Sulla Sardegna è ancora stallo. Meloni vede Salvini e Tajani

Nel centrodestra non c’è ancora la quadra in vista della scelta dei candidati per le elezioni regionali. Sulla Sardegna FdI spinge per Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, la Lega vorrebbe il bis per il presidente uscente Christian Solinas, le cui quotazioni appaiono però in discesa: non a caso, il governatore dell'isola per ieri pomeriggio ha convocato la direzione del Partito sardo d'Azione, per studiare un eventuale piano B. Resta da solo da capire come e quando verrà annunciata la decisione e se ci sarà un'eventuale compensazione per la Lega, che dovrebbe fare un passo indietro in nome dell'unità della coalizione. La tensione resta alta, tanto da generare un piccolo giallo su un presunto confronto fra la Giorgia MeloniMatteo Salvini e Antonio Tajani. I tre si vedranno in una riunione allargata al Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, organizzata per fare il punto dopo la pausa natalizia sul dossier immigrazione. Poi circola la notizia che si siano di nuovo visti all'ora di pranzo per trovare una quadra sulle regionali: Tajani, uscendo dalla sede del Governo nel primo pomeriggio spiega che “non si è parlato delle regionali” ma “solo dell'attività di Governo, e si è fatto un punto sulla situazione internazionale”. 

Da Chigi e dal Carroccio smentiscono che ci sia stato un secondo incontro. Dalla Lega fanno sapere che “non c'è stato alcun pranzo di Salvini con altri leader né incontri per parlare di amministrative”, ma al contempo “la Lega conferma ottimismo ed è sicura che il centrodestra troverà un accordo”. Intanto, la Lega schiaccia l'acceleratore sul terzo mandato per i governatori, con l'obiettivo di consentire la ricandidatura di Luca Zaia in Veneto nel 2025: il deputato della Lega e segretario della Lega Veneta Alberto Stefani ha depositato alla Camera una proposta di legge in questo senso. Ma quella delle regionali non è l'unica questione aperta, ci sono anche le Europee; se Meloni non ha ancora sciolto la riserva su una sua eventuale candidatura, Matteo Salvini si è tirato fuori dalla corsa e Antonio Tajani chiarisce che “Io non posso prendere una decisione prima del congresso” di FI del 23 e 24 febbraio ma aggiunge “Sarebbe giusto candidarsi in una campagna elettorale con un impegno diretto rischiando di ridurre l'impegno al Governo? È riflessione che dobbiamo fare tutti con grande serenità”. 

La maggioranza si compatta sul premierato. Solo emendamenti condivisi

Dopo il vertice di Palazzo Madama sul premierato, la maggioranza è compatta sulla necessità di mantenere il punto fermo dell'elezione diretta del premier, ma apre all'ipotesi di modifiche sui due nodi che ancora restano da sciogliere, ovvero la soglia del premio di maggioranza e il cosiddetto “premier di riserva”. Gli emendamenti al ddl Casellati vanno presentati in Commissione Affari costituzionali entro il 29 gennaio e il centrodestra assicura massima compattezza: “La volontà è di andare avanti in questa riforma che è centrale per il programma del Governo” sottolinea il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Gli fa eco il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri che spiega come l'intenzione sia quella di “agire congiuntamente su eventuali ritocchi. I nodi sono le questioni emerse dalle audizioni sul secondo premier e la questione del premio di maggioranza al 55%, che deve comportare necessariamente una soglia minima”. 

Dal canto suo, la ministra Elisabetta Casellati, dopo il vertice nel quale “si è respirata un'ampia armonia”, ribadisce che “l'unico punto irrinunciabile è l'elezione diretta del presidente del Consiglio. C'è stata un'ampia condivisione del testo presentato in Commissione. Si farà un approfondimento e se ci saranno dei correttivi, e sottolineo se, saranno correttivi ed emendamenti sottoscritti da tutta la maggioranza”. Anche per il ministro Luca Ciriani, “il principio cardine di questa riforma, che è la stabilità e la coerenza tra il voto e il Governo, non può essere messo in discussione. Ragioniamo con tutti, ma non si torna indietro rispetto a questi obiettivi. Sul resto valuteremo, ci saranno altri incontri. Deciderà anche la presidente Meloni su come procedere”. 

Le opposizioni incalzano Nordio sul caso Pozzolo e sulle dimissioni di Delmastro

Il caso Pozzolo arriva in Senato. L'episodio del colpo di pistola partito la notte di Capodanno da un'arma di proprietà del deputato FdI Emanuele Pozzolo a una festa nel Biellese in cui era presente anche il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, ferendo il genero di un uomo della scorta dello stesso Delmastro, è stato al centro d’interrogazioni di Iv e Pd al Ministro della Giustizia Carlo Nordio. Le opposizioni chiedono le dimissioni di Delmastro e di fare chiarezza. Ad attaccare è Matteo Renzi: “Credo che il sottosegretario Delmastro debba spiegare cosa è successo, oppure si dimetta. Vanno a cena, a un certo punto arriva questo con la pistola. Poi la tira fuori per farla vedere. Il problema è che nessuno dice di aver visto Pozzolo sparare. In quel momento non c'è il sottosegretario, perché è uscito. Se il sottosegretario si è portato quattro agenti di scorta, e va a 400 metri di distanza nel buio della notte, almeno uno dovrebbe seguirlo. La premier dice che Pozzolo deve rispondere per omessa custodia, ma se non ha sparato Pozzolo allora chi ha sparato?”. Il leader di IV pone l'accento sull'inopportunità di portare la scorta a una cena, anche con i familiari, e poi conclude: “Non si capisce chi ha sparato, e il sottosegretario non sente la necessità di rimettere la delega alla polizia penitenziaria”. 

