Guerini al Copasir: la lista delle armi da inviare a Kiev sarà secretato

Via libera alla seconda tranche di armi italiane all'Ucraina. Il decreto, firmato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini insieme al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dell’Economia Daniele Franco, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale anche se la lista degli armamenti rimane secretata. Guerini ha riferito in proposito al Copasir in un'audizione durata circa due ore: si tratta comunque, ha spiegato, di materiale bellico della stessa natura di quello già inviato col primo decreto. Secondo quanto trapelato in passato ci sarebbero missili anti-aereo Stinger, missili anti-carro Milan, mortai da 120 mm, mitragliatrici pesanti e leggere, giubbotti antiproiettile, elmetti, razioni k, proiettili e munizionamenti in grande quantità. Due mesi di guerra hanno messo a dura prova le dotazioni dell’Ucraina: è dunque necessario un ricambio. Un possibile salto di qualità del materiale da trasferire, come ad esempio mezzi pesanti come i semoventi d'artiglieria M109, i cingolati M113 e i più leggeri blindati Lince, verrà valutato successivamente e sarà eventualmente oggetto di un ulteriore decreto interministeriale. C’è una ricognizione in atto da parte dello Stato Maggiore della Difesa, ma ci sono anche valutazioni politiche in capo a Mario Draghi dopo le dichiarazioni del leader M5S Giuseppe Conte sul coinvolgimento del Parlamento e di Matteo Salvini

Comunque sia, il quadro della situazione con il dettaglio della lista degli equipaggiamenti, è stato fatto da Lorenzi Guerini al Copasir che, ha detto il presidente Adolfo Urso, “ha convenuto con il Governo nella apposizione del vincolo di segretezza: c’è un'esigenza di sicurezza nazionale”. I materiali, prevede il decreto, sono ceduti “a titolo non oneroso per la parte ricevente” e “lo Stato Maggiore della Difesa è autorizzato ad adottare le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna”. Voli di consegna sono partiti nelle ultime settimane da Pisa e Pratica di mare diretti in Polonia per il successivo trasporto nelle aree di guerra. Intanto ieri il Cremlino ha lanciato il suo avvertimento: l'invio di armi in Ucraina costituisce “una minaccia per la sicurezza dell'Europa”. Non si è però fatta attendere la risposta del presidente Usa Joe Biden: “Finchè continueranno gli assalti e le atrocità, continueremo ad aiutare l'Ucraina a difendersi dall'aggressione russa” inviando “altre armi e nuovi aiuti”. Secondo il think tank tedesco Kiel Institute for the World Economy l'Italia si colloca al quarto posto per aiuti militari all'Ucraina con 150 milioni di euro impegnati, dietro Usa (4,3 miliardi), Estonia (200 milioni) e Regno Unito (204 milioni). 

La Russia mette in crisi l'Ue sul gas: l’Ungheria paga in rubli

Il presidente russo Vladimir Putin mette in crisi l'Ue sul pagamento in rubli del gas di Mosca, facendo emergere posizioni e interessi contrastanti tra gli Stati dell'Unione. E anche se la Commissione Europea ha avvertito sulla possibile violazione delle sanzioni imposte per l'invasione dell'Ucraina, l'Ungheria si è già chiamata fuori dicendosi pronta a pagare in rubli per garantirsi gli approvvigionamenti. L'esecutivo Ue ha sollecitato in particolare le società europee a non prestarsi a quanto chiesto dal decreto di Putin di fine marzo sui pagamenti del gas, aprendo in particolare un secondo conto bancario in rubli dove far transitare il pagamento originario versato in euro (o dollari). Diverso invece il discorso per i conti correnti in euro presso Gazprom o Gazprombank, che resteranno operativi, come del resto sono consentiti gli acquisti di gas dalla Russia. Il chiarimento dell'esecutivo Ue ha lasciato però ancora una grande confusione, soprattutto dopo che Mosca ha chiuso mercoledì i rubinetti a Polonia Bulgaria per il mancato pagamento in rubli. 

