Renzi e Conte s’incontreranno, ma in Aula si andrà alla conta

Matteo Renzi e Giuseppe Conte si vedranno la prossima settimana, per la prima volta dalla nascita del governo. Poi il premier, forse nei primi giorni di marzo, andrà in Aula a presentare l'agenda di Governo 2020-2023. È il primo tentativo di uscire dallo scontro permanente e sarà quello il momento per verificare se Italia Viva è dentro o fuori la maggioranza, perché il premier chiederà il voto su una risoluzione a favore del suo programma, una conta che potrebbe portare allo scoperto anche i primi responsabili. Intanto Iv continua a marcare le distanze: alla Camera in una mattinata vota ben 10 volte in dissenso dalla maggioranza e al Senato Renzi è assente al voto di fiducia sulle intercettazioni. Il tentativo di disgelo, racconta il leader di Iv, inizia mercoledì mattina, quando Conte gli manda un “gentile messaggio” dopo aver sentito le sue parole di sostegno alla linea del governo in Ue. Poche ore dopo, in tv, il senatore fiorentino dal salotto di Porta a porta torna ad alzare i toni, a partire dalla richiesta di abolire il reddito di cittadinanza che fa insorgere i Cinque Stelle. Ma a Conte via whatsapp chiede quell'incontro: “Serve una forma di trasparente chiarezza per mettere fine al teatrino, gli ho chiesto di vederci se lo riterrà utile”, annuncia lo stesso Renzi. 

E il presidente del Consiglio, arrivando a Bruxelles per un vertice Ue, conferma che si vedranno: “La mia porta è sempre stata aperta e sempre sarà aperta”, dichiara. Ma un incontro a questo punto non basta per ricucire. E Conte porta il confronto con Renzi fuori dai salotti tv e anche delle trattative al chiuso di Palazzo Chigi: “Farò delle comunicazioni al Parlamento, preannuncerò le misure che riteniamo servano al Paese”, spiega il premier che assicura di non essere in cerca di nuove maggioranze. Con ogni probabilità non chiederà, spiegano fonti di maggioranza, un voto di fiducia al Governo ma un voto su una risoluzione che recepisca il programma 2020-2023. Sia Pd sia M5S apprezzano la scelta di un momento per fare chiarezza: “Fatti non parole”, dice Nicola Zingaretti e anche Vito Crimi spinge a uscire dai salotti tv. Nel Pd più d'uno è convinto che Renzi abbia chiesto l'incontro a Conte proprio perché aveva capito che il premier avrebbe portato la crisi in Parlamento. E c’è anche chi è pronto a scommettere che Iv voterà a favore del premier, salvo tornare a pungolare il Governo dal giorno dopo.  

A Conte, Renzi potrebbe chiedere posti nei cda delle aziende partecipate e di abbassare l'asticella della legge elettorale. Ma i renziani negano: “Il Pd, come dice Bettini, ci vuole fuori per avere i responsabili. Se Conte farà un discorso senza aperture vorrà dire che anche lui ci vuole fuori. Ma al premier diremo che non può pretendere di avere i nostri voti senza rispettare le nostre idee”, aggiungono. E lo stesso Matteo Renzi nella sua newsletter pone quattro temi: il piano shock sulle infrastrutture, che porterà a Conte, il dossier giustizia su cui pende la minaccia di sfiducia a Bonafede, cambiare o eliminare il reddito di cittadinanza, la riforma per l'elezione diretta del premier. È una proposta estemporanea, taglia corto Conte. Il resto della maggioranza e gran parte dell'opposizione snobbano Iv, ma contatti si segnalano tra i renziani e Fi: uno ci sarebbe stato mercoledì sera in Senato, per dialogare anche su altri temi come il reddito di cittadinanza. A verbale resta la proposta renziana di un governo istituzionale per proseguire la legislatura.

Lo scontro sarà anche su legge elettorale e nomine

Matteo Renzi sembra pronto a tutto pur di far valere le proprie ragioni. Giuseppe Conte non ha alcuna intenzione di farsi logorare. Ma c’è un doppio canale che, se esplorato con successo, potrebbe portare a una ricucitura: è quello delle nomine e della legge elettorale. È su questo terreno, sotterraneamente, che gli alleati di Iv proveranno a lanciare la loro mediazione. Con una convinzione che soggiace al Pd, al M5S e forse anche al premier Giuseppe Conte: la sostituzione di Iv con i responsabili conviene poco sia a Iv che alla maggioranza stessa. Sulla legge elettorale la maggioranza stringerà: l’obiettivo è arrivare almeno a un primo ok parlamentare prima del referendum sul taglio dei parlamentari del 29 marzo: è, di fatto, la risposta di M5S e Pd alla proposta del “Sindaco d'Italia” lanciata da Renzi. 

