Il Governo vara il Def e un nuovo scostamento di bilancio da 40 mdl
Il 2021 sarà l'anno del rimbalzo del Pil che crescerà al 4,5% per salire ancora al 4,8 % nel 2022 e poi registrare il 2,6% nel 2023 e l’1,8% nel 2024. “Nello scenario programmatico già l'anno prossimo il Pil arriverebbe a sfiorare il livello del 2019”, spiega il ministro dell'Economia Daniele Franco nella premessa al Def, parlando di tassi di incremento mai sperimentati nell'ultimo decennio. Potrebbe andare meglio se l'andamento della pandemia consentisse la totale rimozione delle restrizioni nella seconda metà dell'anno, anche se “non può escludersi che nei prossimi mesi il contenimento dell'epidemia richiederà di valutare talune restrizioni alle attività che comportano maggiori rischi di contagio”. Ma potrebbe andare anche peggio in caso di limitata efficacia dei vaccini Covid-19 contro le varianti del virus: la crescita del Pil, secondo le previsioni del Governo, si fermerebbe al 2,7% quest'anno. In ogni caso la politica di bilancio resta espansiva anche per l'anno prossimo, contando sull'effetto choc del recovery plan che arriverà a valere, tra fondi Ue e il complementare decennale varato dal governo, 237 miliardi di euro, destinati a “un piano di rilancio, di uno shock positivo di investimenti pubblici e incentivi agli investimenti privati, alla ricerca e sviluppo, alla digitalizzazione e all'innovazione, senza precedenti nella storia recente”. Nel frattempo il Governo, in un Consiglio dei ministri durato circa 45 minuti dopo la riunione preliminare di ieri, ha varato oltre al Def la nuova richiesta di scostamento di bilancio da 40 miliardi di euro destinati al nuovo decreto che sarà varato entro fine mese. Complessivamente dunque il rapporto deficit/Pil schizza per il 2021 all’11,8%, un livello molto elevato “dovuto alle misure di sostegno all’economia e alla caduta del Pil”, spiega Franco. Si scenderà, nelle previsioni del Mef, al 5,9% nel 2022, al 4,3% nel 2023 e al 3,4% nel 2024. A partire dal 2025, il rapporto deficit/Pil tornerà a scendere sotto il 3%. Il rapporto debito/Pil è stimato al 159,8% nel 2021, per poi diminuire al 156,3% nel 2022, al 155% nel 2023 e al 152,7% nel 2024.
“Sebbene il Governo condivida l'opinione che le regole fiscali europee debbano essere riviste allo scopo di promuovere maggiormente la crescita e la spesa per investimenti pubblici, la riduzione del rapporto debito/PIL rimarrà la bussola della politica finanziaria del Governo”, assicura Franco che prospetta il ritorno ai valori pre-crisi entro la fine del decennio. Con l'ulteriore scostamento “i sostegni a famiglie e imprese erogati sin qui nel corso del 2021 raggiungerebbero il 4% del Pil, dopo il 6,6% dello scorso anno. L'auspicio del Governo è che, grazie ad andamenti epidemici ed economici sempre più positivi nei prossimi mesi, questo sia l'ultimo intervento di tale portata”, spiega il Ministro. Il testo del nuovo decreto sostegni, atteso entro fine aprile, avrà come destinatari principali i lavoratori autonomi e le imprese, cui sarà dedicata più della metà delle risorse. I ristori veri e propri, che dovrebbero seguire il modello del decreto sostegno ma calcolati su due mesi e non su uno, dovrebbero coprire anche “parte dei costi fissi, sia con sgravi d’imposta che con la copertura della quota fissa delle bollette e di parte dei canoni di locazione tramite crediti di imposta”. Il decreto prorogherà le indennità a favore dei lavoratori stagionali e introdurrà nuove misure a favore dei giovani, ad esempio uno sgravio fiscale sull'accensione di nuovi mutui per l'acquisto della prima casa. Per le imprese si punta al rafforzamento della resilienza delle aziende più impattate dalle chiusure, la disponibilità di credito e la patrimonializzazione. Per sostenere l'erogazione del credito alle piccole e medie imprese la scadenza del regime di garanzia dello Stato sui prestiti e la moratoria sui crediti sarà prorogata dal 30 giugno a fine anno. Complessivamente, prevede il Governo, le misure di sostegno contenute nel decreto legge avranno un impatto positivo sul Pil dello 0,6%.
