Braccio di ferro sui sottosegretari, Conte vuole la lista subito

Dopo un'altra giornata di contatti frenetici, incontri, attese e speranze degli aspiranti, non è stata ancora chiusa la partita per la nomina dei 42 sottosegretari del nuovo Governo. Gli ambasciatori di M5S e PD si sono incontrati in serata, per tentare di portare un elenco di nomi più o meno completo al premier Giuseppe Conte in tempo per il Consiglio dei ministri convocato oggi alle 15. Ma i Dem sono pessimisti: “Noi siamo pronti ma i Cinque stelle no”; “Noi vorremmo accelerare ma gli altri vogliono più tempo”, dice Leu. 

La fretta nasce da un'esigenza stringente: senza i sottosegretari il lavoro del Governo non può davvero iniziare. Conte da Bruxelles fa sapere ai partiti che si aspetta una lista in tempo per il Cdm: “Sarebbe buono riuscire a completare la squadra”. Al momento non è nemmeno escluso che si riesca o che si rimandi di poco, a un Cdm venerdì mattina. Sarebbe l’auspicio dello stesso Quirinale, secondo fonti parlamentari, che il Governo sia a pieni ranghi e a pieno regime quanto prima. Il M5S dovrebbe avere 22 sottosegretari, al Pd ne spetterebbero 18 e a LeU 2.

Ancora da sciogliere il nodo MEF, dove sono in corsa Laura Castelli (viceministro uscente in odore di riconferma) e Stefano Buffagni. Gli altri candidati M5S al posto di sottosegretario per il dicastero di Via XX Settembre, guidato dal dem Roberto Gualtieri, sarebbero Alessio Villarosa, Giovanni Currò, Marco Pellegrini e Vincenzo Presutto; Antonio Misiani come viceministro e l'ex-sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vicenti sono le carte in mano al Pd. Ma circola anche il nome di Luigi Marattin. Agli Interni i nomi dem sono quelli di Emanuele Fiano e Franco Mirabelli, mentre sul fronte M5S ci sarebbe anche la candidatura dell'ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, oltre ai nomi di Carlo Sibilia, Federica Dieni e Mario Michele Giarrusso. 

Per la Giustizia c'è l'ipotesi Walter Verini. Il sottosegretario uscente Vittorio Ferraresi, Elisa Scutellà e Gianfranco Di Sarno sono i profili che circolano con più insistenza in casa M5S per Via Arenula. Potrebbero aspirare a un posto agli Esteri le esponenti del Pd Lia Quartapelle e Marina Sereni, mentre viene data quasi per certa la riconferma di Manlio di Stefano. Per quanto concerne la Difesa, Angelo Tofalo e Gianluca Aresta sono tra i nomi in pole per il M5S, mentre per il Mit si parla di Massimiliano Manfredi in quota dem e del pentastellato Agostino Santillo.

Dalla Regione Lazio, l'assessore Giampaolo Manzella potrebbe trasferirsi al Mise (o potrebbe affiancare Paola Pisano all'Innovazione, dove è in corsa anche il M5S Luca Carabetta): lo Sviluppo Economico sarebbe una destinazione gradita per la deputata Mirella Liuzzi, che punta alla delega sulle tlc, ma nel ministero presieduto da Stefano Patuanelli premono per la riconferma anche Davide Crippa e Andrea Cioffi. Al Lavoro potrebbe andare Chiara Gribaudo (Pd) e avanza anche il nome di Arturo Scotto di Leu, non rieletto alle ultime politiche. Si sarebbero fatti avanti per il ministero della Salute i grillini Giorgio Trizzino, Dalila Nesci e Nicola Provenza, mentre la deputata Maria Pallini punterebbe agli Affari Regionali

Aspira a un bis come sottosegretario all'Ambiente il grillino Salvatore Micillo, ma anche Alberto Zolezzi avrebbe manifestato il suo interesse per il medesimo dicastero. Ai Beni culturali e turismo i nomi più accreditati dei 5 stelle sono Gianluca Vacca e Paolo Lattanzio; per il Pd si fa il nome di Lorenza Bonaccorsi. Per le Politiche Ue si fa strada l'ipotesi di un non parlamentare, mentre ai rapporti con il parlamento potrebbe finire il pentastellato Francesco D'Uva e un esponente del PD. All'Istruzione come viceministro continua a girare il nome di Anna Ascani, per la PA Simona Malpezzi e per lo Sport Patrizia Prestipino (PD). Altri nomi in pole: Alessia Morani e Piero De Luca entrambi del PD. Sullo sfondo restano nomi di esterni in quota M5S, da Filippo Nogarin a Giancarlo Cancelleri.

