Ue trova intesa su Recovery fund e bilancio: superato veto di Polonia e Ungheria
I leader dell'Unione europea hanno raggiunto l'accordo sul bilancio pluriennale e sul Recovery fund superando il veto posto da Polonia e Ungheria sul vincolo dei finanziamenti europei al rispetto dello stato di diritto. A dare l'annuncio è stato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel al termine della prima giornata di lavori del vertice che, oltre al piano di ripresa, sta affrontando temi delicati come i rapporti commerciali post-Brexit con Londra e le relazioni con la Turchia. C'è “l'accordo sul bilancio pluriennale (2021-2027) e sul Next Generation EU”, ha scritto Michel su Twitter, “Ora possiamo iniziare con l'attuazione e la ricostruzione delle nostre economie. Il nostro importante pacchetto di ripresa porterà avanti la transizione verde e digitale”. L'intesa è stata confermata anche dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: “L'Europa va avanti!”, ha commentato la politica tedesca, sottolineando che l'accordo consente l'impiego di “1,8 miliardi di euro per alimentare la ripresa” dopo la crisi generata dalla pandemia di Covid-19 e costruire un'Ue “più resiliente, verde e digitale”. Von der Leyen si è poi congratulata con la presidenza tedesca del Consiglio dell'Ue.
È stata proprio l'abilità politica della cancelliera Angela Merkel a far arrivare a un compromesso i leader di Budapest e Varsavia che si erano fermamente opposti alle condizionalità sullo stato di diritto poste da Bruxelles, accusando l'Europa di voler interferire nei loro affari interni. Il primo spiraglio di un possibile accordo si era avuto già alla vigilia del vertice quando il vicepremier polacco Jaroslaw Gowin aveva annunciato il raggiungimento di un'intesa con l'Ungheria e la Germania che avrebbe mantenuto “la Polonia sovrana e l'Ue unita”. Il vincolo al rispetto dello stato di diritto è rimasto ma l'accordo promosso da Berlino prevede di fatto un allungamento dei tempi di applicazione delle eventuali sanzioni, coinvolgendo nel procedimento la Corte di Giustizia Ue. Lo stesso premier ungherese Viktor Orban arrivando al vertice aveva sottolineato che i leader erano a un passo dal raggiungere un accordo: “È ovvio che quando i nostri Paesi e così tanti milioni di persone hanno reale necessità a causa della pandemia e delle sue conseguenze economiche, dobbiamo comportarci in modo ragionevole”, ha sottolineato il primo ministro, usando toni più concilianti rispetto a quelli adottati in precedenza. L'invito a raggiungere l'intesa sul pacchetto europeo che consentirà la ripartenza economica dell'Unione dopo la pesante crisi del Covid-19 è arrivato in giornata anche dal presidente dell'Europarlamento: David Sassoli rivolgendosi ai capi di Stato e di governo ha rimarcato che era “tempo di concludere” le discussioni per il bene dei cittadini europei. L'accordo, ha sottolineato il portavoce di Merkel Steffen Seibert, è stato raggiunto all'unanimità; “L'Europa sta andando avanti, unita” e “sta mantenendo i suoi valori”, ha commentato il presidente francese Emmanuel Macron, “lo storico piano europeo di ripresa deciso a luglio si sta ora concretizzando”.
La tensione nel Governo non scema. Pressing di Iv su Conte o piano B con Draghi
Prima capire cosa fare, come spendere i fondi Ue, per esempio quelli destinati per ora alla sanità che sono pochi (su questo concordano sia Matteo Renzi che il Ministro Roberto Speranza), poi affrontare il tema della governance. La cabina di regia sul Recovery plan resterà congelata, perlomeno è questa la convinzione del leader di Iv, che da giorni insiste sulla necessità di uno stop da parte di Giuseppe Conte. Sul tavolo del prossimo Cdm dovrebbe arrivare una bozza del piano da trasmettere poi alle Camere; lo fa capire anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti, rilanciando l'invito a sbloccare l'impasse su tutti i dossier, non solo il Recovery: “Avremo di fronte tra qualche giorno – spiega - una proposta sul Recovery Fund. È una proposta, non un pacchetto chiuso in se stesso. È figlia del lavoro positivo di questi mesi ma è doverosamente aperta al confronto in Parlamento, anche con le opposizioni, e nel Paese. Così come, sulla base delle priorità che anche noi abbiamo contribuito a definire nella maggioranza, si dovrà decidere l'allocazione definitiva delle risorse”. Il premier parla di fraintendimento sul Recovery, del fatto che i Ministri non saranno commissariati ma Italia Viva non cede. Il piano A è quindi rimettere tutto in discussione, a partire dal Recovery plan: arrivare al modello francese, una cabina di regia con le forze parlamentari e le parti sociali, senza piantare paletti ad un’unità di missione ma lasciando alla politica (e al Consiglio dei ministri) la facoltà di decidere sui progetti. Il piano B è l'ipotesi di un esecutivo istituzionale e in tanti nei partiti di maggioranza e opposizione negli ultimi giorni sono tornati a guardare a Mario Draghi, ritenendo che solo lui, come alternativa a Conte, possa gestire i 209 miliardi.
