Meloni assicura: sarà un Governo di alto profilo e competente
Giorgia Meloni è “pronta a metterci la faccia” e, se incaricata dal Quirinale, garantisce “un Governo di alto profilo” che saprà scrivere una manovra finanziaria all'altezza delle difficoltà del momento. La leader di FdI detta la linea ai suoi nella prima riunione post elettorale con l'esecutivo del partito. Ma è soprattutto agli alleati che parla e perciò, chiarisce: sarà un Governo politico“perché eletto dal popolo”, ma nessuno si scandalizzi se entreranno in campo anche Ministri tecnici, qualora siano più competenti. Conta la qualità, è il suo messaggio, confermando indirettamente le voci su esperti alla guida di ministeri chiave come l'Interno e l'Economia. Per il Mef, nonostante il pressing di FdI, non sarebbe ancora disponibile Fabio Panetta e resterebbe in pista, tra le diverse opzioni all'esame, il nome di Domenico Siniscalco. Meloni rimarca che l'esecutivo non sarà un'occasione “per risolvere beghe interne di partito o proponendo qualsiasi nome o per rendite di posizione”. Insomma, Matteo Salvini (con le sue mire sul Viminale) e Forza Italia sono avvertiti; la Lega però tiene il punto sulle sue priorità: il segretario è “pronto a un incarico di governo” e in un promemoria scritto ribadisce che il caro bollette è la “prima preoccupazione dell'esecutivo che verrà”; “Bisogna fare bene e presto”, aggiunge.
Sulla questione Meloni non si nasconde: “Viviamo una crisi economica ed energetica che sembra destinata a provocare un effetto domino sui prezzi”. Ma non si tira indietro: “Siamo in contatto con il Governo uscente per favorire una transizione ordinata. Abbiamo margini di tempo stringenti ma noi siamo pronti”. Nel breve, resta il braccio di ferro tra alleati. La premier in pectore non si farà dettare i nomi né si procederà con il bilancino. Alla riunione dei vertici di FdI non sono stati fatti nomi né posti veti; per Francesco Lollobrigida, braccio destro della presidente, “partire dai veti è sbagliato, bisogna partire dalle competenze”. Tuttavia, le proposte di Lega e FI non si possono ignorare e vanno intrecciate con le necessità di una squadra forte. Così, negli schemi su cui si sta ragionando resta valida l'ipotesi di affidare l'interno al prefetto Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini quando era al Viminale. Salvini un mese fa aveva indicato come ministro della Salute ideale Gian Vincenzo Zuccotti dell'ospedale Buzzi di Milano; FI potrebbe mettere sul tavolo Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele e medico di Berlusconi.
Fra le caselle più delicate c’è anche la Difesa. Martedì dagli uffici di FdI alla Camera si è visto uscire il generale di corpo d'armata Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti. Per gli Esteri c’è anche la candidatura dell'ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell'Ispi, ex capo dei Servizi, segretario generale alla Farnesina con i governi Prodi, Berlusconi e Monti, così come il nome dell'azzurro Antonio Tajani. Per l'Agricoltura potrebbe spuntare, tra le altre, una figura vicina sia a Lega sia a FdI come il presidente di Coldiretti Ettore Prandini anche se il nome più probabile sarà quello di Matteo Salvini se non gli riuscisse di tornare agli Interni. Per l’Università, la premier potrebbe puntare sulla rettrice della Sapienza Antonella Polimeni.
Meloni attacca Draghi sui ritardi del Pnrr
Si consuma sul Pnrr lo scontro a distanza tra Giorgia Meloni e Mario Draghi. Dopo che finora, dalla guerra in Ucraina alla postura da mantenere in Ue nella battaglia sul tetto al prezzo del gas, tra i due si era registrata una certa sinergia, anche nell'uso delle parole, si è arrivati allo scontro, sebbene a distanza. La leader di FdI, che già nei giorni scorsi aveva negato qualsiasi inciucio, prova a smarcarsi dalle accuse di essere troppo vicina a Draghi e piazza il suo affondo contro uno dei simboli dell'esecutivo delle larghe intese, quel piano da 200 miliardi nato contro la pandemia che ora, è la linea, non basta così com’è per arginare la nuova crisi energetica. Andrà “attualizzato”, questo è l'obiettivo di FdI, per renderlo più vicino alle esigenze di oggi che sono quelle della diversificazione delle fonti di energia e della protezione di famiglie e imprese dai rincari delle bollette. Le regole Ue lo prevedono ma, se un aggiornamento non fosse consentito, è il ragionamento che si fa a via della Scrofa, non sarà certo per colpa del Governo di centrodestra.
Intanto ci sono “ritardi evidenti e difficili da recuperare” attacca Meloni. L'uscita arriva nel giorno in cui il premier uscente ha riunito tutti i Ministri per fare un punto sull'attuazione del Piano. “Nessun ritardo” dice a chiare lettere Draghi rispondendo indirettamente alla leader di FdI in cabina di regia, convocata per inviare, tra gli ultimi atti del suo Governo, la relazione al Parlamento sul Pnrr. Anche perché, è l'osservazione puntuta del premier, altrimenti “la Commissione non verserebbe i soldi”, come invece ha fatto finora, staccando i primi due assegni da 45,9 miliardi e come farà a breve con i 21 miliardi della terza tranche per i quali c’è già stato un primo via libera informale. Il piano non solo è nei tempi ma entro ottobre si chiuderanno 29 su 55 obiettivi del secondo semestre 2022, dice con orgoglio Draghi ai suoi ministri, cui ha chiesto di agevolare la “transizione ordinata”.
