Draghi è chiaro: sì all’obbligo vaccinale, terza dose ed estensione del green pass 

Estensione del green pass, terza dose, obbligo vaccinale quando verrà dichiarato da Ema e Aifa: è la strada tracciata dal premier Mario Draghi nella prima conferenza stampa dopo la pausa estiva che non lascia spazio a dubbi. L'obiettivo resta quello di mettere in campo tutte le condizioni per rendere possibile la ripresa e le fibrillazioni interne alla maggioranza non possono (e non devono) condizionarne il raggiungimento. L'ultimo scossone è arrivato mercoledì in Commissione Affari sociali alla Camera, dove la Lega ha votato insieme a FdI e agli ex M5S per la soppressione del certificato lasciapassare.  Immediata la reazione del premier: a Matteo Salvini che chiede una cabina di regia politica su ripartenza, riforme e migranti, il premier risponde chiaro che “La cabina di regia ci sarà. Dobbiamo decidere con il ministro Speranza l'estensione del green pass. A chi e quanto velocemente” scandisce “non se”. Quanto al chiarimento politico chiesto a gran voce da Enrico Letta, poi, lascia intendere Draghi, non è certo a palazzo Chigi che tocca. Spetta “alle forze politiche”, dice, definendo “auspicabile” una maggiore “convergenza e una stagione di disciplina”, ma allontanando la tempesta: “Il governo va molto d'accordo e il Parlamento ha fatto un lavoro straordinario. Non vedo nessun disastro all'orizzonte e non mi preoccupo per il mio futuro”. 

I malumori, però, non mancano e in questo caso investono soprattutto la componente leghista. Dalla Lega snocciolano i dati: più di 38 milioni di italiani che “hanno già liberamente” scelto e completato il ciclo vaccinale, oltre il 70% della popolazione sopra i 12 anni, cui si aggiungono 5 milioni di cittadini guariti; ecco perché, viene fatto filtrare, il partito di Salvini “era e rimane contro obblighi, multe e discriminazioni” e insiste sulla possibilità che sia lo Stato a garantire “tamponi gratuiti, salivari e rapidi, per tutti coloro che ne abbiano necessità”. La partita, insomma, andrà avanti. Draghi ne è consapevole e dimostra spiccata sensibilità politica quando a chi gli chiede se la linea della Lega sia quella del governista Giancarlo Giorgetti o quella di Claudio Borghi, protagonista della rappresaglia no green pass in Commissione, rispoonde: “Io cerco di non fare distinzione nei partiti perché ognuno ha 5-6 anime, e allora bisognerebbe sentirle tutte. Talvolta è capitato e le assicuro che non è piacevole. Il capo della Lega è Salvini e basta”, taglia corto, mettendo bene in chiaro il differente ruolo che svolgono Governo e Parlamento.  

C'è poi il dossier migranti a fotografare la distanza attuale tra il leader della Lega e il premier.  “La ministra Lamorgese a mio parere lavora molto bene, ma poi non ho visto nessuno che abbia la bacchetta magica”, dice Draghi, che pure apre a un incontro tra la titolare del Viminale e il suo predecessore: “Dovrebbe essere un chiarimento necessario. Magari non in televisione o in streaming”. Con l'alleato in difficoltà affondano il colpo Enrico Letta e Matteo Renzi: “Nella maggioranza di governo chi è contro il green pass è contro la libertà e contro la sicurezza ed ecco perché noi chiediamo alla Lega un chiarimento. Non si può stare con le parole di Draghi oggi e allo stesso tempo votare contro il green pass in Parlamento. Le due cose sono incompatibili”, insiste il segretario del Pd. “Penso che la Lega abbia sbagliato clamorosamente. Salvini per non perdere due voti ne perde 2mila”, attacca il leader Iv. E se dem e renziani (insieme a FI) plaudono all'apertura all'obbligo vaccinale, resta in silenzio il M5S: Giuseppe Conte e i ministri pentastellati si sono più volte espressi a sostegno della campagna di vaccinazione, ma pensare a un’imposizione per legge potrebbe mettere in crisi nuovamente il rapporto con una parte della propria base.

Per l’obbligo vaccinale serve una legge ad hoc, ma è giuridicamente possibile 

Prevedere l’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid sarebbe giuridicamente possibile anche se sulla questione ci sono posizioni differenziato anche tra gli esperti. Attualmente, l'obbligo vaccinale è previsto per medici e personale sanitario; per gli insegnanti è invece c’è l'obbligo del green pass. La prospettiva di un obbligo vaccinale esteso appare però ora più vicina e si tratta, spiega il giurista Amedeo Santosuosso, professore di diritto, scienza e nuove tecnologie all’Università di Pavia, di una strada “fattibile in tempi brevi attraverso una legge, che rispetterebbe tutti i crismi di costituzionalità”. L'articolo 32 della Costituzione infatti “prevede la possibilità di imporre un trattamento sanitario obbligatorio attraverso una legge determinando così un obbligo generale per i cittadini. Una legge di questo tipo sarebbe giustificata dai benefici documentati che il trattamento, in questo caso il vaccino, porterebbe alla comunità e ai singoli. Ci sarebbero dunque tutti i requisiti”. 

