Il Consiglio Europeo riconosce lo status di candidato a Ucraina e Moldavia
È una giornata storica per l'Unione Europea: il Consiglio Europeo ha dato il via libera alla concessione dello status di paese candidato all'Ucraina e alla Moldavia e al riconoscimento della prospettiva europea della Georgia, una decisione presa alla luce del contesto geopolitico e che “rafforza tutti, l'Ucraina, la Moldavia e la Georgia di fronte all'aggressione russa e l'Unione Europea perché mostra ancora una volta al mondo che è unita e forte di fronte alle minacce esterne”, ha rimarcato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. I paesi candidati diventano ora ufficialmente sette, mentre rientrano sotto la voce di potenziali candidati la Bosnia-Erzegovina e in un certo senso la Georgia, su cui “il Consiglio europeo è pronto a concedere lo status di paese candidato una volta che saranno state affrontate le priorità specificate nel parere della Commissione”, si legge nelle conclusioni del vertice. “Naturalmente, tutti i paesi devono fare i compiti prima di passare alla fase successiva del processo di adesione”, ha rimarcato von der Leyen.
Sulla Bosnia, su cui i leader hanno discusso a lungo, “la Commissione potrebbe preparare in tempi brevi una relazione in merito alle varie condizioni, in modo che il Consiglio europeo possa tornare sull'argomento”, ha spiegato Michel. “Questa decisione non riguarda solo l'Ucraina”, ha detto Volodymyr Zelensky in collegamento con l'aula del Consiglio, “questo è il più grande passo verso il rafforzamento dell'Europa che si potrebbe compiere in questo momento, nel nostro tempo, e proprio nel contesto della guerra voluta dalla Russia che sta mettendo alla prova la nostra capacità di preservare la libertà e l'unità. Grazie al vertice di tutti i leader europei. Grazie ai nostri eroi e a tutti coloro che difendono l'indipendenza dell'Ucraina e la libertà dell'Europa con le armi nelle loro mani. Grazie per aver reso possibile la nuova storia dell'Europa, ancora più forte, ancora più libera. Gloria all'Ucraina!”.
Draghi spinge sul gas e chiede vertice Ue a luglio
In un vertice in cui l'energia non era all'ordine del giorno si è fatto strada poco a poco il tema del price cap su pressione dell'Italia. Nella bozza delle conclusioni del Consiglio europeo entra un riferimento indiretto al tetto del gas che il vertice di fine maggio aveva previsto come una delle opzioni temporanee da valutare in caso di situazioni di emergenza. Passa il riferimento “all'uso del gas come arma da parte della Russia (weaponizing)” e l'invito alla Commissione “a perseguire i suoi sforzi per garantire la sicurezza dei rifornimenti a prezzi accessibili”. Molto lavoro c'è ancora da fare; il premier Mario Draghi ha proposto la convocazione di un vertice straordinario sull'energia a fine luglio e incassato il sostegno di alcuni Paesi come Spagna e Grecia e di Emanuel Macron, con cui ha avuto un incontro bilaterale a margine del summit.
Anche il premier olandese Mark Rutte non si è detto “emotivamente o per principio contrario” all'ipotesi di un price cap, ma ritiene che “basandosi su tutte le prove che abbiamo, potrebbe non funzionare bene”. In ogni caso gli esperti stanno studiando lo strumento e rimane un tema “in considerazione”. A Bruxelles non si teme tanto lo stop improvviso delle forniture di gas quanto un suo uso come ricatto nei mesi invernali. E l’ha detto chiaramente l'Alto rappresentante Josep Borrell ricordando che “l'inverno potrebbe essere difficile e dobbiamo essere preparati in Europa per qualsiasi tipo di utilizzo del gas come arma”. Intanto, la Germania ha attivato il secondo livello di allarme legato al piano d'emergenza sul gas, prima del terzo e ultimo, che è quello di “emergenza”: “La situazione è grave, arriverà l'inverno”, ha dichiarato il ministro dell'Economia tedesco, Robert Habeck, rimarcando che “la riduzione delle forniture di gas è un attacco economico contro di noi” da parte di Putin.
Di Maio riunisce i parlamentari di Insieme per il futuro
Insieme per il futuro, la nuova formazione politica di Luigi Di Maio nata dalla traumatica scissione dal Movimento 5 Stelle, riunisce i nuovi gruppi Parlamentari alla Camera. L’obiettivo primario è chiaro: “Rafforziamo la stabilità del Governo”, dice il ministro degli Esteri, quasi a segnare una distanza con il M5S e il suo leader Giuseppe Conte, che invece deve fronteggiare il pressing di chi vuole uscire dall’esecutivo di Mario Draghi. Luigi Di Maio, che invece continua a scommettere sull’adesione all’agenda del presidente del Consiglio, al termine dell’assemblea di Ipf si presenta ai cronisti con i nuovi capigruppo, Iolanda Di Stasio per la Camera e Primo Di Nicola per il Senato, e del coordinatore politico Vincenzo Spadafora. “Oggi costituiamo dei gruppi che rafforzeranno la stabilità del Governo” spiega il leader, assicurando che “non è un partito personale ma un percorso di ascolto dei territori”.
