Scoppia il caso Salvini per le possibili influenze russe sulle dimissioni di Draghi

Le possibili influenze russe sulla crisi del governo Draghi gettano nella bufera Matteo Salvini. A riaccendere le polemiche sui legami tra la Lega e Mosca è un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa secondo cui l'ambasciata russa a Roma avrebbe chiesto a emissari del leader leghista se i Ministri del Carroccio fossero “intenzionati a rassegnare le dimissioni dal governo Draghi”, operazione che avrebbe fatto trasparire “il possibile interesse russo a destabilizzare gli equilibri del Governo italiano”. Le rivelazioni sono definite “inquietanti” dal leader del Pd Enrico Letta, che ha chiesto a Salvini un chiarimento in Parlamento; “Fesserie”, ribatte invece il segretario del Carroccio, per il quale “è gravissimo che qualcuno diffonda fake news”. Secondo quanto riportato dal quotidiano, la richiesta sulle intenzioni dei ministri leghisti sarebbe stata formulata a maggio da Oleg Kostyukov, importante funzionario dell'ambasciata russa, ad Antonio Capuano, ex deputato campano di FI. Il dialogo viene ricostruito dal giornalista Jacopo Iacoboni, citando documenti di intelligence, un dettaglio non da poco, che ha costretto il sottosegretario alla sicurezza Franco Gabrielli a smentire, con una nota ufficiale, l'attribuzione della notizia ai servizi italiani. 

L'Ambasciata russa in Italia ha affermato di non aver “niente da aggiungere a quello che è già stato detto a giugno” quando scoppiò il caso dei biglietti aerei pagati da Mosca a Salvini per il suo viaggio in Russia, poi cancellato; in quell'occasione l'Ambasciata confermò di aver assistito il leader leghista nell'acquisto dei voli, precisando che la cifra, poi, fu rimborsata dall'ex ministro dell'Interno. “Ho lavorato per la pace, per fermare la guerra” in Ucraina, ha ribadito Matteo Salvini, andando al contrattacco: “Il governo Draghi è caduto per la contrarietà dei 5 Stelle al termovalorizzatore a Roma”, mentre sinistra e giornalisti “cercano russi che non ci sono”, parole che non sono di certo bastate ai dem, che con Italia Viva e Insieme per il futuro hanno chiesto alla Camera un’informativa urgente e l'intervento del Copasir sui contatti Lega-Russia in relazione alla caduta del governo Draghi. 

“Chiedo io spiegazioni a Salvini, su che genere di rapporti ha con la Russia”, ha incalzato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, secondo cui la vicenda “fa il paio all'endorsement dell'ambasciatore Razov alla risoluzione del partito di Conte contro le armi in Ucraina”. Le accuse sono respinte dal leader M5S: “Non so che corbellerie possano dire altri ma il sottoscritto non è mai andato in nessuna ambasciata russa e non ha avuto alcun contatto con esponenti di governo russo”, ha commentato l'ex premier. Per il leader di Azione Carlo Calenda “è chiarissimo già da tempo che Salvini è filo-Putin, e non è un caso che il governo Draghi sia stato fatto cadere da tre forze filo-Putin”. Dal centrodestra Antonio Tajani ha parlato di “campagna denigratoria” da parte di un centrosinistra “in difficoltà” in vista del voto del 25 settembre: “Ribadiamo che saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell'assoluto sostegno all'eroica battaglia del popolo ucraino”, ha assicurato Giorgia Meloni alla direzione nazionale di FdI. 

