Anche al quarto scrutinio nulla di fatto: 261 bianche e 166 voti a Mattarella
Ancora una fumata nera nel quarto scrutinio per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica: nessun candidato ha raggiunto le 505 preferenze necessarie. Il più votato è stato il Capo dello Stato uscente Sergio Mattarella: 16 voti nella prima votazione di lunedì, 39 nella seconda di martedì, 125 nella terza di mercoledì, fino ad arrivare ai 166 di giovedì, un’incessante progressione dei consensi nel segreto dell'urna a insalatiera di Montecitorio per il capo dello Stato uscente, risultato il più votato sia al terzo che al quarto scrutinio. Con la differenza, però, che ora il quorum per l'elezione è sceso a 505 voti e che ieri l'indicazione di voto per i grandi elettori di centrodestra era di rispondere alla chiama senza prendere la scheda. L'aumento dei voti per il presidente della Repubblica (di cui è nota la contrarietà al bis di mandato) più che segnare il desiderio di molti parlamentari di mantenere la stabilità impersonata dalla figura del giurista siciliano indicano il malessere dei partiti per via delle palesi difficoltà a trovare un accordo sul nome del successore. A seguire il secondo più votato è stato Nino Di Matteo (56), e a seguire Luigi Manconi (8), Marta Cartabia (6),Mario Draghi (5), Giuliano Amato (4), Pierferdinando Casini (3), Elisabetta Belloni (2). Le schede bianche sono state 261 e gli astenuti 441.
Oggi il quinto scrutinio per il nuovo Presidente della Repubblica
Dopo il nulla di fatto anche nel quarto scrutinio, oggi a partire dalle 11.00 riprenderanno le votazioni che porteranno, quando sarà, all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La peculiarità della procedura per l’elezione del nuovo Capo dello Stato non risiede tanto nelle modalità di voto quanto nel corpus elettorale: ai 315 senatori cui si aggiungono i 6 senatori a vita e ai 630 deputati vanno sommati 58 delegati regionali per un totale di 1.009 grandi elettori. Da ieri però la Costituzione prevede che, per essere eletto, il nuovo presidente della Repubblica debba raggiungere non più i dei due terzi dei voti dei componenti dell’Assemblea (673 voti), ma basterà la maggioranza assoluta dei votanti (505 voti), un fattore da tenere in grande considerazione per le implicazioni politiche che un’elezione di maggioranza potrebbe comportare per la tenuta del Governo. (vedi gli speciali di Nomos: Regole e numeri per l'elezione del Presidente della Repubblica).
Per quanto riguarda i lavori parlamentari, anche oggi le Assemblee di Camera e Senato e le rispettive Commissioni non si riuniranno per le loro attività ordinarie per consentire lo svolgimento dell’elezione del nuovo Capo dello Stato.
Questa mattina il centrodestra potrebbe votare la Casellati. No del Pd
Al quinto scrutinio il centrodestra voterà uno dei nomi della rosa già noti, Letizia Moratti, Carlo Nordio o Marcello Pera, ma tra le opzioni c’è anche il nome del Presidente del Senato Elisabetta Casellati, considerata anzi la soluzione più probabile. Lo ha stabilito il vertice del centrodestra che ha affidato a Matteo Salvini il mandato di verificare durante la notte quale soluzione avrà più chance di successo. Lo strappo potrebbe provocare la decisione del centrosinistra di protestare uscendo dall'aula al momento del voto. La decisione finale su chi votare sarà presa nell'ennesimo vertice dei leader, questa mattina alle 9.00, poche ore prima del voto dei grandi elettori. Al termine del vertice Matteo Salvini ha spiegato: “Domani il centrodestra voterà, mi hanno dato mandato tutti a esplorare quale profilo può ottenere più consensi. Mi aspetto sviluppi risolutori e definitivi. Spero che Pd e M5S non votino più scheda bianca e si assumano le loro responsabilità”. Detto questo, a quanto si apprende, la riunione è stata a tratti burrascosa. Ci sarebbe stato un confronto molto aspro tra Antonio Tajani e Matteo Salvini, con urla che si potevano ascoltare anche nei corridoi di Montecitorio: al centro della disputa il nome da indicare; addirittura pare che lo stesso Salvini sia uscito dalla stanza per far sbollire gli animi.