L'asse tra Movimento e Dem sul proporzionale è saldo e per sminare la trincea di Iv emerge in queste ore l'idea dell'abbassamento della soglia di sbarramento dal 5% al 4%: “Tanto bisogna vedere se ci arriva, al 4%”, ironizza una fonte del M5S senza smentire l'ipotesi. Il mese cruciale sarà marzo, lo stesso in cui la maggioranza sarà chiamata a stringere sulle nomine, 400 in totale, molte delle quali determinanti: Enel, Eni, Terna, Poste, Leonardo, tanto per fare qualche nome. La maggioranza dovrebbe comunicare al Mef le proprie indicazioni diversi giorni prima delle varie assemblee che si terranno nelle partecipate. Non a caso oggi Stefano Buffagni, spesso emissario del M5S su questi dossier, lascia una prima traccia: “Ho visto che Renzi è preoccupato per le nomine, bene. Ma prima di parlare di nomi apriamo un dibattito sull'orizzonte delle aziende di Stato”, spiega il viceministro al Mise lanciando qualche idea su Terna, Eni, Enel. 

Serve parlarsi; Conte e Renzi lo faranno, anche perché, sul versante nomine, già è stallo, a partire dalla Rai. L’elezione dei commissari che la maggioranza deve indicare per Agcom e Garante della Privacy slitta continuamente e forse non si chiuderà neanche la settimana prossima. Sono passaggi che vedono il Quirinale mero osservatore: il presidente Sergio Mattarella non vuole farsi coinvolgere in dinamiche parlamentari. Un fatto, tuttavia, è ormai certo: le Camere non saranno sciolte prima del 29 marzo, cioè prima del referendum sul taglio dei parlamentari; tradotto, si potrà votare solo all'inizio di settembre viste le tempistiche costituzionali (e della rimodulazione dei collegi) post-referendum e su questo punto che Renzi mette in campo la sua strategia anti-responsabili. Ma al Senato, fuori taccuino, serpeggia una certezza: la risoluzione che seguirà alle comunicazioni di Conte potrebbe vedere qualche new entry. L'obiettivo del premier, però, è non perdere Iv, o almeno una parte di essa. 

Zingaretti propone tre donne ai vertici del partito e segreteria unitaria

Tre donne alla guida del Partito Democratico e una segreteria unitaria. A due giorni dall'Assemblea Dem a Roma, il segretario annuncia il nuovo assetto che punta anche sulla centralità dei territori e degli enti locali e vede la nascita di un esecutivo di funzioni, nei fatti un organismo di coordinamento cui partecipano i capigruppo, i Ministri e che fra gli altri annovera il governatore dell'Emilia Romagna e presidente della Conferenza Stato Regioni Stefano Bonaccini. Domani i dirigenti Dem si ritroveranno all'Auditorium della Conciliazione e da lì partirà il percorso per il congresso straordinario. Ad aprire i lavori sarà Nicola Zingaretti: “È importante affrontare i difficili appuntamenti che abbiamo davanti con spirito combattivo e unitario, impostando un lavoro che è proiettato nei territori per il rilancio dell'organizzazione e di coordinamento dell’attività di Governo e parlamentare”, scrive in una nota. 

Al vertice dell'Assemblea nazionale propone la sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi, una scelta che Zingaretti motiva con l'obiettivo di rappresentare “al meglio il percorso di apertura che stiamo costruendo”. Cuppi, 36 anni, ha una lunga carriera da amministratrice del Comune di Marzabotto, dove è stata eletta sindaca di una coalizione di centrosinistra. Nel 2013 è stata candidata alla Camera nelle liste di Sel. “Credo tanto nell'amministrare partecipato, nel dialogo costante con la popolazione; progettare e fare insieme sono sempre stati il motore e il metodo di lavoro che mi sono data”, si legge nel profilo Fb. Ad affiancarla, se la sua elezione sarà confermata, ci saranno altre due donne come vicepresidenti: Anna Ascani e Debora Serracchiani. Rappresentanza femminile dunque, ma anche “figure nuove, parlamentari, dei territori, sindaci e amministratori”. 

Nella segreteria unitaria entra quindi Base riformista con Emanuele Fiano (Esteri), Carmelo Miceli (Sicurezza), Caterina Bini (Enti Locali). Partecipare al progetto “con convinzione: responsabilità e unità, due pilastri fondanti per il futuro del nostro partito”, commentano Alessandro Alfieri e Andrea Romano, rispettivamente coordinatore nazionale e portavoce dell'area politica guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Rappresentata anche la corrente che fa capo a Maurizio Martina con Brenda Barnini (Welfare) e Stefano Lepri (Terzo Settore). Non ci sono gli orfiniani, che fanno però sapere di aver chiesto di restare fuori. Viene invece letto come un messaggio a Renzi la scelta di aprire agli ex renziani, incluso Stefano Bonaccini, che insieme ad altri fa parte del “nuovo Esecutivo”, un organismo che già si riuniva informalmente ma che ora viene istituzionalizzato.



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