Quindi lancia la sfida ai suoi ex colleghi Cinque stelle: “Ho preso le distanze da un progetto che si sta radicalizzando”, ma “tra qualche mese i cittadini italiani saranno chiamati a votare e decideranno” mentre “questo è un progetto molto attrattivo e nelle prossime ore arriveranno altre persone”. Però “basta con populismi e sovranismi, non è tollerabile l'odio”, quello stesso odio “che continua contro di noi”, cui “noi rispondiamo con il sorriso e guardiamo avanti”. Dove si guarda lo fa capire lo stesso Spadafora: “C'è uno come Beppe Sala con cui ci piacerebbe dialogare”, rivela, escludendo invece alleanze con Matteo Renzi, Carlo Calenda e Giovanni Toti. Intanto, oggi potrebbe essere “la giornata decisiva” per il simbolo Insieme per il futuro: a quanto si apprende da ambienti vicini, Bruno Tabacci, quasi certamente, accetterà di cedere il simbolo di Centro democratico per consentire al gruppo dei dimaiani di costituirsi autonomamente a Palazzo Madama.
Conte smorza le pressioni per l’uscita dal Governo. Dibba pronto al ritorno
Dai pentastellati non arrivano reazioni alle parole di Di Maio. Giuseppe Conte affida a Facebook una riflessione sulla linea politica del Movimento: “In questi giorni è stato sottolineato che non siamo più la prima forza in Parlamento”, ma “essere i primi nel Palazzo non è tutto. Per me l'importante è essere i primi a tendere la mano nel Paese alle famiglie in difficoltà” e “a chi non conta, non ha voce. A chi rimane agli altri invisibile”. Il leader del M5S continua a puntare sul sostegno ai più deboli e si scaglia contro il ministro Renato Brunetta che aveva attaccato salario minimo e reddito di cittadinanza. Ma è all’interno che gioca la partita più delicata. Diverse fonti raccontano dell’insofferenza che serpeggia tra i Cinque Stelle per la permanenza nel governo di Mario Draghi; anche mercoledì, durante l’assemblea in notturna dei gruppi, sono emersi i distinguo, ma l’appoggio all’esecutivo non è in discussione “fino a quando potremo continuare a portare avanti le nostre battaglie”, sono le parole dello stesso Conte ai parlamentari.
Se il premier andrà avanti con una maggioranza diversa tanto meglio, “vorrà dire che avremo più tranquillità di portare avanti le nostre battaglie senza sentire il peso del ricatto di far eventualmente cadere l’emisfero occidentale”, chiosa il leader pentastellato. Un assist arriva dal grande ex Alessandro Di Battista: “Potrei riavvicinarmi al Movimento ma a una condizione, che è l'unica accettabile per i tanti delusi, me per primo, di queste ore: uscissero dal Governo e facessero opposizione. Lo strappo andrebbe fatto subito, ora”, e “mi siederei al tavolo con Conte se uscisse dal governo prima dell'estate”. A stretto giro gli risponde la Ministra M5S per le Politiche giovanili Fabiana Dadone: “Abbiamo una responsabilità di governo dal 2018 che non abbiamo ceduto nonostante i costanti giochi di palazzo, dal Papeete alle bugie sul Mes. Non dimentico che governiamo e gestiamo i soldi avuti dall'Europa grazie alla capacità contrattuale di Giuseppe Conte” e “le sirene degli uomini della provvidenza che ci vogliono fuori dal Governo dovrebbero restare in vacanza”.
Beppe Sala guarda con attenzione a Di Maio e ai centristi
Dopo giorni di indiscrezioni Beppe Sala rompe il silenzio. Il sindaco di Milano, chiuso in casa da giorni causa Covid, ha deciso di parlare dopo che più volte è stato accostato alla nascita del nuovo centro al fianco di quello di Luigi Di Maio: “Ha senso parlare di centro nella politica dei giorni nostri? O è solo funzionale a descrivere uno spazio diverso?”, esordisce retoricamente, poi delinea il perimetro: “I centristi per governare dovrebbero comunque stare con altri, da una parte o dall'altra. Per quanto mi riguarda non potrei stare con la destra. Non potrei stare con i populisti, ma solo con chi ha veramente un animo popolare”.