Prima del vertice il nome più indicato sembrava fosse quello di Giampiero Massolo, rimasto in corsa durante la riunione, ma che poi sarebbe stato bocciato dagli azzurri e dai centristi. In giornata Salvini aveva rilanciato anche quello di Franco Frattini, ipotesi che però ora sembra essere ritornata nel cassetto; quindi, l'idea di proporre a Elisabetta Casellati con l'obiettivo ufficiale di contarsi e cercare di verificare la sua capacità di attrarre voti. Non a caso, Vittorio Sgarbi, presente al vertice, avverte che i Cinque Stelle favorevoli a Casellati potrebbero essere decisivi: “Nella riunione abbiamo valutato una specie di ballottaggio tra Casellati e Nordio, credo non ci siano altri nomi. Nordio era nella terna ma si sapeva che la terna poteva coprire la Casellati perché figura istituzionale”. Per Sgarbi “La mia idea è che se sono furbi, quelli dei 5 Stelle, che hanno votato prima Maddalena e oggi Di Matteo, non volendo Draghi, potrebbero votare Casellati e potrebbero determinare, loro, l'elezione”.
La rottura provoca subito la dura reazione del Pd: il vice segretario dem. Peppe Provenzano ha postato a caldo un messaggio del segretario Pd di qualche giorno fa proprio contro l'ipotesi Casellati, definita “un'operazione mai vista nella storia del Quirinale. Assurda e incomprensibile”. Il rischio che il Presidente del Senato possa raccogliere i voti dei pentastellati viene negato dallo stesso Pd; sulla questione e per decidere come comportarsi se venisse confermata la Casellati si vedranno questa mattina alle 8.30 Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza.
Tra veti incrociati, c’è un tentativo su Draghi, ma la strada sembra in salita
Nelle ore in cui si bruciano nomini a raffica è stato avviato un estremo tentativo su Mario Draghi. In pochi son pronti a scommetterci, ma chi dall'inizio tesse la tela per il passaggio del premier da Palazzo Chigi al Quirinale pensa che ci sia ancora spazio per tentare, visto l’avvitamento di queste ultime ore. Alternative credibili ci sono ed emergono, seppur frenate da veti incrociati: tali vengono considerati i nomi di Pier Ferdinando Casini ma anche di Elisabetta Belloni, e c'è chi invita a non escludere fino all'ultimo Giuliano Amato. Ma se la situazione dovesse sfuggire di mano, prima che lo stallo conclamato porti le delegazioni dei partiti a chiedere a Sergio Mattarella di rimanere, il nome di Mario Draghi potrebbe apparire non solo la scelta più credibile davanti ai cittadini ma anche la garanzia di proseguire la legislatura. In giornata il Premier ha sentito Silvio Berlusconi, e girano voci anche di una telefonata con Matteo Salvini. Raccontano si sia trattato di un colloquio non politico, una telefonata del premier per fare al Cavaliere i suoi auguri di pronta guarigione. In parallelo i pontieri di Fi cercano di ammorbidire la posizione del partito, ferma sulla richiesta a Draghi di restare a Palazzo Chigi. Chi sostiene Draghi parla di un “clima molto migliorato” tra il premier e Fi. E anche in casa Lega c'è un fronte interno, definito “della saggezza”, che prova a smussare la linea di Matteo Salvini e convincerlo a siglare un accordo sul Colle e poi sul Governo; a suggellarlo, suggerisce qualcuno, potrebbe essere Draghi, nominando un vicepremier prima di lasciare Chigi.