Slitta taglio dei parlamentari, dubbi Dem sul proporzionale

La voce alta di Romano Prodi in favore del maggioritario, che si aggiunge a quella identica di Valter Veltroni martedì sera, fa aumentare imbarazzi e incertezze nel Pd riguardo alla riforma elettorale in chiave proporzionale. La scelta tra l'altro suscita interrogativi allo stesso segretario Nicola Zingaretti, mentre dirigenti come Dario Franceschini la considerano inevitabile o addirittura la sposano, come Matteo Renzi. Intanto nel primo passaggio parlamentare dopo la nascita del Conte II, il M5S fa una mossa distensiva verso i nuovi alleati, dando il via libera allo slittamento dell'ultimo voto in Aula alla Camera sulla legge sul taglio dei parlamentari

Ieri mattina la Conferenza dei capigruppo della Camera ha evitato di inserire questa riforma “nel primo calendario utile”, vale a dire a settembre. Se ne riparlerà a ottobre dando modo al Pd di concludere la propria riflessione sulla legge elettorale. Nel programma non si parla esplicitamente di sistema proporzionale, ma, rileva Federico Fornaro capogruppo di Leu, implicitamente è così. Infatti se si effettua un taglio lineare di deputati (da 630 a 400) e senatori (da 315 a 200) e si mantiene un sistema misto come il Rosatellum, partiti del 10% rischierebbero di rimanere fuori dal Senato o di eleggere un senatore solo nelle regioni più popolose. 

Un sistema proporzionale garantirebbe i partiti minori ma anche l'eventuale nascita di un partito di Renzi o Calenda; questo il motivo che secondo alcuni spiega il sì dei renziani duri e puri a un modello del genere. Anche l'area vicina a Franceschini considera come implicita nell'accordo con M5S l'adozione del proporzionale. Anche esponenti da sempre pro-maggioritario come Stefano Ceccanti considerano inevitabile la svolta proporzionale anche per sterilizzare la possibilità di vittoria di Matteo Salvini. Ma il padre dell'Ulivo e del Pd Romano Prodi ha ribadito il suo credo: “Io dico che il Paese si regge solo nella continuità che può dare il maggioritario. L'Italia ha bisogno del maggioritario per avere continuità di governo”. “Ci sarà tempo per discutere, non c’è nessuna decisione presa” ha detto Zingaretti; quanto alle obiezioni di Prodi e Veltroni, “sono molto condivisibili, dovremo discutere con grande attenzione. Anche se purtroppo non è vero che il maggioritario garantisce stabilità”. 

Voli stato, Corte Conti archivia inchiesta su Salvini, ma viaggi erano illegittimi

Escluso il danno erariale per l'utilizzo degli aerei di Stato da parte dell'ex titolare dell'Interno Matteo Salvini, resta illegittima la scelta di consentirne l'uso per il trasporto del ministro e del suo personale al seguito. La procura del Lazio della Corte dei Conti archivia l'inchiesta su 35 viaggi in aereo a bordo di velivoli a disposizione della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; in particolare si tratta del lussuoso bimotore Piaggio P-180 (ribattezzato la Ferrari dei cieli), su cui Salvini e il suo staff ha viaggiato non solo per iniziative ufficiali, ma anche per manifestazioni elettorali. Una vera e propria bacchettata, che parte dall'assunto che sia impossibile “dimostrare la sussistenza, nella fattispecie, di un danno erariale”, ma nello stesso tempo però emerge che “i velivoli sono stati acquistati per finalità prettamente operative e non per il trasporto di autorità”. 

Per questo il fascicolo è stato inviato alla procura di Roma per stabilire se siano stati commessi reati, in particolare l'ipotesi di abuso di ufficio. Il fascicolo della procura della Corte dei conti del Lazio era stato aperto nel maggio scorso dopo l'inchiesta del quotidiano Repubblica, un atto dovuto per verificare se c'era stato sperpero di denaro pubblico. Matteo Salvini se lo aspettava, tant'è vero che in uno dei suoi comizi lo scorso maggio, si era lasciato scappare: “Tornerò non più in aereo ma in bicicletta, perché qualcuno sta lì a guardare come vengo. Uso l'aereo per lavorare, non per venire a mangiare una pizza sul Lungomare”.



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