Il Presidente Mattarella allontana nuovamente un suo secondo mandato

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha escluso, ancora una volta, un suo possibile bis al Quirinale. Nel suo settennato, più volte, citando i suoi predecessori, il capo dello Stato ha dato un chiaro indirizzo alla sua presidenza, nel solco dalla strada indicata dalla Costituzione. E ieri, nella sala del Bronzino del Quirinale, è entrato a gamba tesa su chi puntava a una sua permanenza: ricordando Giovanni Leone a vent'anni dalla sua scomparsa, l'inquilino del Colle ha rimarcato la volontà dello stesso di sollecitare il Parlamento (come fece Segni) a “introdurre la non rieleggibilità del Presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco”. Una doccia fredda per i partiti-sponsor del Mattarella bis che proprio negli ultimi giorni stavano arricchendo le proprie fila, ma non una novità per il presidente, che già in passato aveva fatto emergere la sua indisponibilità a calcare le orme di Giorgio Napolitano. Un anno fa, il Presidente aveva mandato un messaggio chiaro: per i prossimi sette anni non contate su di me; pochi mesi più tardi, parlando con i bambini in una scuola, aveva poi confidato: “Tra otto mesi il mio incarico termina, io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”. E non finisce qui: passano pochi mesi e in pieno semestre bianco spunta una foto che lo ritrae mentre visita una casa a metà strada tra Villa Borghese e Villa Ada, ipotetica dimora per quando lascerà il Quirinale. 

Ieri l'ennesimo segnale. Per questo nelle parole del capo dello Stato oggi in molti vedono un diniego che, nel complicato turbinio dei nomi, pesa come una pietra tombale su uno scenario che appariva quello con più chance di realizzazione. Il binomio Mattarella-Draghi, con l'attuale inquilino del Colle anche a tempo, avrebbe messo in sicurezza i progetti del Pnrr e avrebbe anche mantenuto il filo diretto con l'Europa, che continua a tifare perché la coppia non si separi. “Il presidente non tornerà più indietro”, è il commento sconfortato di chi sotto traccia sta lavorando in Parlamento per bis dell'attuale capo dello Stato, anche se le sue parole vengono tradotte non come un no secco: “In questo caos, Mattarella è evidente non ha intenzione di prestarsi a giochini, quello che ci sta dicendo è che per un suo passo avanti esige il o tutti o nessuno. Altrimenti non ci sarà corteggiamento che tenga”, è il ragionamento. Tra i corridoi della politica si rispolvera il messaggio di Carlo Azeglio Ciampi, quando alle Camere consegnò il gran rifiuto. Quella è l'ultima carta che Mattarella potrebbe giocarsi ma al momento resta in un cassetto: ora la parola spetta alla politica.

Draghi raccoglie i timori dei Sindaci: insieme attueremo Pnrr

Con quasi 50 miliardi da qui al 2026, sono i Sindaci d'Italia ad avere “nelle mani” il successo o l'insuccesso del Pnrr. Ed è a loro che Mario Draghi si rivolge, ora che si è “pienamente” entrati nella fase di attuazione del piano, con una road map stringente da rispettare. Il presidente dell'Anci Antonio Decaro, dal palco dell'assemblea di Parma, consegna al premier, chiamandolo “amichevolmente” SuperMario, la preoccupazione per le difficoltà di questa fase di attuazione: chiede assegnazione rapida delle risorse e assunzioni massicce di personale, con un iter semplificato; dal Sud, dove i Comuni sono più in difficoltà, si leva l'allarme più forte. Draghi accoglie i suggerimenti di Decaro: sul fronte assunzioni il Governo proverà ad accelerare e intanto annuncia un tour nelle città, con ministri ed esperti, per illustrare “i contenuti e le opportunità del Pnrr”. 

