Per il Recovery la regia sarà a palazzo Chigi ma ci sono anche le task force locali
Una regia politica a Palazzo Chigi e con tutti i ministri interessati, struttura centralizzata di controllo, “l'unica forma di presenza del governo nel Pnrr”, e poi la responsabilità diretta di Comuni, Province e Regioni sui 200 miliardi di interventi del Recovery Plan; task force locali entreranno in campo per aiutare gli enti a mettere a terra i progetti. Prende forma la governance del Piano di ripresa e resilienza che l'Italia, assicura il premier Mario Draghi, presenterà entro il 30 aprile. Una occasione “unica”, “storica”, dice il presidente del Consiglio a sindaci e governatori, per “cambiare tutto” e tornare “credibili” sulla capacità di realizzare gli investimenti e non sprecare le risorse. Bisogna “spendere e spendere bene” incalza il premier, illustrando le prime mosse, dall'alta velocità al Sud agli asili nido e un piano Marshall per gli aiuti alle fasce più povere, dalle case popolari al recupero delle strutture sportive, all'accelerazione da imprimere alla ricostruzione post-sisma fino al rilancio del turismo anche grazie alla spinta di servizi digitali. Certo, la scrematura dei progetti ancora non è terminata e il piano sta cambiando molto, in particolare su “verde e digitale”, e le richieste superano “di 30 miliardi” le risorse disponibili, ha precisato il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta. La Commissione Ue, negli scambi informali e pressoché quotidiani, sta chiedendo a sua volta delle correzioni e blocca alcune idee che si traducono in spesa corrente o non sono funzionali alle riforme, quella della P.a. prima di tutto ma anche di giustizia e “concorrenza su cui siamo molto indietro”.
Uno dei nodi aperti è quello delle assunzioni che comunque servono intanto per rendere effettivi i servizi nelle nuove infrastrutture (se si costruiscono nuovi asili nido, spiega il Ragioniere, poi bisogna metterci il personale) ma anche per “assumere quelle qualifiche nel campo della digitalizzazione che non ci sono”, assicurando che accanto ai nuovi ingressi ci sarà un “forte programma di aggiornamento” dei dipendenti pubblici. Il nuovo Piano, che il Governo presenterà al Parlamento prima dell'invio a Bruxelles con delle comunicazioni prima della fine di aprile, presenterà quindi “forti elementi di discontinuità” in alcune aree rispetto alla versione firmata da Conte e Gualtieri: le priorità trasversali restano donne, giovani e rilancio del Mezzogiorno ma all'interno delle sei missioni si partirà da alcuni capitoli: su tutti la diffusione capillare della fibra ottica e la digitalizzazione, e la tutela del territorio e delle risorse idriche sul fronte della transizione ecologica, con i fari puntati soprattutto sulla prevenzione e il contrasto del dissesto idrogeologico. Altra priorità la scuola, con la modernizzazione e la messa in sicurezza degli istituti, il rafforzamento dei servizi per la prima infanzia per favorire il lavoro delle donne e una “vera” parità di genere, ma anche gli investimenti sulla formazione dei ragazzi, dal rafforzamento degli istituti tecnici a maggiori sussidi, alloggi e sgravi fiscali per gli studenti più meritevoli.
La governance del Piano, come aveva anticipato in Parlamento il Ministro dell'Economia Daniele Franco, sarà sviluppata su due livelli: ci sarà una struttura di coordinamento centrale, che avrà un compito di supervisionare l'attuazione del piano e sarà anche responsabile dell'invio delle richieste di pagamento a Bruxelles. La struttura, in sostanza, sarà quella che riceverà il denaro dalla Commissione Europea e lo darà “agli enti attuatori a seconda dei lavori in corso. Gli enti danno poi riscontro dei pagamenti”. Ma saranno poi le singole amministrazioni a essere “responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme” e tra loro dovranno trovare un coordinamento. Tutto il processo sarà poi garantito da un pacchetto di semplificazioni delle procedure su cui sono al lavoro tutti i ministeri in prima linea, dalla Transizione ecologica e digitale alla PA, che sarà accompagnato anche da uno snellimento delle procedure contabili via decreto ministeriale del Mef, come ha assicurato il sottosegretario Alessandra Sartore.