Ad ogni modo, precisa, “è comunque possibile, anche in mancanza di una legge nazionale, procedere a obblighi vaccinali specifici per singole categorie lavorative”; proprio a procedere per settori puntano altri esperti, a partire da Amerigo Cicchetti, direttore di ALTEMS: l'obbligo, attualmente non presente in alcun Paese, è una “strada segnata, per l'Italia come per le altre Nazioni, al fine di bloccare l'epidemia: a mio parere è una strada percorribile senza particolari problemi giuridici ma ritengo che l'obbligatorietà vada prevista non per tutti ma per categorie precise, a partire dalla scuola e Università, la PA a contatto col pubblico e i trasporti”. Propende per un obbligo universale per tutta la popolazione vaccinabile il virologo Fabrizio Pregliasco, prevedendo l'utilizzo dei servizi già presenti sul territorio, con la collaborazione dei medici di base. Dopo l'ultimo vaccino obbligatorio introdotto in Italia negli anni '90 contro l'epatite b, l'esempio più recente risale alla legge del 2017 dell'allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha introdotto un obbligo vaccinale per la frequenza scolastica limitatamente ai vaccini dei primi anni di vita, come quello contro tetano, difterite, morbillo.

Dopo un’estate di fuoco, il Governo vara il decreto contro gli incendi dolosi 

Il Governo inasprisce le pene per gli incendi dolosi dopo i roghi che hanno devastato interi territori e provocato vittime e danni all'ambiente e all'agricoltura. Dopo aver proclamato lo stato d'emergenza il 26 agosto per le quattro regioni maggiormente colpite (Calabria, Molise, Sardegna e Sicilia), il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge con l'obiettivo “di rafforzare le azioni di prevenzione e migliorare le capacità di lotta attiva agli incendi”. Oltre all'inasprimento delle sanzioni prevede il potere sostitutivo delle Regioni nel caso i Comuni non provvedano ad aggiornare nei tempi previsti il catasto dei terreni incendiati, affida alla Protezione Civile la redazione di un piano nazionale triennale di aggiornamento tecnologico delle azioni di prevenzione e lotta attiva agli incendi e stanzia 100 milioni nel triennio 2021-2023 in favore degli enti territoriali impegnati nella lotta attiva agli incendi boschivi. Il decreto, spiega la nota del Consiglio dei Ministri, inasprisce le sanzioni sia amministrative che penali, in particolare per l'ipotesi in cui ad appiccare il fuoco sia chi avrebbe invece il compito di tutelare il e mira a colpire gli interessi degli autori degli illeciti, ad incentivare la collaborazione con le indagini e a favorire condotte volte alla riparazione del danno causato. Una condanna per incendio doloso non inferiore a due anni comporta, inoltre, per il dipendente pubblico l'estinzione del rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione e l'interdizione dalla possibilità di prestare servizi nell'ambito della lotta agli incendi. Il provvedimento arriva dopo un anno terribile per gli incendi che hanno arso interi territori, 158 mila ettari di bosco, pari a tre grandi città messe insieme, Roma, Napoli e Milano.

Gualtieri lancia la sua candidatura a Roma. Oggi tocca alla Raggi con Conte 

Ad un mese dalle elezioni per il Campidoglio del 3 e 4 ottobre Roberto Gualtieri, candidato per il centrosinistra, raduna la sua larga coalizione a piazza Bocca della Verità e lancia lo sprint finale della sua campagna elettorale. Questa mattina, invece, la sindaca Virginia Raggi presenterà la lista del M5S in periferia, a San Basilio, assieme all'ex premier e ora leader del Movimento Giuseppe Conte.

“Mancano 30 giorni, sono pochissimi, voleranno. Spieghiamo fino in fondo la forza della nostra bellissima squadra, facciamo una campagna elettorale positiva, gioiosa, capace di visione”, ha detto Gualtieri. Poi l'ex ministro, in vista delle urne, ha sottolineato: “Spieghiamo l'importanza di un voto utile per arrivare bene al ballottaggio e sfidare una destra che a Roma è sempre quella di Alemanno e Storace, che dietro alla retorica su Giulio Cesare ed Ottaviano Augusto nasconde la sua subalternità alla Lega e alla sua retorica antiromana”.  

Al suo fianco il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che ha incalzato la Raggi con ironia: “Non vi mettete le dita nel naso, fatelo per me, perché Virginia Raggi altrimenti troverebbe il modo di dire che è colpa mia e della Regione anche se vi mettete le dita nel naso. Ormai in questa città è sempre tutto colpa di qualcun altro”. Ieri a sostegno di Gualtieri si è schierata anche la sindaca di Barcellona Ada Colau: “Abbiamo costruito un legame con Milano, con Firenze, mentre Roma non ha avuto quella presenza che credo una città come questa dovrebbe avere. Per questo Gualtieri, vista anche la sua esperienza europea, è il candidato giusto per il futuro di Roma”. Michetti invece si è dedicato ai temi della sicurezza nelle periferie. “Continua il nostro tour nei quartieri romani accompagnati dal candidato del centrodestra Enrico Michetti, quartieri abbandonati da anni di mala amministrazione della giunta Raggi e della giunta di Ignazio Marino", ha sostenuto la leader di Fdi Giorgia Meloni.



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