Per Decaro “Le risorse devono arrivare entro aprile-maggio, per aprire i cantieri entro dicembre 2023 e realizzare le opere entro il 2026”. L'altra richiesta al Governo è di garantire il personale necessario. Draghi, che ringrazia i sindaci, simbolo “dell'unità d'Italia”, per quanto fatto sul fronte della lotta al Covid, assicura che nella “fase nuova” che si apre il Governo sarà al fianco degli Enti locali, con l'obiettivo comune di “trasformare i progetti in opportunità di crescita e sviluppo”. “Il suo Governo dimostra che non esistono Paesi o situazioni ingovernabili”, è il tributo di Decaro al premier, accolto da lunghi applausi di una platea che sembra fare il tifo per Draghi a Palazzo Chigi. Il premier risponde con un lungo elenco di impegni presi: in manovra 1,4 miliardi fino al 2029 per la sicurezza di ponti e viadotti, i fondi per scuole, piccoli Comuni e territori montani; nel Pnrr 2,8 miliardi per 159 progetti di rigenerazione urbana, 2 miliardi già ripartiti per l'edilizia residenziale e da assegnare con bandi, 600 milioni per autobus, 21,6 miliardi alle infrastrutture. E ancora: 1,3 miliardi alle nuove mense e palestre e un concorso per archistar per realizzare 195 scuole innovative, 228mila nuovi posti negli asili (4,6 miliardi). La spinta del Governo, assicura Draghi c'e': "Il successo è nelle vostre e nostre mani". 

Martedì inizierà l’esame della manovra in Senato. Ma i nodi rimangono molti

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la legge di bilancio catalizzano il lavoro del Governo da qui a fine anno. La manovra è stata firmata da Mattarella ed è in arrivo in Senato, dove si aprirà martedì la sessione di bilancio. I partiti, già irritati dalla compressione dei tempi di esame, preparano emendamenti. Le Regioni, a corto di risorse per la gestione Covid, propongono al Governo un'intesa in sette punti, dalla sanità ai trasporti. Intanto la Lega prosegue l'offensiva contro il reddito di cittadinanza: i sei governatori Massimiliano FedrigaAttilio FontanaMaurizio FugattiChristian SolinasDonatella Tesei e Luca Zaia, commentando l'emersione di una maxi-truffa sul sussidio da 20 milioni, si schierano contro il rifinanziamento di una misura “socialmente iniqua e strutturalmente fragile, antitesi perfetta al Pnrr”. Sarà il Reddito uno dei fronti caldi della battaglia parlamentare. 

Ma il dossier più spinoso si annuncia quello delle tasse, dal momento che bisogna ripartire gli 8 miliardi stanziati per ridurre il cuneo fiscale, decidendo di quanto tagliare l'Irpef e di quanto l'Irap. Il Governo vorrebbe chiudere la partita entro fine novembre, ma potrebbe aspettare le indicazioni che verranno dagli emendamenti parlamentari per poi presentare una propria proposta di sintesi. La discussione potrebbe comunque aprirsi già martedì, quando Mario Draghi, con Daniele Franco e Andrea Orlando, vedrà i sindacati per avviare il tavolo sulle pensioni, dal momento che le parti sociali hanno chiesto di poter dire la loro anche sul taglio delle tasse. Nell'ultima bozza della manovra compare intanto una norma per una spinta all'attuazione del Recovery plan: aumenta di 10 miliardi nel 2022 (da 40 a 50) il Fondo rotativo per l'attuazione del piano, che anticipa i contributi che via via arriveranno dalla Ue. 

Draghi vedrà i sindacati sulle pensioni, ma i margini per modifiche sono stretti

Martedì prossimo il premier Mario Draghi vedrà i sindacati a Palazzo Chigi dopo le proteste e la minaccia di scioperi e mobilitazioni sul capitolo pensioni. La convocazione è accolta favorevolmente da Cgil, Cisl e Uil, anche se i margini di manovra per arrivare a modifiche già nella legge di bilancio appaiono assai limitati. Portato a casa il risultato su Opzione Donna (con i requisiti che tornano a 58 anni per le dipendenti e a 59 per le autonome con minimo 35 anni di anzianità) non ci sono al momento in vista cambi di rotta di Governo e Parlamento su quota 102. L'incontro della prossima settimana dovrà quindi servire per tenere aperti i canali di comunicazione e iniziare a sondare il terreno in vista di un possibile riordino più ampio del sistema previdenziale che prenderebbe corpo solo a partire dal 2023. 

