Al Parlamento Ue i partiti di destra si dividono sulle influenze russe
Il Parlamento Ue lancia l'allarme sulle interferenze russe nei partiti europei. Non è la prima volta, ma in questo caso è il posizionamento dei partiti di destra ad agitare le acque della politica a Strasburgo: in una risoluzione si evidenziava come Mosca stia reclutando alcuni deputati come “agenti di influenza”, con l'obiettivo di dividere l'opinione dei cittadini europei, e come abbia creato un rapporto di dipendenza con alcuni partiti politici europei, anche tramite l'erogazione di finanziamenti, che agiscono quindi come amplificatori della propaganda russa e servono gli interessi della Russia. Un riferimento è alla deputata lettone Tatjana Zdanoka, che avrebbe agito come informatrice per il servizio federale di sicurezza russo, ma il testo cita anche la Lega di Matteo Salvini per la questione dei fondi russi del 2019, motivo per cui il Carroccio non ha partecipato al voto.
Il resto del gruppo Id, compreso il presidente di Rassemblement National Jordan Bardella, ha votato contro assieme a gran parte dell'estrema sinistra di The Left e agli italiani Francesca Donato e Piernicola Pedicini. Nicolas Bay, il rappresentante di Reconquête, il partito di Zemmour appena confluito nel gruppo dei conservatori Ecr della premier Giorgia Meloni, si è invece astenuto, diversamente dal resto del gruppo; anzi, in Ecr, il cui partito più numeroso è il Pis polacco, il tema Ucraina e opposizione antirussa è molto sentito. È stata proprio su iniziativa dell'europarlamentare dell'Ecr Anna Fotyga che è stato presentato l'emendamento sul pericolo dei “Russlandversteher”, ovvero gli agenti dell'influenza russa presenti in molti partiti. La posizione sull'Ucraina e le mosse di Ecr rischiano di far saltare il progetto di un'alleanza ampia con i conservatori o parte di essi cui aveva ammiccato il leader del Ppe Manfred Weber. L'ingresso in Ecr del partito di Zemmour, con i suoi messaggi contro i migranti e la propaganda Lgbt, e il preannunciato arrivo di Fidesz, il partito di Viktor Orban, non aiutano a rendere più moderato il gruppo guidato da Giorgia Meloni. Gli estremisti spaventano Bruxelles, ecco perché ora gli occhi sono puntati sul congresso del Ppe di Bucarest del 6 e 7 marzo, che dovrebbe incoronare Ursula von der Leyen come candidata per il bis alla guida della Commissione.
Il Governo è pronto a ripristinare l’esenzione dell’Irpef Agricola
Sul ritorno delle esenzioni Irpef al comparto agricolo anche nel 2024 la rotta è tracciata. A confermarlo è il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti durante il question time al Senato. Il responsabile del Mef, infatti, all'interrogazione di IV risponde che “il tema è stato già posto al presidente Meloni” e “fermi gli interventi già adottati, nonché tutte le altre misure agevolative vigenti per il comparto agricolo, è in corso di valutazione l'intervento per gli imprenditori agricoli che necessitano di un effettivo sostegno, eventualmente prevedendo specifiche franchigie”. In poche parole, la norma sarà ripristinata ma solo per chi si trova in forte difficoltà e per le Pmi, come fa sapere FdI. Anche lo strumento è chiaro: “La misura sarà inserita nel primo veicolo normativo utile, che potrebbe essere già il decreto Milleproroghe attualmente all'esame della Camera”. Sul punto, però, si sono accese le polemiche, non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche nella stessa coalizione: “Riteniamo un errore quello del Governo di cancellare l'esenzione per il 2024”, dice infatti Riccardo Molinari, il capogruppo alla Camera della Lega, ammorbidendo però i toni con la sottolineatura che la scelta in legge di Bilancio è stata presa “nell'ottica di una riforma fiscale che ha abbassato tasse a tutti”. La risposta arriva quasi immediata dall'alleato FdI: “Non risulta che siano mai state avanzate in sede di esame e di approvazione della LdB riserve da parte di gruppi della maggioranza in ordine all’esenzione dell’Irpef agricola” ricorda il presidente dei deputati Tommaso Foti.