Il presidente del Consiglio da giorni ha fatto sapere di essere disponibile a trattare sul Recovery, al pari del Ministro Roberto Gualtieri, con la premessa che una struttura e un coordinamento sono necessari, soprattutto per evitare ritardi di fronte alla Ue. Ma anche in un'ala del Pd c’è irritazione per il metodo portato avanti dal premier: il sospetto è che Giuseppe Conte si stia creando una propria struttura, se non un proprio partito. La mediazione si aprirà nel Consiglio dei ministri con i pontieri al lavoro per raffreddare il clima, ma Renzi non demorde. L'invito al capo dell'esecutivo a mediare arriva anche dal Movimento 5 stelle, alle prese con altri abbandoni (quattro alla Camera), possibili sanzioni (per chi ha votato no alla riforma del Mes) e una riforma della governance interna (l'ipotesi è di un organismo collegiale a 5) che tarda ad arrivare; se ne fa carico Luigi Di Maio. L'exit strategy è “non togliere potere a ministeri, Regioni e Comuni” ma costruire di “norme che rendano tutto più veloce”. Nel fronte giallorosso è convinzione comune che il premier debba intestarsi il progetto della ripartenza se non vuole essere travolto, perché sul piano B, qualora si creassero le condizioni, difficilmente ci si potrà sottrarre. Anche tra i gruppi M5S, al netto del “no ai tecnici”, prevale la linea “fare di tutto per evitare di andare a casa”.
Le opposizioni per il momento rimangono alla finestra
Non è solo la maggioranza ma anche l'opposizione ad attendere le mosse del presidente del Consiglio. Mesi fa Matteo Salvini aprì alla prospettiva di un governo istituzionale per poi chiudere quella porta, anche perché la sua disponibilità non era stata accolta. Ma, di fronte a quella che tutti i big del partito di via Bellerio considerano una vera e propria emergenza democratica, in tanti nella Lega sono tornati a ragionare sul piano B. L'ala moderata che fa riferimento a Giancarlo Giorgetti individua un bivio: “O restiamo sulla riva del fiume e assistiamo al big bang di questa maggioranza o di fronte ad un quadro che cambia valutiamo altre alternative”. Salvini non guarda a quel bivio, anche se non esclude nulla. La convinzione del Capitano è che questo esecutivo non possa reggere ma per ora non c’è l'intenzione di fare aperture ad altri governi; tocca al Pd capire, ragionava l'altro giorno Giorgetti con alcuni parlamentari, che ha tutto da perdere. In questa situazione d’incertezza chi ci guadagna è Conte che continua a governare. Risaputo che pure Fratelli d'Italia non crede che Renzi possa rovesciare il tavolo e che Giorgia Meloni punta solo al voto, anche in FI ora l'imperativo è un altro, ovvero quello di un centrodestra unito: “Noi comunque pensiamo solo al Paese e non andremo mai a sostenere questo Governo”, spiega un berlusconiano doc. La partita sul Recovery fund passa dall'Europa, con il raggiungimento dell'accordo raggiunto a Bruxelles ma soprattutto dal Parlamento.
Il M5S è nella bufera, cresce la pattuglia dei fuoriusciti
Altri 4 deputati che lasciano il M5S ma molti, tanti di più, che ormai escono allo scoperto votando in dissenso con il Gruppo e non solo sul Mes ma anche, ad esempio, sul dl sicurezza. Dopo le fuoriuscite a Bruxelles, quello in corso nel M5S sembra un liberi tutti, una fuga che nessuna regola interna al Movimento sembra più in grado di arginare. Il gruppo è sfaldato e in attesa che il percorso degli Stati generali porti davvero a qualche novità si cerca di correre ai ripari. In questi giorni gli iscritti sono chiamati a votare le conclusioni degli Stati generali chiusi un mese fa, poi partiranno discussioni più approfondite sui temi della nuova agenda pentastellata. Ma il tempo corre e Luigi Di Maio non vuole più aspettare. Richiama al voto sul documento di sintesi perché, avverte, “serve un movimento forte, per un governo forte”, e soprattutto ricorda che lui si è ormai dimesso dallo scorso gennaio: “è passato un anno, quindi votiamo e ripartiamo, ma non c’è più tempo: più aspettiamo più manca l'iniziativa politica sui temi più importanti”. Intanto però, mentre si gettano le basi per riorganizzare il M5S del futuro, quello attuale è nella bufera: la vittoria sul Mes dell'ala governativa ha portato anche una profonda ferita, con i fuoriusciti e quelli sempre pronti a fare il salto che gridano al tradimento.