Sala ribadisce poi ancora una volta di voler restare a palazzo Marino fino a fine mandato, ma tra le righe c'è già traccia di quello che potrebbe essere l'orizzonte: “La politica ora è la mia vita e lo sarà certamente anche in futuro. Per questo parlo con tutti e sono interessato al futuro del mio Paese. Da tempo mi dedico alla questione ambientale e seguiterò ad impegnarmi in questo senso. Con il realismo che orienta la mia azione a Milano”, precisa. In questi ultimi tempi, anche prima della nascita di Insieme per il futuro, ci sono state diverse interlocuzioni con il mondo pentastellato e l’uscita di Luigi Di Maio potrebbe accelerare questo processo: “Io posso solamente dire che non ho piani elaborati con il ministro Di Maio. Credo che tra i giovani politici lui sia uno che è cresciuto, ha fatto il suo percorso e quindi lo guardo con attenzione come guardo con attenzione altri. Però bisogna giudicare le persone non solo dal passato ma anche dal potenziale”.
In Parlamento i centristi si muovono in ordine sparso
Intanto, frenetici sono contatti e movimenti tra i centristi in Parlamento. Dopo l'addio e il passaggio a Ipf di Simona Vietina e Antonio Lombardo, Coraggio Italia non è più un gruppo parlamentare della Camera. L'ufficializzazione data nell'aula di Montecitorio dal presidente Roberto Fico dà il via a una nuova metamorfosi della geografia parlamentare. Tra i 18 deputati rimasti è pronta a consumarsi una nuova scissione: a rompere definitivamente sono Giovanni Toti e Luigi Brugnaro e, secondo chi ha in mano il pallottoliere, 10-11 parlamentari sarebbero pronti a fondersi in una nuova componente del gruppo Misto, federando Italia al centro, drappello guidato da Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello, e Vinciamo Italia, guidato dall'ex capogruppo CI Marco Marin.
Gli altri 7 deputati secondo diversi rumors “alla fine approderanno in Insieme per il futuro”, ma è Emilio Carelli a chiamare l'alt: “Abbiamo incontrato questa mattina Luigi Brugnaro e gli abbiamo ribadito la volontà di restare in Coraggio Italia e di rilanciare il progetto anche sul territorio”. “Contatti e dialogo" con Di Maio “ci sono, ma questo in politica non vuol dire spostare armi e bagagli in un altro gruppo”. Brugnaro, pur lodando il “coraggio” di Di Maio, conferma: “Sono e resto nel centrodestra”. Tra i costruttori della potenziale area Draghi, poi, entrano di diritto anche Carlo Calenda, Matteo Renzi, Emma Bonino, Mara Carfagna. “Il metodo Draghi dovrebbe essere adottato da ogni partito e conservato anche dopo questo Governo: serietà, responsabilità, credibilità in Europa e nel mondo”, dice sibillina la Ministra per il Sud, che non si sbilancia su un possibile futuro al centro ma definisce “molto coraggiosa” la scissione messa in atto da Luigi Di Maio. Bonino, invece, è netta: “Non sono interessata a movimenti al centro di gruppi che si fanno e si disfanno nel giro di una notte”.
Il centrodestra alla prova dei ballottaggi. Musumeci candidato sospeso
Nel centrodestra non è ancora tempo di schiarite, nonostante Matteo Salvini continui a sostenere di essere al lavoro per una coalizione “compatta e più allargata e coerente possibile” in vista delle politiche. “Se ci danno fiducia basta accordini con Pd e M5S”, assicura, piuttosto freddo però nel commentare le parole di Nello Musumeci che ha annunciato un passo a lato nella corsa alla ricandidatura da presidente di Regione in attesa che i partiti trovino l’intesa. “Per la Sicilia decideranno i siciliani. E tanti che conosco si aspettano qualcosa di nuovo. L'importante è che ci sia un centrodestra unito”. La questione della ricandidatura di Musumeci comunque, come avevano chiesto più volte nelle scorse settimane Lega e Forza Italia, sarà affrontata dopo i ballottaggi. Sono ancora 13 infatti i capoluoghi di provincia in cui la partita è aperta, e il centrodestra spera di ripetere il buon risultato del primo turno.
Anche per questo a scendere in campo è direttamente Silvio Berlusconi, con un appello social al voto: “Purtroppo, e nonostante la nostra ferma contrarietà, si voterà in un'unica giornata, una domenica di giugno con temperature da record; una scelta che non aiuta certamente a combattere l'elevato tasso di astensionismo, vera piaga del nostro sistema democratico. Nonostante questa difficoltà vi voglio rivolgere un appello dal profondo del cuore: non trascurate questa importante occasione democratica con la quale avrete la possibilità di determinare il futuro della vostra città”. Futuro che ovviamente il Cav si augura sorrida alla coalizione; perciò invita i cittadini a scegliere i candidati del centrodestra, “capaci, preparati, esperti”, e a non appoggiare il campo progressista: “Votare lo schieramento avversario significherebbe consegnare le vostre città a sindaci con le mani legate da maggioranze divise su tutto al proprio interno e tenute insieme solo dalla sete e dalla voglia di potere”.