Draghi difende linea dura in Ue. L’Economist incorona l’Italia Paese dell'anno

Mario Draghi, di fronte ai colleghi capi di Stato e di Governo riuniti per il Consiglio europeo, difende la linea dura impressa da Roma sugli arrivi in Italia. Grazie ai “numeri elevati” della campagna di vaccinazione (l'83-85% di immunizzati, 500mila terze dosi effettuate, sottolinea il premier) il nostro Paese “per ora” non ha risentito della tragica impennata di contagi che da giorni altre capitali internazionali sono costrette a registrare. La stretta, che prevede fino al 31 gennaio l'obbligo di un test negativo in partenza per chi proviene dai Paesi Ue e, in aggiunta, una quarantena di 5 giorni per chi non è vaccinato, è quindi necessaria per non dover pagare un prezzo che è già stato troppo alto, con 135.000 morti e la caduta del 9% del Pil. Bruxelles continua a chiedere un approccio coordinato nelle misure di contrasto al Covid, che non ostacoli la libera circolazione tra gli Stati o i viaggi all'interno dell'Ue e le conclusioni del Consiglio europeo lo mettono nero su bianco; Draghi concorda, ma rilancia: il coordinamento a livello Ue “deve essere guidato dal principio di massima cautela”, dice, chiedendo di rafforzare la definizione di alcuni aspetti: vaccinazioni, data di scadenza del Green pass e campagna sulla terza dose. Quanto ai rilievi mossi a Roma per il mancato preavviso di 48 ore previsto dai regolamenti, smorza i toni il sottosegretario agli affari europei Enzo Amendola: si è fatto “molto rumore per nulla. C'è un coordinamento solido”, assicura. 

Palazzo Chigi e gli esperti del Cts tengono sotto stretta e costante osservazione i dati. E se Franco Locatelli definisce “ipotesi da considerare” l'introduzione dell'obbligatorietà del tampone, anche per i vaccinati, per accedere ai grandi eventi, e la possibilità di prevedere mascherine all'aperto per tutti, il Governo non pensa a nuove svolte, almeno nell'immediato. A blindare la strategia messa in campo da Roma, poi, a Consiglio europeo in corso, arriva anche il riconoscimento di The Economist: l'Italia, per la rivista britannica, è il “Paese dell'anno 2021”. Il premio non va al Paese “più grande, al più ricco o al più felice”, ma a quello che “è migliorato di più nel 2021” e il giornale ha scelto l’Italia “non per l'abilità dei suoi calciatori, che hanno vinto l'Europeo, né per le sue pop star, che hanno vinto l'Eurovision Song Contest, ma per la sua politica”. In particolare, è la sottolineatura, con “Mario Draghi”l'Italia “ha acquisito un premier competente e rispettato a livello internazionale”. Non solo, “Per una volta una larga maggioranza dei politici italiani ha seppellito le proprie divergenze per sostenere un programma di profonda riforma” che dovrebbe permettere a Roma di ottenere “i fondi cui ha diritto nell'ambito del piano di ripresa post-pandemia dell'Ue”. Apprezzamento, poi, per la strategia messa in atto contro il Covid e per la ripartenza. 

Mattarella incontra il Papa, poi commiato al personale diplomatico

Con la visita a Papa FrancescoSergio Mattarella avvia il conto alla rovescia che lo porterà alla fine del suo settennato. L'ingresso al palazzo Apostolico, la stretta di mano con il Pontefice, lo scambio di doni, e il colloquio di 45 minuti, scandiscono il primo appuntamento del calendario dei saluti che porterà il Presidente della Repubblica al discorso di fine anno. E il suo “mi congedo” Mattarella lo rimarca nel primo appuntamento ufficiale al Quirinale, riunendo per gli auguri di Natale e Capodanno tutto il corpo diplomatico: “È con grande piacere che torno ad accogliervi al Quirinale per il saluto di fine anno. Oggi, per me, è anche l'occasione di un commiato”, parole che il capo dello Stato ripeterà nelle prossime occasioni, senza la certezza, tuttavia, di spegnere le speranze di chi lo rivorrebbe al Quirinale anche dopo il 3 febbraio. Mattarella è stato molto chiaro nel ribadire il categorico no a un mandato bis.