Draghi apre il confronto politico sul Recovery
Mario Draghi è al lavoro per rafforzare la maggioranza: ieri ha avviato con M5S e Lega gli incontri con tutti i gruppi parlamentari sul Recovery plan, in vista del varo del piano da inviare a Bruxelles entro il 30 aprile. I partiti gli chiedono voce in capitolo, presentano proposte specifiche sui loro temi di bandiera e rivendicazioni sulle aperture e sul prossimo decreto con i sostegni alle imprese. Il premier annota e promette ascolto, sottolinea la politica espansiva del Governo e illustra le linee generali del piano. Sottotraccia emergono però sempre più numerosi i malumori e gli attriti, dentro e fuori i partiti della maggioranza. Matteo Salvini non si presenta all'incontro con il premier e tornano a circolare voci di dissidi, smentiti con forza da Giancarlo Giorgetti; fonti del partito di via Bellerio rimarcano che non c’è nessun problema tra i due. Più collegialità viene invocata dal Pd, che mostra di non gradire le sortite leghiste, a partire da quelle contro Roberto Speranza: “Siamo un governo di unità, bisogna restare uniti, non farsi dispetti o alimentare polemiche”, dice Mario Draghi ai leghisti. Il premier è alle prese con il varo del Recovery plan: Portogallo, Francia, Spagna e Grecia sono già pronti a presentare i loro progetti la prossima settimana e l'Italia deve fare in fretta, per non perdere “il turno” nell'assegnazione della prima tranche di fondi a luglio (fino a 27 miliardi, per il nostro Paese).
Ma i partiti e gli enti locali chiedono di poter dire la loro, anche con nuovi incontri sulla versione finale del testo, che dovrebbe essere in Consiglio dei ministri la prossima settimana e che il premier illustrerà alle Camere il 26 e 27 aprile: ci sono in ballo, come spiega il Ministro Enrico Giovannini, 50 miliardi solo per le infrastrutture, con forte spinta al Sud. Il M5S a Palazzo Chigi sottolinea la necessità di non ridimensionare il Superbonus al 110% per le ristrutturazioni edilizie approvato dal governo Conte e anzi chiede di prorogarlo al 2023. La Lega chiede di verificare che le filiere cui andranno i fondi siano effettivamente presenti in Italia, per evitare che si aggiudichino gli appalti aziende straniere. I leghisti chiedono anche con forza di rivedere il codice degli appalti, un tema che promette di far discutere i partiti con il M5S su una linea più rigorista. Anche se lo stesso Pd con il sottosegretario Enzo Amendola sottolinea la necessità che il Piano nazionale di rilancio e resilienza sia accompagnato da norme di semplificazione che consentano di spendere effettivamente i soldi. Altro tema potenzialmente divisivo, ma potrebbe essere definito con un decreto solo a maggio, è quello della governance: tutti i Ministri vogliono avere voce in capitolo e dunque dovrebbe prevalere l'idea di coinvolgerli a rotazione, per temi di competenza.
È tensione fra i partiti. FdI annuncia una mozione di sfiducia per Speranza
In parallelo con il varo del Recovery plan c’è la necessità di decidere come spendere i nuovi 40 miliardi di risorse in deficit che arrivano con il nuovo scostamento di bilancio. M5S chiede una spinta alle partite Iva, la Lega invoca nuovi criteri di assegnazione dei fondi in base non più al fatturato ma agli utili, il Pd ricorda però la necessità di fare presto. Il dibattito s’intreccia con quello dell'allentamento delle misure anti contagio: “Il miglior ristoro è riaprire, già lunedì, con le zone gialle”, dicono i leghisti a poche ore dalla cabina di regia del Governo per iniziare a discutere il cronoprogramma delle aperture. Anche Vito Crimi schiera il M5s sul fronte aperturista, che ormai include anche il Pd e il ministro Roberto Speranza, sia pur con grandissima prudenza.