Draghi striglia i furbetti dei vaccini, ma frena sulle riaperture
Il presidente del Consiglio Mario Draghi ostenta ottimismo sul piano vaccini, ma striglia i furbetti, invitando a concentrarsi sull'immunizzazione degli over 75. Il premier ha aperto la sua conferenza stampa proprio con un duro richiamo a tutti coloro che saltano la fila: “Con che coscienza la gente salta la lista sapendo che lascia esposto a un rischio concreto di morte chi ha più di 75 anni?”. Draghi ha fatto, in particolare, un esempio concreto: gli “psicologi di 35 anni” vaccinati perché “operatori sanitari”. “Non voglio dire che il personale sanitario in prima linea non debba essere vaccinato, ma non vogliamo platee che si allargano a tanta gente che non è in prima linea”. La vaccinazione delle categorie più a rischio sarà un “parametro” fondamentale per le riaperture; la disponibilità di dosi, ha assicurato, “non è caduta” e l'obiettivo di 500 mila somministrazioni al giorno è confermato ma “bisogna fare delle scelte” dando la priorità ad anziani e soggetti fragili. “Ora si apre una fase dirimente: è chiaro che vaccinare le persone più esposte al rischio non solo è un dovere, ma è interesse delle Regioni perché possono riaprire in sicurezza la loro economia più presto”. Sulle riaperture, però, al momento, non ci sono indicazioni: “Non ho una data, ne stiamo parlando in questi giorni, dipende dall'andamento dei contagi, ma anche dall'andamento delle vaccinazioni sulle fasce a rischio”, ha detto Draghi, che però invita a guardare al futuro, a partire dalla prossima stagione estiva che “non è abbandonata. I siti turistici sono prenotati dagli italiani ma gli stranieri non ci sono ancora, bisogna annunciare che siamo pronti ad accogliere tutti i turisti che hanno un certificato vaccinale", ha detto, annunciando di aver chiesto anche al ministro del Turismo Massimo Garavaglia “un piano per riaprire fiere ed eventi”.
Draghi ha anche approfittato dell'occasione per difendere il ministro della Salute Roberto Speranza, da settimane oggetto di attacchi quotidiani. Il premier ha anche parlato delle proteste che le categorie più colpite dalle chiusure hanno portato avanti nei giorni scorsi, anche vicino a Palazzo Chigi, dove ci sono stati scontri con le forze dell'ordine: “Delle manifestazioni che ci sono state naturalmente condanno la violenza ma capisco il senso di smarrimento e la disperazione”, ha assicurato, garantendo che il Governo lavora per arrivare in tempi più stretti a un nuovo decreto sostegni che avrà più risorse rispetto ai 32 miliardi del precedente. “Il ministro Franco presenterà prima il Def, dove viene definito lo scostamento. Il Parlamento lo dovrà poi votare e poi faremo il decreto, che conterrà sia sostegni che misure per le riaperture. La dimensione sarà probabilmente più grande” di quello precedente. Però non ci sarà una ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti, come chiesto dalla Cgil: “La posizione del governo è quella espressa nel decreto sostegni: lo sblocco dei licenziamenti a giugno a seconda dei due tipi di ammortizzatore sociale di cui dispongono i lavoratori e a ottobre per gli altri”.
Dopo l’incontro con Draghi Salvini è fiducioso sulle riaperture
Tre quarti d'ora a colloquio con Mario Draghi e Matteo Salvini esce “fiducioso” da Palazzo Chigi, festeggiando davanti alle telecamere una “condivisione” di massima con il presidente del Consiglio sul tema delle riaperture delle attività chiuse per contrastare i contagi da Covid, da valutare “nella seconda metà di aprile, in base ai dati”. Condivisione in parte confermata da Draghi che, in conferenza stampa, parla di attesa per “riaperture in sicurezza”. L'incontro con Salvini è avvenuto prima del colloquio del premier, in video conferenza, con i presidenti delle Regioni e i delegati di Anci e Upi. Nella conferenza stampa successiva, Draghi tiene a precisare, in primo luogo, di non aver visto solo il segretario leghista, ma anche i governatori e, in mattinata, l'esponente di Liberi e uguali Pier Luigi Bersani. Il capo del governo poi aggiunge che trova “normale” chiedere le riaperture che rappresentano il “miglior sostegno all'economia” ma riferisce di non essere in grado di indicare una data precisa di avvio.