Il timore è che la lettura degli uffici di Bruxelles su cosa violi o meno le sanzioni si trasformi in un embargo di fatto, senza che ci sia già una volontà politica unitaria. A gettare benzina sul fuoco è la posizione di Budapest: “L'Ungheria non ha dubbi sul proprio obbligo di pagare il gas russo nel modo che garantisca la sua regolare fornitura” ha dichiarato il ministro degli Esteri ungherese Pe'ter Szijjarto, confermando che intende farlo in rubli; la Commissione ha ribadito invece che, in linea con i contratti esistenti, i pagamenti dovranno continuare ad avvenire nella valuta prevista nei contratti originari, nel 97% dei casi euro o dollari. Sulla questione il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha chiarito che l’Italia sulla questione del Gas è in preallerta; il Ministro lunedì sarà impegnato in un Consiglio Energia straordinario, convocato dopo lo stop del gas a Varsavia e Sofia e la confusione sui pagamenti o meno in rubli, mentre resta atteso a giorni il sesto pacchetto di sanzioni. 

Nella maggioranza M5S e Lega aprono il fronte pacifista

Lo spirito di Helsinki evocato da Sergio Mattarella ricompatta i partiti mentre si delinea sempre più netto un fronte pacifista che schiera su una linea più simile Giuseppe Conte e Matteo Salvini, con il Pd che rilancia sul ruolo dell'Europa. Da Genova il segretario del Pd Enrico Letta è chiaro: “Lo voglio dire con grande forza: non è che c’è qualcuno per la guerra e qualcuno che è per la pace. Il Pd spinge affinché il Governo italiano, l'Unione Europea e tutti i Paesi lavorino per bloccare l'invasione russa dell'Ucraina”. Per il leader dem è attorno al ruolo della Nazioni Unite che deve partire il filo per un negoziato di pace: “Noi ci crediamo e vogliamo che l'Europa intera spinga in questa direzione” dice Letta. “Più armiamo una parte più la pace si allontana” mette in guardia Matteo Salvini che conferma di aver chiesto agli altri leader di incontrarsi “per parlare di pace”. Il leader del Movimento 5 Stelle, che ha intimato al Governo di attenersi strettamente a una logica “difensiva” nell'invio di nuovi armamenti all'Ucraina, però dice di non aver ancora “sentito nessuno”. 

Conte è lavoro sul caso Petrocelli, possibile una sua espulsione dal M5S 

Il Presidente del M5S Giuseppe Conte sta cercando di trovare una soluzione alla questione del presidente pentastellato della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli inviso ormai da tutto l'arco parlamentare per la sua posizione sulla Russia e sulla guerra. A palazzo Madama circola la bozza di una lettera indirizzata alla Presidente del Senato: è stata firmata da tutti i componenti della Commissione tranne che dal pentastellato Alberto Airola. Nella lettera i senatori esprimono “profonda preoccupazione” per l’operatività della Commissione e per la “credibilità e l’onorabilità dell'Istituzione che rappresentiamo”. È un passo in avanti, anche se al momento non sufficiente a trovare una soluzione per la sostituzione del Presidente. 