Di sicuro tra i leghisti riemerge un asse del Nord, da Giancarlo Giorgetti ai governatori, che prova a stoppare ipotesi estemporanee. I governatori hanno frenato, nella notte tra mercoledì e giovedì e a un passo dall'accordo, il nome di Pier Ferdinando Casini, che piacerebbe al Pd e fino all'ultimo viene tenuto in campo da un fronte trasversale che va da Matteo Renzi a Dario Franceschini. I leghisti del Nord dicono anche no a Sabino Cassese, il professore su cui Salvini prova ad aprire una trattativa: “È contro l'autonomia”, dice in transatlantico Luca Zaia; ma del resto Cassese, che potrebbe essere votato da renziani e Dem, non piace neanche a Giuseppe Conte. Col leader M5S, con cui si sarebbe visto nel pomeriggio, Salvini continua a tenere un filo che spaventa il Pd: quando a sera esce il nome di Franco Frattini e poi di Elisabetta Casellati in tanti temono la forzatura. Consapevoli della faglia che si è aperta nel Movimento, come avvertimento a Conte e messaggio pro-Draghi (che avrebbe il sostegno di Luigi Di Maio ma anche secondo qualcuno dell'area che fa capo a Roberto Fico) vengono citati gli oltre 160 voti comparsi nel quarto scrutinio per Sergio Mattarella. Se accordo dovrà essere, non può che essere su Draghi o profili come Casini e Amato, dicono dal Pd e dal Nazareno stigmatizzano l'attivismo disordinato di Salvini: “Le trattative serie non si fanno in pubblico”.
Nel M5S è guerra tra Conte e Di Maio sul Colle
Il Movimento 5 Stelle è in difficoltà e la tensione tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio è ormai davanti a tutti. I 166 voti confluiti ieri per Sergio Mattarella sono un messaggio per tutti i leader, per quelli del centrosinistra ma soprattutto per quelli del Movimento, un segnale che preoccupa Giuseppe Conte perché ancora una volta il sospetto è che dietro quei voti ribelli ci siano una buona parte di voti dei dimaiani. Il leader M5S è corso ai ripari a metà mattina per mettere le mani avanti: fonti accreditate del Movimento precisano infatti che “dai vertici 5S è stata data l'indicazione di voto per scheda bianca ma lasciando anche la possibilità di esprimersi in libertà di coscienza”. Un gruppo di parlamentari in Transatlantico smentiscono: né nell'assemblea convocata prima del voto, né con il solito sms che viene inviato prima della votazione era stata data questa indicazione ma solo quella di votare scheda bianca. Il segnale tuttavia è importante, anche perché qualcuno si aspettava che l'indicazione potesse riferirsi ai voti che potevano uscire sul nome di Liliana Segre, operazione stoppata sul nascere. Tolti gli ex M5S che ieri hanno spostato i loro voti da Paolo Maddalena a Nino Di Matteo, se in quei 166 voti tutti del centrosinistra ci fossero anche una ventina di voti del Pd e una decina di Leu, la gran parte di queste preferenze sarebbe arrivata dal Movimento; in pratica circa la metà dei 230 dei grandi elettori 5 Stelle non ha votato scheda bianca e tra questi ci sono sicuramente quanti, una ventina, da tempo spingono per il Mattarella bis: il loro numero è certamente aumentato, ma il restante è un voto trasversale e in alcuni casi di protesta.
In ballo c’è sempre poi l’opzione Mario Draghi. Il tema è tornato sullo sfondo della querelle scoppiata sulle telefonate tra Beppe Grillo e Conte. Raccontano gli staff di Grillo e quello di Di Maio che ieri ci sarebbe stata una lunga telefonata tra il garante M5S e il Ministro ma Grillo avrebbe chiarito di non aver ricevuto alcuna telefonata o pressioni da parte di Di Maio per Draghi al Colle. Tra Conte e Di Maio il livello della tensione sembra insomma alle stelle; il Presidente ieri è sceso nel Transatlantico, luogo da giorni presidiato da Di Maio e poi è scomparso: ha ricominciato a tessere la tela degli incontri per la partita per il Colle, in una “girandola di incontri ad alti livelli e su tutti i fronti politici” e “senza sbandierarla” fa sapere il suo entourage. Non si precisa se tra questi incontri ce ne sia stato anche uno con Salvini dove potrebbe essere emerso il nome di Franco Frattini per il Colle, il che solleva un nuovo polverone: la dimaiana Laura Castelli boccia l'ipotesi che rischia di “spaccare la maggioranza” e far saltare il Governo.