Matteo Salvini appare comunque soddisfatto all'uscita principale di Palazzo Chigi, dove convoca i cronisti: “È stato un incontro molto utile, positivo, costruttivo. Abbiamo parlato di salute e lavoro, le uniche due emergenze di cui la Lega si sta occupando”, afferma. “Riaprire dalla seconda metà di aprile per me non è un diritto, ma un dovere”, aggiunge. "Chiediamo che i dati scientifici valgano sempre, perché crediamo nella scienza. Se valgono i dati scientifici per le chiusure, la stessa scienza deve valere dove i dati migliorano, dalla chiusura si può tornare alla riapertura. Dove ci sono città oltre la soglia del rischio, cautela, prudenza e pazienza. Ma laddove ci sono parametri scientifici da giallo, una riapertura, sempre in base a soglie, distanze e cautele, deve essere calendarizzata, secondo noi già dalla seconda metà di aprile”, aggiunge. “Non si può vivere in rosso a vita. Salvini si presenta da Draghi con una cartellina sotto braccio, con all'interno il piano elaborato con i governatori di centrodestra con i dati delle Regioni che, a loro giudizio, potrebbero passare in giallo, ovvero Abruzzo, Trentino Alto adige, Marche, Veneto e Umbria. Con Draghi il capo della Lega ha parlato anche di almeno due altri dossier: le nuove misure di sostegno all'economia e le politiche migratorie.
Volpi propone le dimissioni dei membri del Copasir per sbloccare l’impasse
Raffaele Volpi, a sorpresa, apre la prima seduta del Copasir e propone la sua via d'uscita dall'impasse che blocca il Comitato da oltre due mesi: dimissioni di massa per consentire “una ricomposizione dello stesso con cinque esponenti dell'opposizione, permettendo quindi tra essi la libera scelta del presidente”; non solo, il leghista propone anche di lavorare a una modifica della legge. Parole lette come uno spiraglio da FdI: ora sta a Giorgia Meloni e Matteo Salvini risolvere la questione, magari in occasione del vertice che il centrodestra dovrà fissare per parlare delle amministrative. Ma la soluzione è ancora lontana, innanzitutto perché l'ipotesi delle dimissioni di massa non convince diversi esponenti della maggioranza: si teme, infatti, un ridimensionamento della presenza nel Comitato, una volta che i presidenti di Camera e Senato procederanno alla ricomposizione dell'organismo, sulla base delle proporzioni numeriche, anche se non è affatto scontato che FdI ottenga più componenti di quanti ne ha attualmente, ovvero uno solo, il vice presidente Adolfo Urso che, per FdI, dovrebbe andare a sostituire Volpi. Il tema era già stato affrontato proprio da Fico e Casellati che, nella lettera inviata a Volpi, hanno sottolineato la questione del sovradimensionamento; c’è poi quella delle componenti del Misto che non sono nella maggioranza: a loro non spetta di diritto un rappresentante nel Copasir. Insomma, anche se, come propone Volpi, tutti gli attuali componenti dovessero dimettersi, non è automatico che all'opposizione, di fatto rappresentata solo da FdI, spettino tutti e cinque gli scranni che la legge le attribuisce.
Quanto all'ipotesi di aumentare di due l'attuale numero dei componenti del Copasir (in tutto 10, come dispone la legge), non appare una strada di facile percorribilità. Dunque, al momento non sembra profilarsi una soluzione nell'immediato. E certo la lettera scritta da Meloni a Salvini, secondo alcuni, non avrebbe aiutato a ricomporre la frattura con Salvini: nel mirino la frase “Il tuo ruolo nella nostra coalizione è centrale e questa è l'occasione per essere all'altezza della prospettiva di governo futuro, dimostrando rispetto per le norme e le istituzioni”. La leader di FdI ha poi precisato: la lettera “non è un ultimatum, è un tentativo di rispondere alla vulgata secondo la quale la vicenda della presidenza del Copasir sia una questione tra la Lega e FdI. Non e' un problema tra Lega e FdI”. Fredda e secca la replica di Salvini: “Io mi occupo solo di riaperture”, per poi aggiungere “Piuttosto che bloccare tutto per litigi e appetiti, meglio che si dimettano tutti”. Per Pd e M5S la proposta del presidente del Copasir “è un'arma spuntata, va contro il principio di proporzionalità”; gli esponenti dei due partiti, in una nota congiunta, spiegano: “La decisione di alcuni partiti del centrodestra di non partecipare ai lavori odierni del Copasir denota lo stato di gravità di una situazione che vede il trasferimento all'interno di una delicata sede istituzionale di dinamiche interne ai partiti e alla coalizione di centrodestra”. La convinzione di Pd e M5S è che Forza Italia potrebbe dare anche l'ok a un'arma che difficilmente verrà utilizzata ma che è sul tavolo, ovvero le dimissioni di sei componenti su dieci. La convinzione, in ogni caso, è che Volpi abbia voluto solo prendere tempo.