I sindacati sono comunque pronti a rimettere sul tavolo le loro proposte. Sintetizza il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “Nell'incontro di martedì avremo modo di portare le nostre proposte che mettono al centro maggiore flessibilità ma anche tutele per giovani, donne e fragili”. Soddisfatto anche il numero uno della Cisl Luigi Sbarra che rilancia: “dobbiamo riprendere il dialogo non solo sulla previdenza, ma anche sulla redistribuzione fiscale, le questioni del lavoro, la nuova politica industriale, il rilancio della scuola, della pubblica amministrazione, delle politiche sociali e per la non autosufficienza. Come ha sottolineato giustamente il Presidente Mattarella il lavoro sarà la misura del successo del PNRR”. Insiste invece su quota 41 Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl, che la considera l'unica vera alternativa al ritorno della legge Fornero. 

L’Ue l’Italia crescerà del 6,2% ma la sfida del Pnrr sarà cruciale

Le previsioni economiche d'autunno della Commissione Ue sorridono all'Italia più di quelle dello scorso luglio. Bruxelles stima una chiusura del 2021 con il Pil al 6,2% (in estate si prevedeva il 5%) mentre nel 2022 la crescita dovrebbe assestarsi al 4,3%. Il Pil italiano, nonostante l'inflazione e lo spettro dei contagi, “è destinato a continuare a espandersi”, spiega l'Ue che, nelle sue stime include anche l'impatto del Recovery. Ed è proprio qui che Roma è chiamata all'ultimo scatto: “Ha una responsabilità particolare perché' ha avuto più risorse, serve concentrarsi su questa sfida”, è il monito del Commissario agli affari economici Paolo Gentiloni, “Noi guarderemo con grandissima attenzione e con spirito di collaborazione alla fase esecutiva del Pnrr”, sottolinea. Al momento l'Italia ha centrato 28 obiettivi su 51 tra quelli elencati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per il 2021. Il tempo stringe e, quasi certamente, Roma non sarà nel primo gruppo di Governi europei a chiedere le risorse del Next Generation Ue per quest'anno, ma c’è anche chi in Europa è più indietro. L’ex premier italiano, se da un lato spiega che “pochi” come lui possono conoscere quanto sia “difficile quest'impresa” dall'altro rileva che il Governo italiano “sta agendo con grande determinazione, con un sostegno parlamentare notevole”. Certo, come appendice, c’è il rebus dei rebus: il Governo, a febbraio prossimo, sarà lo stesso? “Solo un marziano potrebbe dire che i rischi politici” sulle stime economiche “non esistono”, si limita a osservare Gentiloni. Il rimbalzo del Pil fa sì che l'Italia, secondo le previsioni, “tornerà a livelli pre-crisi entra la metà del 2022”, il che la pone ben al di sopra della Germania (fanalino di coda al 2,7%), della Spagna e anche di diverse economie dei Paesi del Nord. 