Il Governo, assicura Mario Draghi, ha predisposto tutti gli strumenti per attuare il piano: sono state stanziate risorse contro il caro-materiali, ci sono i presidi anti-mafia, le strutture di supporto tecnico per i ministeri e per gli enti locali, meccanismi di controllo. Ora che “la prima fase si sta esaurendo”, quella del “disegno e dell'approvazione delle riforme” e dell'assegnazione delle risorse per gli investimenti, bisogna “spendere bene”, in modo “trasparente” e “nei tempi”. Ma è proprio l'attuazione concreta del piano a preoccupare Giorgia Meloni: per la premier in pectore il Pnrr e la legge di bilancio saranno il vero banco di prova del nuovo esecutivo. Sulla manovra, i tempi stringono, Draghi e Franco potrebbero presentare già la prossima settimana il Documento programmatico di Bilancio, rispettando la scadenza Ue di metà ottobre ma indicando solo le spese indifferibili, in attesa che si compia la transizione e che il prossimo Governo compia le scelte di politica economica.
Oggi c’è la direzione del Pd. Letta vuole una costituente
Non un percorso ordinario, congressi locali-gazebo-nuovo segretario, ma una “vera occasione costituente”. È questa l'idea che Enrico Letta ha in mente per rimettere in sesto il partito e arrivare al “nuovo Pd” necessario per ripartire. La Direzione di oggi segnerà il primo passo di una road map che rappresenta già un primo nodo da sciogliere. Per il segretario, in ogni caso, l'obiettivo è fare tutto in un tempo “congruo”, chiudendo per febbraio-marzo. A Stefano Bonaccini, che oggi sarà al Nazareno e non intende mettersi di traverso, potrebbe anche andare bene. Oggi, in ogni caso, ognuno potrà dire la sua. Alla relazione di Letta seguiranno gli interventi e tutto sarà trasmesso in diretta streaming. Si partirà da quella che i più definiscono “analisi della sconfitta” poi il leader del Nazareno proporrà il percorso congressuale così come anticipato nella lettera agli iscritti di venerdì e comincerà a delineare un metodo per organizzare l'opposizione. Divisioni e scintille che in questi giorni stanno caratterizzando le dinamiche interne al centrodestra sono il preludio del caos nel quale sarà costretto a operare il Governo Meloni, sono convinti al Nazareno. Per questo il Pd dovrà saper fare la sua parte.
Certo, anche i dem sono alle prese con diversi nodi interni. La scarsa rappresentanza in Parlamento ha messo sul piede di guerra le donne del Pd. L'esecutivo della Conferenza delle democratiche, infatti, ha messo nero su bianco un testo di prima analisi del voto che prevede, quale strumento per rilanciare il partito, l'obbligo di cariche paritarie per ogni ruolo dirigenziale. Le cariche apicali a disposizione nel breve termine sono le presidenze dei due gruppi parlamentari e le vicepresidenze di Camera e Senato. In tanti scommettono sulla riconferma delle attuali capogruppo, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, sia in vista del congresso sia come “pezza” al buco rappresentanza. E non è escluso che anche Anna Rossomando possa restare in carica a palazzo Madama come vicepresidente. Resta comunque in campo anche il secondo schema, che prevede un accordo di tutte le anime del partito su figure nuove, “native Pd e senza attestati di corrente”.
Sotto accusa, poi, finiscono le primarie. È l'ex segretario Pier Luigi Bersani a rinnegarle: “Se c'è da dare un contributo di discussione noi ci saremo, non siamo mai andati via dall'idea di una sinistra di governo. Ma è chiaro che la prima domanda nostra sarà alla fine del percorso c'è un partito nuovo o si montano i gazebo per scegliere il capitano? Questo è decisivo. Basta primarie”. Anche il vicesegretario Peppe Provenzano, che ha deciso di non correre al Congresso, resta freddo: “La partecipazione non la realizzi con un giorno ai gazebo”, dice, mentre da Base riformista alzano le barricate: “Caro Bersani ti sbagli. Con lo slogan basta primarie non si fa un partito nuovo e più largo. Come dimostrato anche da tante recenti vittorie del Pd alle amministrative, le primarie sono ossigeno politico. Sì al partito aperto. No al partito chiuso. Giù le mani dalle primarie”, scrive su Twitter il senatore del Pd Dario Parrini. Intanto Massimo D'Alema ci va giù duro: “I dirigenti del Pd hanno pensato che la fine di Draghi provocasse un'ondata popolare nel Paese, travolgesse Conte e portasse il Pd, la forza più leale a Draghi, a essere il primo partito. Io non so che rapporti abbiano i dirigenti del Pd con la società italiana. Mi domando persino dove prendano il caffè la mattina, perché il risultato ha detto esattamente l'opposto”, attacca.