La capogruppo 5 Stelle al Senato Mariolina Castellone ha chiarito di non avere intenzione di trasferirlo ad altra Commissione, come le avevano chiesto di fare gli altri partiti: “Non è nostra intenzione fare forzature che potrebbero determinare un precedente pericoloso”. Castellone invece andrà avanti con il progetto di espulsione di Petrocelli dal gruppo M5S: potrà farlo solo lei e solo nei prossimi giorni, quando sarà operativo il nuovo regolamento del suo gruppo, modificato proprio per evitare possibili ricorsi. È questa la strada scelta dal M5S, visto che anche un provvedimento di espulsione dal Movimento potrebbe essere vanificato da una sentenza che dovesse colpire la governance statutaria dei 5 Stelle, azzerando anche i poteri dei probiviri chiamati a irrogare la sanzione di espulsione. Ma non sarà l'espulsione a risolvere il nodo della Presidenza della Commissione, considerato che il regolamento di palazzo Madama vieta la decadenza dall'incarico di un senatore che sia stato allontanato dal suo gruppo di provenienza. La strada delle dimissioni in blocco dei componenti resta quindi, secondo fonti parlamentari, percorribile: per arrivarci serve tuttavia un accordo politico per la rielezione del nuovo presidente, intesa che, secondo rumors, sarebbe stata trovata sul nome della pentastellata che siede in Commissione, Simona Nocerino

Salvini annuncia che la Lega tornerà a riunirsi a Pontida

Sono passati oltre trent'anni da quando i primi consiglieri della Lega lombarda, al seguito di Umberto Bossi, giurarono fedeltà “alla causa dell'autonomia” sul “sacro suolo” del pratone nel Bergamasco. Da allora il tradizionale appuntamento di Pontida ha cambiato pelle ma non appeal per il popolo leghista che, sui social, già accoglie con soddisfazione l'annuncio del leader Matteo Salvini: dopo due anni di stop legato al Covid, il grande ritorno alla kermesse delle origini. L’appuntamento si terrà a metà settembre, probabilmente il 17 e 18, e viene comunicato il giorno prima della conferenza programmatica milanese di Giorgia Meloni, in cui la leader di Fratelli d'Italia, proprio dalla città di Salvini, Milano, lancerà la sua corsa a leader del centrodestra, spiegando come FdI sia un partito maturo e pronto a guidare l'Italia. Ed è in questo clima di forte tensione interna nella coalizione che arriva l'annuncio di Pontida 2022; il leader leghista ne parla in anteprima durante un incontro con i consiglieri regionali del partito convocato per preparare la campagna per le amministrative e il referendum sulla giustizia del 12 giugno: sarà un ritorno importante e significativo visti i due anni di pausa forzata a causa delle restrizioni Covid, dice Salvini. E i militanti non aspettavano altro. La due giorni sul pratone aprirà di fatto la lunga corsa per le politiche del 2023

In Sicilia il centrodestra va in frantumi. Salta l’accordo su Palermo

Si spacca il centrodestra a Palermo, con conseguenze quasi scontate anche per le regionali d'autunno in Sicilia. Dopo giorni di colloqui, tra tensioni e tira e molla, FdI rompe gli indugi: Carolina Varchi si ritira, pochi minuti dopo che il partito della Meloni annuncia il sostegno a Roberto Lagalla. La mossa arriva a metà mattinata dopo una notte di trattative, a un passo dall'intesa sfumata di fronte al muro contro muro. Lega e Fi non hanno accettato l’offerta di FdI: sostegno unitario a Lagalla e discussione sul Musumeci-bis. Dagli alleati arriva l’ok al candidato ma no incondizionato a Musumeci. E così nella quinta città d'Italia, al voto il 12 giugno, il centrodestra si presenterà con due candidati: Roberto Lagalla, sostenuto dall'inedito asse FdI-Iv di Renzi e Udc, e Francesco Cascio, che tira dritto nonostante le divisioni con l'appoggio di Fi, Lega-Prima con l'Italia, Noi con l'Italia, Coraggio Italia e gli autonomisti del Mna. Nonostante le richieste i leader del centrodestra non si sono incontrati per risolvere la questione e sembra ormai chiaro che difficilmente lo faranno. Ora è il momento delle accuse reciproche ma resta il fatto che lo scontro tra Musumeci e Miccichè per la corsa alla regione Sicilia è destinato a far salire la tensione e con esso la possibilità che Matteo Salvini e Giorgia Meloni si allontanino ulteriormente.



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