Oggi il centrodestra unito salirà al Quirinale. La squadra sarà pronta in serata
Giorgia Meloni a poche ore dalle consultazioni al Quirinale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella suona la carica e allontana ogni ipotesi di tensione con gli alleati. Alle 10.30, la coalizione andrà unita al Quirinale; accanto alla futura premier ci saranno i capigruppo di Fdi, Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani, oltre a Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Maurizio Lupi. La squadra che, assicura, affronterà “con consapevolezza e competenza le urgenze e le sfide del nostro tempo” è pronta per essere presentata al capo dello Stato, anche oggi quando le sarà affidato l'incarico: si fanno infatti insistenti le voci che la lista dei ministri potrebbe essere consegnata immediatamente al Capo dello Stato (come fu per Berlusconi nel 2008) o dopo qualche ora dall'aver ricevuto l’incarico.
Il messaggio raccolto ieri al primo giorno di consultazioni non vede, di fatto, all'orizzonte aperture dalle opposizioni e inoltre le elezioni del 25 settembre hanno dato un risultato netto, con la vittoria chiara del centrodestra a trazione FdI; dunque, la volontà potrebbe essere quella di non voler perdere tempo. Il Paese ha bisogno di risposte e Meloni è certa di poter garantire all'Italia un “esecutivo capace e autorevole” dentro e fuori i confini nazionali, anche a dispetto delle parole pronunciate incautamente dal Cavaliere sui suoi rapporti con Putin e contro Zelensky. La Meloni vuole evitare quanto accaduto nel 2018 con lo show dell'ex premier al termine delle dichiarazioni stampa e si valuta ancora, infatti, la possibilità che sia solo la Meloni a parlare a nome della coalizione.
L'accelerazione è “verosimile”, ripetono da Fratelli d'Italia, e sui taccuini dei cronisti si riscrive il timing che potrebbe portare il nuovo Governo a giurare già sabato e ad avvicendarsi con l'esecutivo di Mario Draghi nella stessa giornata. Tuttavia, ancora qualche ora potrebbe servire per riposizionare qualche casella e far digerire il no a Berlusconi per Elisabetta Alberti Casellati alla Giustizia; il titolare di via Arenula sarà molto probabilmente Carlo Nordio. È sugli Esteri che comunque si discute ancora: Antonio Tajani da Bruxelles è tornato a ribadire il posizionamento del partito europeista e atlantista, confermando il sostegno all'Ucraina e la condanna di Putin. Se basterà si vedrà ma alla Farnesina salgono le quotazioni di Giampiero Massolo.
Intanto si parla di un tecnico alla Difesa al posto di Edmondo Cirielli o Adolfo Urso (tornato in pole per la delega ai servizi). La vera novità, però, dovrebbe esserci su tre caselle: Francesco Lollobrigida all'Agricoltura e Giovanbattista Fazzolari ai Rapporti col Parlamento, una mossa relativa anche a una promozione di Luca Ciriani a Ministro ai Rapporti con il Parlamento. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio invece, si pensa ad Alfredo Mantovano. Rientra invece nel totonomi anche Letizia Moratti, che potrebbe avere la Cultura e lasciare il suo posto in Regione Lombardia. Sul Mef c’è chi parla di un passo indietro per Giancarlo Giorgetti con al suo posto un tecnico di cui al momento non si fa il nome.
Tutte le forze di opposizione confermano a Mattarella il no al Governo Meloni
La prima giornata di consultazioni al Quirinale trascorre senza grandi sorprese. Ad aprire le danze, nella loggia d'onore, sono come da prassi i presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana; Sergio Mattarella ha poi un colloquio telefonico con il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano. I primi gruppi a sfilare sono gli esponenti delle Autonomie e i gruppi Misti di Camera e Senato: “Vista la lista dei Ministri, i partiti dovranno esprimersi e decidere. Siamo partiti diversi ma l'orientamento di tutti noi è di votare contro la fiducia”, dice Julia Unterberger che guida il gruppo Autonomie a palazzo Madama. “Il nostro non sarà un voto di fiducia, nel senso che non voteremo sì, ma questo non significa necessariamente che voteremo no. Stiamo valutando e non è del tutto esclusa la nostra astensione, perché aspettiamo di valutare la composizione della lista dei Ministri e il programma di governo”, specifica invece Manfred Schullian di Svp. Voteranno sicuramente contro a un possibile esecutivo Meloni, invece, deputati e senatori dell'alleanza Verdi-Sinistra: “La destra ha ricette che possono solo aggravare le condizioni del Paese” taglia corto Nicola Fratoianni.
