Il Senato si prepara al voto finale in prima lettura sul disegno di legge con cui si intende modificare la seconda parte e il Titolo V della Costituzione. Il presidente del Consiglio potrebbe presentarsi nell'aula di Palazzo Madama per assistere allo scrutinio. La giornata di ieri è stata caratterizzata dall'ostruzionismo. Gli esponenti del Movimento 5 stelle hanno segnalato diverse irregolarità sui voti relativi agli emendamenti, rimostranze che non sono bastate al presidente Grasso per annullare le operazioni contestate. La serata è proseguita senza particolari intoppi su alcuni punti chiave della riforma. Dopo essere stato battuto nella nottata di mercoledì su un emendamento di Sel con voto segreto, l'esecutivo si è rimesso all'aula su un altro emendamento di Sel sulle minoranze linguistiche per scongiurare nuovi inconvenienti. Via libera ad alcune novità della riforma, tra cui le nuove regole del procedimento legislativo. In Costituzione entrano per la prima volta i referendum propositivi, vengono alzate da 50mila a 150mila le firme necessarie per le leggi d'iniziativa popolare e fissato un quorum variabile per i referendum: se le firme sono 500mila, il quorum è 50 per cento più uno degli aventi diritto, mentre se sono 800mila, il quorum è la maggioranza dei votanti alle precedenti elezioni. Passa anche il principio per cui i consiglieri regionali non possono guadagnare più dei sindaci delle città capoluogo, mentre vengono nuovamente cancellati i finanziamenti per i gruppi consiliari regionali. La Lega nord potrebbe decidere di non partecipare al voto finale abbandonando i propri scranni. Ieri Roberto Calderoli ha tentato di limitare fortemente gli effetti della riforma. Godendo dei privilegi di relatore, il leghista ha presentato un emendamento che prevedeva l'entrata in vigore del disegno di legge “alla prima conclusione naturale della legislatura di entrambe le Camere”. Il presidente Pietro Grasso ha dichiarato però la proposta “inammissibile in quanto la scadenza naturale delle Camere, teoricamente, potrebbe non avvenire mai”. Gli ultimi minuti dell'istruttoria del ddl Boschi saranno anche utili per capire quale sarà il comportamento della sinistra del Partito democratico e dei frondisti di Forza Italia. Nella mattinata di ieri erano circolate indiscrezioni in merito ad un loro abbandono dell'assemblea.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi si prepara ad incassare il successo sulla riforma del Senato. Un primo passo che non può certo permettergli di cullarsi sugli allori. Per l'approvazione definitiva serviranno ancora diverse letture tra Camera e Senato, non dobbiamo infatti dimenticare che maggioranza ed esecutivo hanno chiarito di voler eliminare le norme introdotte dai due emendamenti approvati pochi giorni fa da Palazzo Madama. Un'opzione che rischia di allungare a dismisura la discussione sul nuovo Titolo V e sulle prerogative del “Senato delle Autonomie”. Su tutto pende poi la spada di Damocle del referendum confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione qualora non si dovesse raggiungere la maggioranza dei 2/3 nelle seconde letture a Camera e Senato; consultazione elettorale che Palazzo Chigi vorrebbe convocare anche nel caso – davvero molto remoto – in cui si dovesse raggiungere la maggioranza qualificata. Insomma, la stagione delle riforme rimane carica di incognite. Soprattutto se il cammino del ddl sul nuovo Senato dovesse essere legato a filo doppio con la riforma della legge elettorale, testo che a settembre inizierà il proprio cammino a Palazzo Madama. Il “Patto del Nazareno” tra Renzi e Berlusconi sembra tenere, tanto che il leader azzurro avrebbe accettato di introdurre le preferenze nella normativa per l'elezione dei deputati. Scelta che avrebbe avuto l'effetto di indispettire chi, tra i ranghi forzisti, ritiene che sia totalmente sbagliato assecondare Renzi sulle sue riforme. Si potrà capire qualcosa della nuova strategia politica di Berlusconi tra qualche giorno, quando Giovanni Toti, suo consiliere politico ed europarlamentare, sarà protagonista della festa nazionale del Partito democratico.
Il premier Renzi e il ministro dell'Economia Padoan dovranno anche fare i conti con la “recessione tecnica” che affligge il Paese. Entrambi hanno rimarcato più volte che non sarà aumentata la pressione fiscale. Una frase che si scontra con i principi della logica contabile tanto che ieri il presidente del Consiglio ha annunciato che sarà portata a termine una severa fase di revisione della spesa. Un passaggio che sarà accompagnato dalla riforma del diritto del lavoro e dalla riforma della giustizia, capitoli che potrebbero favorire gli investimenti esteri. A settembre partirà ufficialmente il “programma dei mille giorni” di Renzi, una nuova fase in cui dovranno essere affrontate alcune richieste arrivate dall'Europa. Draghi ha detto che gli Stati nazionali devono essere pronti a cedere sovranità su alcune materie. Una frase chiaramente riferita ai Paesi in difficoltà sul fronte economico. Renzi ha risposto annunciando l'arrivo del dl “SbloccaItalia”.