Passando alle opposizioni, la bocciatura è quasi unanime. Il tema risveglia anche Beppe Grillo che torna a farsi sentire dal suo blog: “In Italia le manifestazioni stanno sfruttando la buonafede di tanti agricoltori in una lotta interna al centrodestra tra Lega e FdI anche in funzione anti Coldiretti, a detta di molti troppo schiacciata sulle posizioni della Meloni e di Lollobrigida”, scrive in un post intitolato “Problemi diversi, unico nemico: il Green New Deal Europeo”. “Per giorni abbiamo vissuto la paradossale situazione per cui il Governo ha quasi negato la realtà. Ora si metta mano alle risorse per aiutare davvero gli agricoltori e si ripristini l’esenzione”, attacca Raffaella Paita di IV, il partito di Matteo Renzi che ha deciso di presentare una mozione di sfiducia individuale al ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida. Dal Pd è Francesco Boccia ad attaccare: “Questa maggioranza è divisa anche sull’esenzione Irpef sui terreni agricoli, su cui ora devono fare di corsa retromarcia”. Intanto, sul fronte della protesta Riscatto agricolo annuncia che la manifestazione di oggi in piazza San Giovanni a Roma è stata annullata, “causa invasione del presidio di gruppi non inerenti alla agricoltura”. I trattori, comunque, restano alle porte della Capitale; la situazione resta delicata e anche nel Governo si avverte la necessità di intervenire.
Fontana scioglie il Giurì d’onore sul caso Mes. Scontro tra Mulè e Conte
Dopo giorni di polemiche alla fine arriva lo scioglimento del Giurì d'onore chiesto dal leader del M5S Giuseppe Conte dopo le parole della Premier Giorgia Meloni sul caso Mes. La bufera si scatena poche ore prima, quando in Aula viene comunicata la decisione presa dal presidente Lorenzo Fontana che dà seguito all'istanza presentata proprio da Conte, nella quale si chiede lo scioglimento del Giurì dopo le dimissioni dei due Commissari di opposizione che ne denunciavano la mancata imparzialità. Di lì a poco il presidente del Giurì Giorgio Mulè convoca la conferenza stampa durante la quale accusa l'ex premier di “oltraggio” alla Camera: “È singolare che Conte abbia ricavato la certezza di non andare incontro a un parere imparziale semplicemente leggendo la missiva di Vaccari e Zaratti, ed è singolare che lui, parte in causa, si erga a giudice. Interrompere la partita e abbandonare il campo come hanno fatto Zaratti e Vaccari, portare via il pallone come ha fatto Conte appartiene a una logica che per quanto mi riguarda non troverà mai cittadinanza nel mio modo di fare”.
Immediata la replica di Giuseppe Conte: “Il pallone io non l'ho portato via, perché non ce l'ho avuto mai in mano. Lo aveva invece il presidente Fontana e ha deciso, alla luce dei fatti sopravvenuti, che non si potesse proseguire. La metafora calcistica è del tutto fuori luogo e Mulè dovrebbe invece interrogarsi sul perché si è ritrovato senza Commissari al fianco”, sottolinea, stigmatizzando l'assoluta “mancanza di autocritica”. Entrambi denunciano il mancato rispetto delle istituzioni. Per Mulè: “Se fossimo in tribunale saremmo di fronte a un palese oltraggio alla corte”, mentre per il presidente del M5, “le istituzioni perdono sempre ogni qualvolta un presidente del Consiglio viene nell'aula del Parlamento a mentire agli italiani”. Da parte loro i due ex Commissari, che con le loro dimissioni hanno portato alla fine del Giurì, difendono la decisione presa e non arretrano di un passo davanti a chi, nella maggioranza, li accusa di aver agito su richiesta di Conte per evitare un verdetto a suo sfavore: “La documentazione raccolta sulla controversia sorta tra i presidenti Meloni e Conte parla chiaro: Meloni ha sbagliato a lanciare gravi accuse al suo predecessore”, afferma Filiberto Zaratti di Avs, che aggiunge: “La verità è che il Giurì ha avuto un approccio sbagliato e di parte e ora la maggioranza cerca di scaricare le sue evidenti responsabilità”.