Letta lavora sulle alleanze. Calenda non ha ancora sciolto la riserva

Enrico Letta lavora a mettere a punto il quadro delle alleanze per le elezioni del prossimo 25 settembre. Il segretario del Pd cerca di comporre un puzzle complicato, consapevole che è faticoso tenere insieme sensibilità tanto diverse, anche solo per una “alleanza elettorale”, e che pure in casa Pd ci sono diverse pressioni per una connotazione più “di sinistra” del partito. Non a caso Letta ha voluto chiarire che in Italia “la sinistra è il Pd”, proprio nelle ore in cui in Parlamento i democratici votavano no al rinnovo al sostegno alla guardia costiera libica, una scelta in linea con la storia personale del leader Pd, che gestì l'operazione Mare nostrum da Premier, ma anche una mossa in sintonia con le battaglie sui diritti che il Pd sta portando avanti, dallo Ius scholae al Ddl Zan. Enrico Letta sa che deve gestire con grande attenzione la possibile alleanza con Carlo Calenda; è ormai quasi quotidiano lo scambio di stoccate tra il leader di Azione e Andrea Orlando, che ieri ha chiesto che “il Pd faccia alleanze che non siano in contraddizione con quello che vuol fare” e quello che deve fare il Pd, ha aggiunto, è essere “il partito del lavoro, una forza che combatte le diseguaglianze”. Anche il capodelegazione Pd al Parlamento europeo Brando Benifei chiede “Il Pd si allei con chi condivide queste posizioni, non con chi insegue la destra”. Il segretario ha ben chiaro che la questione sociale sarà uno dei temi centrali della campagna elettorale e per questo ha sposato la battaglia del salario minimo.

Letta non vuole fare regali alla destra e, come ha detto in Direzione, le elezioni si giocheranno su “30 collegi al Senato e 60 alla Camera”, collegi uninominali, dove vince solo chi arriva primo. Per questo il leader democratico non intende cambiare idea di fronte ai mugugni di una parte del partito rispetto all'ipotesi di un'alleanza con Calenda e, magari, persino con Matteo Renzi. Quel “non ci sono veti” ribadito per l'ennesima volta a tanti ha fatto storcere il naso, ma il leader Pd non vedrebbe male una lista che mettesse insieme Calenda e Renzi. E, ovviamente, non c'è nessun veto nei confronti degli esponenti di FI in arrivo in Azione, a cominciare da Mariastella Gelmini. Ma, appunto, al puzzle mancano ancora diversi tasselli, a cominciare da quello centrista: Carlo Calenda, sta aspettando i risultati di un importante sondaggio per capire quale strada sia più conveniente, se l'alleanza col Pd per dare battaglia su un certo numero di collegi uninominali o la corsa solitaria per provare a essere più attrattivo per l'elettorato moderato deluso da FI. Una valutazione richiederà ancora qualche giorno e comunque dovrà tenere in conto anche la volontà degli alleati di +Europa. In costruzione anche la lista che dovrebbe mettere insieme Luigi Di Maio con l'aiuto magari di qualche sindaco. Più solido sembra il “fronte sinistro” dell'alleanza: ieri sera la Direzione di Articolo 1 ha ribadito la scelta di entrare nella lista Pd-democratici e progressisti e ormai sembrerebbe chiuso anche l'accordo con Sinistra italiana e Verdi.

Conte: imminente la decisione sulle deroghe. Il M5S correrà da solo

La decisione arriverà “nelle prossime ore”, comunque “entro questa settimana". Giuseppe Conte è quasi pronto a sciogliere il nodo sul limite dei due mandati. “In ogni caso la valorizzazione delle competenze acquisite e delle esperienze maturate è nel Dna del nuovo corso”, assicura il leader M5S. Ma fonti parlamentari all’interno del Movimento continuano a suggerire che questa valorizzazione “non significa possibilità di ricandidarsi per chi ha già due mandati, ma un coinvolgimento degli ex eletti in qualche altro modo”. Quindi, “non ci saranno deroghe”, è la linea più diffusa tra i Cinque Stelle; anche Conte, dunque, andrebbe verso il no al terzo mandato, per il quale è certamente schierato il garante Beppe Grillo. La sua conferma impedirebbe la candidatura di molti big M5S tra cui il presidente della Camera Roberto FicoPaola TavernaAlfonso Bonafede e Vito Crimi; per loro si aprirebbe la strada di un ruolo nella nascente Scuola di formazione del Movimento o di un incarico al vertice del partito. Certo è che l’avvocato del popolo vuole chiudere la partita dei mandati per gettarsi nella campagna elettorale e tornare a parlare di programmi e proposte