In attesa che il Presidente incontri lunedì le Alte cariche della Repubblica, ieri con il corpo diplomatico è tornato a toccare temi a lui vicini, che hanno segnato la sua presidenza. Forte il richiamo all'unità a livello internazionale su clima, migranti e pandemia e la difesa di quel multilateralismo che per l'Italia resta “una priorità” come sancito dai Padri costituenti: “Un ordinamento internazionale che rifiuti la violenta composizione delle controversie e che assicuri pace, libertà e rispetto dei diritti umani, è l'unico nel quale tutti i popoli della terra possano rispecchiarsi adeguatamente”. Sulla lotta al Covid, Mattarella chiede con fermezza di fare fronte comune contro “le sfide del momento” che “trascendono i confini nazionali”. E proprio contro il tentativo d’isolamento, portato avanti da molti stati europei, Mattarella ribadisce: “La realtà dei nostri giorni ci lascia intendere come in ogni ambito delle relazioni internazionali approcci esclusivamente nazionali non abbiano speranza di successo”, “I nostri destini, quelli del pianeta e dell’intera umanità, sono inestricabilmente legati", dice a voce ferma. Non è infatti un caso che prima di salutare il personale diplomatico Mattarella consegni il suo personale auspicio per un 2022: “Che consenta ai nostri popoli di far tesoro delle lezioni che abbiamo appreso in questi due anni, per un miglior futuro”. 

Tajani: Berlusconi non è candidato al Quirinale. Pd e M5S dicono no al Cav

Nonostante la manovra, la partita del Quirinale agita i partiti e già riserva mosse importanti anche se di tattica difensiva. Come quella di Antonio Tajani: “Berlusconi non è candidato, non c'è nessuna sua candidatura presentata da lui”, dice il coordinatore azzurro invocando, allo stesso tempo, una “convergenza ampia”. Poi, l'affondo verso Enrico Letta: “Noi non poniamo veti, ma non accettiamo che altri li pongano. Se Berlusconi non si candida lo fa per sua scelta, non perché ci sono dei veti”. Ogni riferimento alle parole del segretario Pd, che solo 24 ore prima aveva detto “mai un capo partito al Colle”, sono puramente volute, tant'è che Tajani sfodera pure il precedente: “Nella storia della Repubblica italiana va ricordato che Giuseppe Saragat è stato ininterrottamente leader del partito socialdemocratico, quindi non è vero che i leader di partito, nella storia del nostro Paese, non hanno fatto il presidente della Repubblica”. Il centrodestra sta tentando, faticosamente, di trovare una compattezza proprio sulla figura del Cav: “Ci mancherebbe”, risponde Matteo Salvini a chi gli chiede se il nome di Berlusconi resta in campo; lo stesso dice Giorgia Meloni, solo con più pragmatismo o forse meno enfasi dell'alleato: “Per noi resta ancora sul campo, ma ne riparliamo a gennaio, come dice Letta”. Intanto, il segretario della Lega non rinuncia al progetto di portare tutti i leader allo stesso tavolo per discutere di una figura unitaria o, quantomeno, largamente condivisa: “Ho già invitato i miei colleghi a vederci per parlarne”, “Ho avuto l’ok da parte di tutti e dopo la manovra li reinviterò a Roma per discuterne perché non voglio pensare a un gennaio di confusione e 30 votazioni”. Spostandosi ancora a destra, però, la Meloni non nasconde lo scetticismo: “È una buona idea, se riesce a concretizzarsi”. 

Intanto i Cinque Stelle ribadiscono il no alla sua elezione: “Non è il nostro candidato e non avrà i voti del Movimento, il nostro dna è totalmente diverso da quello di FI e di Berlusconi”, dice Giuseppe Conte. Mentre Luigi Di Maio si spinge un passo in avanti, riflettendo: “Non è escluso che ad affossare la sua candidatura possa essere proprio il centrodestra”, notando che “Tajani dice che non è candidato per proteggerlo, mentre Salvini e Meloni corrono a candidarlo per poi dire che non ci sono i numeri”. Il ministro degli Esteri, poi, benedice il dialogo tra Conte e il segretario del Pd, Enrico Letta, ma niente nomi: “Ben venga, cerchiamo di costruire un metodo comune”. L'ex capo politico lancia solo un appello, chiarissimo: “Il Presidente Draghi va protetto dai giochi politici” e affida alle cronache un ragionamento sui pericoli che si annidano sulla strada verso il Quirinale: “Il partito dei franchi tiratori non solo esiste, ma può crescere. Questo Parlamento si presenta all'elezione del capo dello Stato in una condizione inedita, con un gruppo Misto che è il più grande della storia”. 

Cgil e Uil scendono in piazza per lo sciopero generale e chiedono le riforme

Cgil e Uil scioperano e manifestano, per chiedere risposte e riforme per il Paese, quello “reale” da cui, attaccano, la politica è sempre più distante: prova ne è quanti ormai non vanno più a votare. E questo è solo l'inizio di una “battaglia”, che parte per portare a casa risultati dal Governo sul lavoro, sulle pensioni e sul fisco, assicurano i segretari generali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri dalla manifestazione a Roma, una delle cinque organizzate in concomitanza con lo sciopero generale, di nuovo senza la Cisl e ora anche senza le bandiere dei partiti: in piazza del Popolo a Roma contro una manovra considerata inadeguata e ingiusta c’è soltanto Sinistra italiana con il segretario nazionale Nicola Fratoianni. Sette anni fa ci fu la stessa spaccatura sindacale, quando il 12 dicembre 2014 Cgil e Uil scesero in piazza contro il Jobs act firmato Matteo Renzi e la manovra di allora. Il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, che sabato sarà in piazza con una manifestazione nel segno della “responsabilità”, ha rilanciato il dialogo sociale con il Governo. 