Intanto su Speranza la Lega abbassa il suo pressing ma a surriscaldare l'atmosfera ci si mette Fratelli d'Italia, con l'annunciata mozione di sfiducia individuale nei confronti del Ministro della Salute. “La leggeremo”, dicono i salviniani. Ma per la Lega è a dir poco difficile sostenere l'iniziativa: fonti del centrosinistra la interpretano come un tentativo di Giorgia Meloni di mettere in difficoltà Salvini, dopo gli screzi sul Copasir. Secondo il tam tam dei corridoi di palazzo, nella Lega in queste ore l'atmosfera sarebbe appesantita da una diversità di vedute su come stare al governo, con il segretario su una linea più dura del suo capo delegazione Giorgetti. Da via Bellerio smentiscono qualsiasi tensione e anche ogni ipotesi di divergenza tra il segretario e Draghi: Salvini non è andato a Chigi perché doveva tornare a Milano per stare con i figli, spiegano. Ma gli alleati descrivono un clima sempre più nervoso in maggioranza: lo proverebbe la reazione veemente di Salvini all'incontro tra Enrico Letta e il fondatore di Open Arms.
Conte è al lavoro sul nuovo M5S e intanto vara il decalogo per le restituzioni
Che piaccia o meno il nuovo Movimento 5 Stelle per partire avrà bisogno di risorse: è un po' questo il messaggio che i vertici del M5S e l'ex premier Giuseppe Conte da giorni provano a recapitare a dei gruppi pentastellati sempre insofferenti rispetto al perdurare dei nodi relativi al rapporto con Rousseau e al terzo mandato. Nel frattempo però, qualcosa si muove e il Comitato di Garanzia ha varato il nuovo regolamento per il trattamento economico degli eletti: via le quote per la piattaforma di Davide Casaleggio, ma il conto mensile, per i parlamentari resta “salato”, 1.500 euro da versare in un conto ad hoc che finanzierà iniziative senza scopo di lucro e mille euro per il partito in tutte le sue ramificazioni, inclusa la piattaforma digitale. E gli eletti non l'hanno presa benissimo: “Vogliamo vedere il progetto”, è il mantra che circola tra i più scettici. Conte, di fatto, deve accelerare e, dalla nuova Carta dei valori alla sede fisica nel centro di Roma del nuovo Movimento, i lavori in realtà procedono abbastanza spediti. Prima del 22 aprile, però, difficilmente l'ex premier chiuderà sul restlyling dei Cinque Stelle. È in quel giorno, infatti, che scade l'ultimatum dato da Rousseau per sanare i debiti, che, nel nuovo regolamento, il Comitato dei Garanzia in effetti “accoglie” chiedendo a tutti gli eletti di regolare le restituzioni fino al 31 marzo; poi, da aprile, scattano le nuove norme.
Norme severe visto che “l'inadempimento di quanto previsto ai punti precedenti costituisce una grave violazione suscettibile dell'applicazione di provvedimenti disciplinari”. Le quote mensili, si legge nel documento, serviranno al “mantenimento delle piattaforme tecnologiche, scudo della rete, comunicazione e altre spese generali di funzionamento”. Ma che i fondi arrivino subito è tutt'altro che scontato, soprattutto finchè non si chiarirà il nodo del limite dei due mandati: difficilmente chi è a fine corsa si convincerà a effettuare i versamenti a un Movimento che non lo metterà in lista. Il rischio di nuove fuoriuscite, insomma, non è assolutamente evaporato e toccherà a Giuseppe Conte entrare nel merito della questione dei mandati prima del lancio vero e proprio del Movimento. Sui temi squisitamente politici la “stella polare” del nuovo corso sarà la transazione ecologica; il campo è quello del centro-sinistra, ma è soprattutto al centro che Conte sembra guardare, tanto che fonti che lavorano al dossier M5S 2.0 prevedono l'ingresso di nuovi parlamentari nei gruppi, addirittura una trentina, e non si tratta degli espulsi. L'impressione, insomma, è che l'arrivo di Conte porterà ad un rimescolamento profondo, e a tutti i livelli, del Movimento.