Il no a Giorgia Meloni arriva forte e chiaro anche dal Terzo polo: “Azione e Italia viva saranno all'opposizione di questo Governo. Un'opposizione senza sconti che cercherà di guardare alle cose concrete”, assicura Carlo Calenda. E all'opposizione si schierano anche Giuseppe Conte e Enrico Letta. “Abbiamo confermato al presidente della Repubblica che noi saremo all'opposizione in Parlamento. Saremo un'opposizione rigorosa e ferma alla maggioranza, che non è maggioranza nel Paese ma lo è in Parlamento e ha tutto il diritto di governare. Faremo opposizione a partire da lavoro, diritti e ambiente”, scandisce il segretario Pd che continua a chiedere una convergenza nella strategia di contrasto al Governo. Anche dal Quirinale però Calenda e Conte confermano il loro no: il leader di Azione, come annunciato, ha sottoposto al presidente della Repubblica il vulnus rappresentato dal fatto che “una forza politica che ha avuto 8% alle elezioni è rimasta fuori dal diritto di presenza dalle istituzioni”, rimandando al mittente ogni invito all'unità. Il presidente del M5S è ancora più netto: “Un'opposizione unitaria non è nell'ordine delle cose e non è all'orizzonte”, taglia corto.
Le opposizioni sono critiche su Tajani agli esteri dopo le parole di Berlusconi
I tre leader delle opposizioni, oltre al no a un governo guidato da Giorgia Meloni, sono d'accordo nell’esprimere perplessità sul nome di Antonio Tajani quale possibile nuovo ministro degli Esteri: “La ricostruzione integrale del ragionamento articolato di Silvio Berlusconi è inaccettabile. Abbiamo espresso forte perplessità che il dicastero della Farnesina così centrale possa essere affidata a FI il cui presidente ha articolato questo ragionamento”, dice chiaro Conte. Anche per Calenda “non è concepibile che il titolare della Farnesina sia espresso da una forza politica che con il suo capo più volte ha definito l'invasione russa una risposta alla provocazione ucraina per portare persone per bene al governo di Kiev”. E anche Enrico Letta, pur non sbilanciandosi, bolla le parole di Silvio Berlusconi come “un gravissimo vulnus alla credibilità del nostro Paese, ma un vulnus gravissimo sono anche gli applausi che sono seguiti a quelle parole”. Il fronte, però, si rompe sulla linea da tenere sull'Ucraina; se unanime, infatti, è la condanna all'aggressione di Mosca e il sostegno a Kiev, Conte torna a smarcarsi sulla strategia per arrivare alla pace: “Noi riteniamo che non sia più necessario che l'Italia invii le armi all'Ucraina”, sentenzia, avendo votando a malincuore il sì ai decreti stando in maggioranza e lasciando presagire un voto contrario ora dall'opposizione.
Nella notte è arrivata l’intesa in Ue sull’energia
Dopo dodici ore di tensioni è arrivato l'accordo al fotofinish. L'Ue salva l'unità sul dossier dell'energia e lo fa limando, parola per parola, delle conclusioni che restano abbastanza ambigue da lasciare tutti e 27 soddisfatti a metà; tuttavia, per il partito del price cap e del nuovo Sure sull'energia l'intesa registra dei passi avanti, tanto che Mario Draghi, lasciando l'Europa Building, sottolinea “è andata bene”. L'accordo, infatti, mette nero su bianco “l'urgenza delle decisioni concrete” da prendere sul gas con una serie di misure che includono la piattaforma di acquisti comuni e un nuovo benchmark complementare al Ttf. Il binario da seguire resta quello proposto dalla Commissione il 18 ottobre scorso; le misure, nel concreto, non cambiano: si va dalla piattaforma aggregata per il gas all'incentivazione delle rinnovabili fino a un price cap al gas nella formazione del prezzo dell'elettricità; sull'applicazione del modello iberico si potrebbe aprire la strada a un nuovo Sure sull'energia.
Nelle conclusioni si domanda alla Commissione di fare “un'analisi dei costi e benefici sulla misura” che, per compensare il differenziale tra prezzo amministrato e prezzo di mercato, comporterebbe un peso eccessivo sui conti pubblici di diversi Paesi membri. Ma l'altra novità che fa sorridere Mario Draghi è proprio l'apertura che emerge su un possibile nuovo debito comune: tra le misure, infatti, figura “la mobilitazione di rilevanti strumenti a livello nazionale e Ue” con l'obiettivo di “preservare la competitività globale dell'Europa e per mantenere il level playing field e l'integrità del mercato unico”. La strada, in realtà è ancora lunga ma ora, forse, se ne intravede la fine. Entro l'inizio di novembre la Commissione Ue “si esprimerà molto chiaramente” sul price cap “e andremo avanti spediti anche sulla solidarietà finanziaria”, ha spiegato Emmanuel Macron secondo il quale, su quest'ultimo punto, le opzioni di Bruxelles sono due: uno Sure 2 oppure utilizzare i prestiti ancora oggi disponibili (circa 200 miliardi) nel quadro del RePowerEu, “dando un po' di flessibilità”.
L'impressione è che i falchi del Nord optino per la seconda strada ma, dalla Germania, dopo mesi di muro qualche concessione è arrivata. E, come prevedibile, a catena anche gli altri “frugali” si sono allineati. “Il focus è sui fondi che già abbiamo ma sul nuovo debito vediamo che si può fare”, ha aperto Olaf Scholz lasciando il vertice. Certo a Berlino è stata data più di una rassicurazione: se le riunioni ministeriali delle prossime settimane getteranno un qualche allarme nel governo un nuovo vertice dei leader sarà convocato. Per ora, tuttavia, Ursula von der Leyen e Charles Michel hanno incassato il loro obiettivo: dimostrare che, di fronte alla Russia, l'Ue è unita.