C’è un dato, nella ripresa italiana, che Bruxelles sottolinea in maniera sia pur indiretta: in un contesto in cui la crescita europea “è più rapida del previsto nonostante le incertezze” i rischi “aumentano nei Paesi con basse vaccinazioni”. E questo non è il caso dell'Italia: per il Belpaese l'ampiezza del rimbalzo del Pil deriva anche dalla profondità del suo crollo causa Covid ma ora “la sfida è di rendere questi ritmi di crescita così positivi, duraturi sostenibili. E bisognerà farlo con il programma di riforme e di investimenti” sulla base del Pnrr, spiega Gentiloni. Sul debito e sul rapporto deficit/Pil le stime di Bruxelles vedono una sia pur lenta uscita dal tunnel: “Il rapporto debito pubblico/Pil dovrebbe scendere dal 155,6% nel 2020 al 151,0% nel 2023, grazie alla ripresa economica e a un favorevole aggiustamento stock-flussi” e anche il rapporto deficit-Pil “trainato dalla ripresa economica e dalla graduale eliminazione delle misure fiscali di emergenza del Governo”, spiega la Commissione. L'Italia, infatti, chiuderà il 2021 con deficit/Pil al 9,4% nel 2021, per scendere al 5,8% l'anno successivo e al 4,3% nel 2023. Certo, non tutti gli indicatori ci sorridono: l'inflazione, ad esempio, è destinata a salire da qui a fine anno in Italia come in Europa e la ripresa dell'occupazione è “in ritardo rispetto alla crescita della produzione, poiché la carenza di manodopera in settori specifici, in parte legata al disallineamento delle competenze, è destinata a ostacolarla nonostante la debolezza del mercato del lavoro”, si legge nelle previsioni, che torneranno a fotografare la ripresa Ue il prossimo febbraio quando, tra l'altro, il dibattito sulla revisione del Patto di Stabilità sarà entrato nel vivo. 

Letta tratta l’ingresso del M5S in S&D, Calenda verso i liberal di Renew

Per l'Europarlamento, e in particolare per i partiti italiani, sarà un inverno segnato da scelte politiche cruciali. Si è aperta, a Bruxelles, la discussione formale sull'entrata degli 8 eurodeputati del Movimento 5 Stelle nel gruppo dei S&D. A trattare l'ingresso il segretario del Pd Enrico Letta in persona, che ha posto il tema alla riunione del gruppo S&D e, successivamente, all'incontro con la delegazione del Pd. “Stiamo cominciando una discussione che dobbiamo affrontare in modo molto laico, stiamo coinvolgendo tutti, con grande apertura di spirito”, ha spiegato il segretario dem. Sulla collocazione del Movimento in Europa bocche cucite dai pentastellati, mentre in un'intervista al Corriere della Sera il presidente della Camera Roberto Fico ha sottolineato che “la nostra stella polare devono essere i valori, diritti sociali e lotta alle diseguaglianze, tutela dei beni comuni e transizione ecologica, un salto di qualità sui diritti civili”, tutti temi che, di fatto, avvicinano il M5S al S&D. L’apertura del confronto ha avuto un immediato effetto: Carlo Calenda, infatti, chiude la porta ai riformisti per aderire in Renew, il gruppo dei liberali dove siede anche Italia viva di Matteo Renzi.

Ma cambi di casacca e future alleanze investono anche l'area delle destre. I polacchi del Pis appaiono corteggiati sia dal Fdi che dalla Lega; Matteo Salvini volerà il 3 e 4 dicembre a Varsavia su invito di Jaroslaw Kaczynski, con l'obiettivo di creare una nuova grande coalizione dei sovranisti a Strasburgo che contempli Viktor Orban, fuoriuscito dal Ppe, insieme al Pis, dove milita il premier polacco Mateusz Morawiecki, e ad altre formazioni che includono il Rassemblement National di Marine Le Pen. Ma le ambizioni di Salvini devono fare i conti con Fdi e con il gruppo dei Conservatori (Ecr) e non a caso proprio in queste ore Giorgia Meloni serra le fila con il Pis: “Inizieremo a lavorare per l'espansione del Gruppo Ecr aprendo un dialogo con delegazioni nazionali a noi affini a partire dalla delegazione Fidesz al Parlamento europeo”, hanno messo nero su bianco i co-presidenti del gruppo Raffaele Fitto e Ryszard Legutko. In mezzo al guado naviga invece il Ppe, diviso fra chi guarda al centrosinistra e chi invece più a destra; a fine novembre i Popolari sceglieranno il loro candidato per la presidenza del Parlamento Ue e non si escludono colpi di scena. 



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