Nordio replica che “sono in corso indagini e sarebbe improprio, se non delittuoso, se io rivelassi delle cose, ammesso che le sapessi e non le so perché fortunatamente il segreto istruttorio è stato doverosamente tutelato”. Ma sull'opportunità di farsi accompagnare dalla scorta, Nordio spiega: “Parlo da ex magistrato sottoposto a tutela quando indagavo sulle brigate rosse, su Tangentopoli e sul Mose. So come funziona. Non vi è nulla di scandaloso se a una manifestazione conviviale partecipano anche le persone che devono tutelare chi vi partecipa”. Le opposizioni non sono soddisfatte della risposta del Ministro, a partire dallo stesso Renzi, che incalza: “Ritengo che questa vicenda denoti un’incultura istituzionale spaventosa, un utilizzo proprietario della polizia penitenziaria e una reticenza omertosa di fronte alla verità”. E dal Pd è il senatore Walter Verini a replicare a Nordio: “Il sottosegretario Delmastro deve dimettersi, altrimenti dovrebbe essere lei o la premier Meloni a farlo dimettere”. 

Sui balneari il Governo lavora a una lettera per l’Ue. Avanti con la mappatura

Nessuna richiesta di proroga delle concessioni: proseguirà il lavoro di mappatura delle spiagge, saranno necessari tutti i passaggi per completare l'iter dell'operato del tavolo tecnico, tra questi anche quello alla conferenza Stato-Regioni: è questa in sintesi la traccia della lettera sui balneari che i tecnici dell'esecutivo stanno preparando e che sarà inviata a Bruxelles entro il 16 gennaio, giorno in cui scadono i due mesi di tempo per rispondere alla missiva di avvio della procedura d’infrazione inviata lo scorso novembre dalla Commissione Ue. Il Governo comunicherà all'inizio della prossima settimana i dati emersi dopo l'analisi del tavolo tecnico, con i rilievi e la relazione, con l'obiettivo di aprire un confronto nel merito con Bruxelles. Dovrebbe essere una risposta interlocutoria, nella quale si sottolineerà che è necessario ancora del tempo per completare il lavoro in corso e per trovare una soluzione. Fermo restando che non si chiederà una proroga delle concessioni, spiegano fonti informate. Ieri a largo Chigi c'è stata una riunione dei tecnici dei ministeri interessati al dossier. 

Per la maggioranza l'obiettivo resta sempre quello di rimarcare che non c'è scarsità di risorse e di tutelare le imprese. L'obiettivo del Governo, ha spiegato nella conferenza stampa di fine anno la premier Giorgia Meloni, è arrivare “a una norma di riordino che ci consenta di mettere ordine alla giungla di interventi e pronunciamenti che si sono susseguiti sulla materia”. “Nessuna chiusura” su concorrenza nel settore ambulanti e balneari, ha detto ieri il vicepremier e Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini, “è giusto il richiamo del Presidente Mattarella ma bisogna riconoscere a chi ha investito dei soldi in quella bancarella o in quella spiaggia, chi subentra glieli riconosca, è ragionevole. Sono assolutamente per la competizione, l'importante è non lasciare dalla sera alla mattina gente che in quel posto ci ha investito per 30 anni”. 

Sull’ex Ilva il Governo spinge per un divorzio consensuale da Arcelor Mittal

Le condizioni poste da Arcelor Mittal per rimanere in Acciaierie d’Italia sono inaccettabili e impercorribili; per traghettare Taranto fuori dalla drammatica crisi produttiva in cui versa e garantire l’occupazione di un bacino che conta 20mila lavoratori tra diretti e indiretti, serve un intervento drastico. Dopo mesi di trattative andate a vuoto tra il governo e il colosso franco-indiano, il Ministro delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso nell’informativa in Senato sull’ex Ilva annuncia un cambio di rotta, che potrebbe concretizzarsi in un “divorzio consensuale”. È questa, infatti, la strada che l’esecutivo ha prospettato ai leader di FiomFimUilmUglm e Usb nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi. Il Governo ha assicurato di lavorare “in modo serrato per definire il confronto con ArcelorMittal e procedere alacremente per individuare il percorso sul futuro dello stabilimento all’interno di un quadro chiaro e definito che ha come primo obiettivo la continuità produttiva dell’azienda”, si legge in una nota licenziata da Chigi poco dopo il confronto. 

In ogni caso, la deadline per trovare una soluzione di comune accordo con gli indiani è mercoledì 17 gennaio e il giorno dopo le tute blu saranno nuovamente a Chigi per essere informate sull’esito del confronto tra i tecnici di Invitalia e di Mittal. Tramontata, dunque, la possibilità di rimanere in partnership con Mittal che, come ha sottolineato lo stesso Urso, si è detta “disponibile ad accettare di scendere in minoranza ma non a contribuire finanziariamente in ragione della propria quota, scaricando l'intero onere finanziario sullo Stato ma nel contempo reclamando il privilegio concesso negli originali patti tra gli azionisti”, che prevedono una gestione condivisa tra soci al 50%. Patti a dir poco “leonini” che, ha accusato il titolare di via Veneto chiamando in causa il governo Conte II, “nessuno che abbia cura dell'interesse nazionale o che abbia conoscenze delle dinamiche industriali avrebbe mai sottoscritto”. 



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social