Duri i giudizi dal fronte politico del centrodestra. Tra tutti il segretario della Lega, Matteo Salvini: “Uno sciopero-farsa contro l'Italia e i lavoratori, la Cgil ci aiuti a ricostruire il Paese anziché bloccarlo”. Il deputato di Leu Stefano Fassina invita il centrosinistra e il M5S a raccogliere “la rabbia e le proposte” della piazza. Quanto alle adesioni è guerra di cifre: i sindacati parlano di percentuali alte con una media dell'85% in molte realtà e in alcuni settori e comunque tirano dritto: “Oggi ci sono cinque piazze piene” e queste “ci dicono che non siamo isolati”, ripetono Bombardieri e Landini anche dal palco; e replicano al presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “Lo sciopero lo ha reso triste? Qui sono tristi i lavoratori che rischiano o non hanno un posto”; senza risposte, “noi scioperiamo e torniamo in piazza perché non rinunciamo all'idea di una riforma vera di pensioni, fisco e lotta alla precarietà. Ora ancora con più forza”, assicura il numero uno della Cgil. 

Ancora rinvii sulla Manovra. Sabato i primi voti in Commissione Bilancio

Come rivedere il superbonus, che fare con le scadenze delle cartelle esattoriali, quali tra le centinaia di emendamenti dei partiti fare rientrare nei fondi a disposizione: a meno di due settimane dalla fine dell'anno, e dall'esercizio provvisorio, la legge di bilancioè bloccata a Palazzo Madama dove i senatori non hanno ancora espresso nemmeno un voto in Commissione. La situazione è quantomeno anomala e lascia gioco facile a Giorgia Meloni che torna a denunciare che “il Parlamento ancora una volta farà il passacarte”. Governo e maggioranza a dire il vero sono al lavoro da giorni, tra riunioni in Senato e al Mef, per trovare un punto di caduta tra le richieste dei gruppi ma si accumulano “ritardi su ritardi”. Ieri le varie riunioni si sono concentrate sul faldone degli emendamenti segnalati per fare una ulteriore scrematura, in attesa dei pareri della Ragioneria. Proprio il sovraccarico degli uffici di via XX settembre, concentrati sul decreto Pnrr approvato nella notte di giovedì in Commissione alla Camera e che oggi andrà in Aula, è stato portato da ultimo tra le motivazioni dei continui slittamenti: nemmeno gli emendamenti del Governo, attesi oramai da una settimana, sono stati depositati, anche se l'intesa sul fisco e sulle bollette è blindata. 

Sul taglio delle tasse sono intanto circolate le simulazioni ufficiali che raccontano vantaggi “per il ceto medio e i redditi bassi”, sottolinea il viceministro al Mef Laura Castelli, facendo esempi dalla famiglia monoreddito a 10mila euro e due figli che avrà un vantaggio da 1.188 euro, l'11,9%, combinando anche gli effetti del taglio dei contributi per il 2022 e dell'assegno unico che sostituirà dal prossimo anno tutti gli aiuti alla famiglia. In attesa del pacchetto del Governo, intanto i partiti hanno raggiunto alcune intese di massima su grandi temi condivisi, come i 200 milioni in più in arrivo per la scuola o la diluizione ancora più lunga dei tempi dei pagamenti per le cartelle in arrivo a partire da gennaio, che dovrebbe passare da 5 a 6 mesi. Ancora da chiudere definitivamente, invece, la partita del superbonus: da giorni i partiti hanno presentato una proposta al Mef che fa saltare il tetto Isee per le villette, insieme a una serie di altri ritocchi, sui quali però ancora non è arrivata una risposta definitiva del Governo. Nel pacchetto potrebbe rientrare anche un rialzo del bonus mobili: la soglia delle spese detraibili potrebbe salire da 5mila a 10mila euro. Intanto i tempi per chiudere il primo passaggio della legge di Bilancio in Senato si fanno inevitabilmente più lunghi: la Commissione non inizierà a votare prima di sabato e difficilmente riuscirà a chiudere prima di lunedì; il passaggio in Aula dovrebbe comunque arrivare entro il 23 in modo da arrivare al via libera finale alla Camera tra Natale e Capodanno. 



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social