Confermato il duello tv tra Meloni e Schlein. Gli staff sono al lavoro
Si avvicina il duello televisivo tra la segretaria dem Elly Schlein e la premier Giorgia Meloni in vista delle elezioni europee. In un contatto telefonico i collaboratori delle due leader hanno ribadito la volontà di entrambe di esserci. Insomma, sfida tv confermata, restano da definire alcuni particolari non marginali e per questo gli staff hanno già fissato un incontro per la prossima settimana, un pranzo in cui saranno approfondite diverse questioni. Da valutare, in primis, se il duello debba essere soltanto uno, oppure se sia il caso di giocare un doppio match, con andata e ritorno, magari in due diverse emittenti; e il luogo della sfida non è un affare da poco. La conferma del duello, però, non porta per ora le due avversarie a scoprire le carte: sia la presidente del Consiglio che la segretaria del Pd non hanno ancora deciso di sciogliere le riserve sulla loro candidatura alle elezioni europee. Dalle parti del Pd, anche i più vicini alla leader ammettono di non saperne nulla. “Una scelta personale”, dice qualcuno, “ma con questa destra in Ue, di certo dobbiamo usare tutti gli strumenti necessari per batterli”. Dall'altra parte, tutti si aspettano una candidatura della premier, ma a Palazzo Chigi sulla faccenda vige la massima riservatezza.
Proprio Giorgia Meloni, nel tradizionale incontro annuale con la stampa, aveva accolto la sfida lanciata da Elly Schlein sul confronto tv. Da quel momento è corsa aperta per ospitare l'evento elettorale più atteso, anche se dalle reti televisive le bocche restano cucite. SkyTg24 sarebbe intenzionata a giocare il vantaggio di aver posto la questione in conferenza stampa; per la Rai, Bruno Vespa ha già detto di essere stato il primo a offrire lo spazio per il dibattito, e nella contesa c'è anche La7, che con Enrico Mentana non resta a guardare. Sulle date invece, potrebbero essere le regole elettorali e restringere le tempistiche. Dai primi di aprile le norme sulla par condicio potrebbero complicare gli equilibri, ma in molti sono convinti che le due leader andranno in video nel mese di marzo. Intanto, Meloni e Schlein hanno già cominciato ad alzare il livello dello scontro verbale, sia in Aula che fuori, con affondi mirati e sempre più frequenti botta e risposta.
È tensione sul premierato. Pd e Avs attaccano Balboni che invoca il giurì
Non è ancora entrato nel vivo l'esame del premierato e già in Senato arriva un assaggio di quello che sarà il cammino di uno dei provvedimenti più complessi della legislatura. In Aula, di prima mattina va in scena uno scambio acceso sull’organizzazione dei lavori e dei tempi del dibattito, coda di una lite mercoledì sera in Commissione tra Pd e Avs e il presidente della commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni. Il senatore di FdI respinge l'attacco ed evoca (e poi formalizza la richiesta) il giurì d'onore. Sono migliaia, almeno duemila tra emendamenti e subemendamenti, le proposte di modifica a quella che per l'esecutivo rappresenta la “madre di tutte le riforme”, presentate soprattutto dai Pd e Avs, che intendono così manifestare la netta contrarietà all'elezione diretta del presidente del Consiglio. Mercoledì sera l'esame è iniziato all'insegna dello scontro: il presidente Balboni chiedeva di partire con l'illustrazione degli emendamenti al primo articolo, il Pd invece di stabilire un calendario; ne è nato un confronto con i toni accesi, proseguito oggi in Aula.
“Abbiamo superato alcuni limiti che riguardano il rapporto non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche tra presidente di Commissione e componenti”, accusa Francesco Boccia: “Non esiste che un Presidente di Commissione faccia valutazioni, durante una seduta, sulla natura degli emendamenti presentati dalle opposizioni” e “nessuno di noi può dire: qui comando io e si fa come dico io”. “La ricostruzione offerta dal presidente Boccia è infondata” e “io non mi sono mai permesso di ridere degli emendamenti” è stata la replica di Balboni, “sfido chiunque su questo e chiedo un Giurì d'onore”. Balboni ha poi dato seguito alla richiesta, scrivendo al presidente del Senato Ignazio La Russa. L'istituzione del Giurì d'onore è prevista dall'articolo 88 del regolamento del Senato, che disciplina i Fatti lesivi della onorabilità” attraverso la creazione di una “Commissione di indagine”. Intanto alla Camera il Giurì d’onore chiesto da Conte veniva sciolto dopo le accese polemiche tra Giuseppe Conte e Giorgio Mulè.