si è confrontato con i vicesegretari Guerini e Serracchiani prima di convocare una conferenza stampa per fugare ogni dubbio sul sostegno del Nazareno a Ignazio Marino e Nicola Zingaretti. Dubbi che invece Orfini non fuga sui servizi segreti: “È curioso che una figura come Carminati abbia potuto costruire un sistema criminale di tale entità. Chiederò al Copasir di occuparsi di questa vicenda, per chiedere come è possibile che i servizi segreti non si siano accorti di cosa stava facendo una persona a loro evidentemente nota”. “Il Pd è il partito anti-Mafia Capitale”, ha sottolineato quindi Orfini annunciando tra l'altro che tutti i consiglieri coinvolti saranno sospesi. Quanto al ritorno alle urne, Orfini è stato netto. “Non ci sono le condizioni per lo scioglimento per mafia del comune di Roma”, scandisce, rispondendo punto per punto alle accuse del M5S, di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni: “Marino e Zingaretti sono stati un baluardo contro il malaffare e quello che sta emergendo è anche dovuto alle loro denunce”. Il tema, tuttavia, c'è e va ben oltre i confini del Lazio. “Tra gli arresti ci sono diversi esponenti del Pd e di altre forze politiche, salvo il M5S, che ne esce ancora una volta pulito”, tuona il blog di Beppe Grillo mentre il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, ha chiesto le dimissioni dello stesso Orfini e ha rilanciato: “A Renzi dico che è finita l'epoca del 'io non c'ero'. Dicono sempre che le colpe sono di quelli di prima ma in questa classe dirigente ci sono tanti indagati”. Il vento delle polemiche divide le opposizioni stesse, con il M5S che accusa il Carroccio: “La Lega è alleato dei principali protagonisti di Mafia Capitale e le politiche di governo Lega-FI hanno finanziato con decine di milioni di euro il vergognoso business della gestione dei campi nomadi di Roma e dei centri migranti”. Insomma, è un tutti contro tutti quello scatenato dalla retata di ieri mattina per uno scandalo che, in un'intercettazione inserita nell'ordinanza del gip relativa all'inchiesta, vede Luca Odevaine – ex vicecapo di gabinetto del Campidoglio durante il mandato di Veltroni – soffermarsi su un presunto appoggio, anche finanziario, di Cl a Ncd: “Castiglione si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano e adesso loro, Cl, di fatto sostengono strutturalmente tutta questa roba di Alfano”, afferma Odevaine. Parole alle quali Ncd, in una nota ufficiale, replica con nettezza: “Non abbiamo il piacere di conoscere Odevaine, ma sappiamo benissimo che Cl non ha mai finanziato il nostro partito”. E, sottolinea la stessa nota, mascherando l'imbarazzo degli alfaniani, i finanziamenti ricevuti “sono soltanto quelli consentiti dalla legge”, per un partito che “è il solo, in Parlamento, a non usufruire di un euro di finanziamento pubblico”.

Intanto il Senato sembra in grado di riservare sorprese. Dopo l'uscita dalla maggioranza di governo dei due senatori dei “Popolari per l'Italia” si profila la nascita di un gruppo parlamentare animato dagli esponenti di Forza Italia vicini all'ex coordinatore Denis Verdini. Una compagine che potrebbe anche garantire un “soccorso azzurro” all'esecutivo. A Palazzo Madama Renzi può infatti contare su nove voti per non essere messo in minoranza alla prima occasione utile. Uno scenario che potrebbe anche costringere Palazzo Chigi a cambiare tecniche legislative rinunciando, quindi, alla continua apposizione della questione di fiducia sulla conversione dei decreti-legge. Silvio Berlusconi è intenzionato a dialogare con Verdini, gli “scissionisti”, dal canto loro, si dicono pronti a un incontro ma ribadiscono il loro malcontento. Renzi ha già rimesso mano al pallottoliere.



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