Sulle alleanze, dopo la fine dell’alleanza con il Pd, la linea sarebbe quella di presentarsi da soli, una decisione, che se confermata, darà vita ad una competizione a tre. “Ma quale voto inutile. Vogliono creare questa tenaglia intorno a noi, ed è ciò che gli altri temono di più. Il voto a questo punto è a tre, la sfida non è più a due. Perciò non fatevi ingannare, non vi fate prendere per i fondelli con questa storia del voto utile. È una mistificazione. Un inganno” ribadisce Conte a più riprese. “Oggi non pare possibile realizzare alcun tipo di programma con personalità litigiose che non riescono a mettersi d'accordo su nulla. Da Calenda a Brunetta, da Renzi a Di Maio. Più che la larghezza del campo è importante la forza e la coerenza del programma. E se, causa limite dei due mandati, molti big non ci saranno più, altri potrebbero arrivare o tornare”. Come il giornalista Michele Santoro: “Parleremo sicuramente anche con lui, ma voglio evitare operazioni a tavolino. Siamo aperti a chi vuole condividere il nostro progetto” e i “nostri principi”, annuncia Conte. 

Iniziano a girare i primi nomi, in pochi dalla società civile

È ancora presto per parlare di candidati, ma quel che sembra certo è che al momento molti big della politica italiana hanno annunciato l’intenzione di non ricandidarsi e che, almeno per ora, circolino pochissimi nomi provenienti dalla società civile, come avveniva nelle precedenti legislature. Un dato dettato dal momento ma che sicuramente sarà influenzato dal taglio del numero dei parlamentariForza Italia, che nelle prime legislature della sua storia ha portato in Parlamento professori (Lucio Colletti, Antonio Martino, Antonio Marzano, Marcello Pera ecc.) e atleti olimpici (Alberto Cova, Manuela Di Centa, Marco Marin, ecc.) ha annunciato la candidatura di Valentina Vezzali, peraltro già deputata dal 2013 al 2018 con la Lista Monti e sottosegretaria alla Sport nel Governo Draghi. La novità vera tra gli azzurri è la candidatura di Antonio Tajani, finora sempre a Bruxelles, mentre ci sarà il grande ritorno di Silvio Berlusconi

Nel Partito Democratico, che presenterà un listone con dentro anche Articolo 1 e i cattolici di Demos, si registrano gli addii di Luigi Zanda e Pierluigi Bersani nonché di Paolo Siani. La principale novità già annunciata è quella del Governatore del Lazio Nicola Zingaretti, mentre c’è la disponibilità di Annamaria Furlan, ex numero uno della Cisl, e in quota Articolo 1 della ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, dell'economista Antonio Nocita, che sta lavorando con Letta al programma dei Dem, e l'ex Ct del Volley Mauro Berruto. Diversi sindaci dovrebbero schierarsi con la nascente lista cui lavora Luigi Di Maio, da Federico Pizzarotti al vulcanico Alessio Pascucci ex sindaco di Cerveteri, cofondatore della rete civica Italia in Comune. 

Fratelli d'Italia è l'unico partito che nonostante il taglio dei parlamentari aumenterà il numero dei propri eletti. Oltre alla conferma degli uscenti si ragiona su nomi della società civile, ma al momento bocche cucite almeno fino a quando non si capirà quali sono i collegi sicuri del centrodestra destinati al partito di Giorgia Meloni. Una new entry potrebbe essere l'ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris che ha ieri proposto un accordo col M5S. Giuseppe Conte ha il problema inverso, cioè troppi uscenti per i posti sicuri in lista, e dovrà valutare la fattibilità di una corsa con De Magistris ma su tutto pende il rebus del terzo mandato. Nel M5S ci potrebbe essere il ritorno di Alessandro Di Battista e la candidatura di Virginia Raggi. Da registrare infine il corteggiamento di diversi partiti a Aboubakar Soumahoro, sindacalista italo ivoriano dei braccianti, sondato da partiti come i Verdi di Bonelli e M5S.



Seguici sui Social


2

Nomos Centro Studi Parlamentari è una delle principali realtà italiane nel settore delle Relazioni IstituzionaliPublic Affairs, Lobbying e Monitoraggio Legislativo e Parlamentare 

Vuoi ricevere tutti i nostri aggiornamenti in tempo reale? Seguici sui nostri canali social