Alla Camera sono stati tredici i no alla riforma del Mes, più dieci che non hanno partecipato al voto: ora passano al gruppo Misto Carlo de Girolamo, Antonio Lombardo, Maria Lapia e Fabio Berardini. Indiscrezioni ipotizzano che quest'ultimo potrebbe traslocare in FdI mentre il Pd annuncia che gli ex 5 Stelle Paolo Lattanzio e Michele Nitti passano al loro gruppo. L'addio dei quattro è accompagnato da una valanga di accuse verso la piega presa dal M5S: “Noi 13 deputati che abbiamo votato coerentemente con il nostro programma elettorale siamo stati minacciati di espulsione ed emarginati. Il clima è diventato talmente tossico che non mi riconosco più in questa forza politica” si lamenta Berardini. Tutti postano una loro lunga lettera di commiato in cui puntano l'indice contro tutti i tradimenti operati dal Movimento: dalla mancata revoca delle concessioni autostradali alla legge sul conflitto di interessi, dalla riforma fiscale alla riduzione della durata dei processi, dalla Rai all'Ilva, alla Tav, agli F35. E sulla democrazia diretta: “Si vota solo quando fa comodo, magari con quesiti preconfezionati” mentre “le decisioni si prendono in stanze ristrette, i cosiddetti caminetti”. Intanto mentre alcuni di questi deputati si sono rifiutati anche di mettere la loro firma sotto il nuovo decreto sicurezza (in tre hanno votato contro e in 5 si sono astenuti), al Senato la situazione è ancora piu' delicata: sul Mes due senatori (Mattia Crucioli e Bianca Laura Granato) hanno votato contro mentre in nove non hanno partecipato al voto, di cui 4 erano assenti giustificati mentre Nicola Morra, Laura Angrisani, Rosa Abate, Margherita Corrado, Fabrizio Trentacoste l’hanno invece scelto.
Dl ristori si incaglia al Senato, approvazione sul filo
Il decreto ristori all'esame del Senato si è incagliato per una partita tutta politica che si gioca su un altro tavolo, quello del decreto Natale. Il provvedimento rischia così di arrivare in Aula lunedì senza mandato al relatore, quindi senza alcuna modifica parlamentare, nonostante la dote di 600 milioni a disposizione dei senatori per correggere il tiro o aggiungere novità ai quattro provvedimenti del Governo. L'opposizione ha infatti deciso di fare apertamente ostruzionismo, pretendendo l'illustrazione di ogni singolo emendamento (4.000 in tutto), per cercare di ottenere risultati sul decreto in tema di spostamenti natalizi. Il dl è incardinato alla Camera, ma anche al Senato i capogruppo di Lega, FI e Fratelli d'Italia chiedono un allentamento delle restrizioni soprattutto tra Comuni limitrofi. La decisione della presidente del Senato Elisabetta Casellati di calendarizzare in Aula il 16 dicembre la mozione sottoscritta dall'opposizione potrebbe aver sbloccato la situazione, ma un giorno è stato comunque perso e il tempo per l'approvazione del decreto stringe; il provvedimento, che scade il 27 dicembre, è atteso all'esame dell'Assemblea di Palazzo Madama lunedì 14.
Uno slittamento “è escluso nella maniera più assoluta”, ha spiegato la sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra perché non ci sarebbero i tempi per il passaggio successivo alla Camera dove si sta contemporaneamente lavorando sulla manovra. Se un accordo non si trovasse nemmeno dopo lo spiraglio aperto dalla Casellati, si perderebbero però per strada le modifiche migliorative di cui i gruppi avevano discusso finora: dalla decontribuzione dell'apprendistato al finanziamento delle Rsa, dallo sconto sulle bollette elettriche delle imprese alle agevolazioni ai proprietari disposti a calmierare i canoni di affitto. La questione della proroga del blocco degli sfratti, in fase di valutazione, potrebbe invece migrare nella legge di bilancio, dove già esistono emendamenti simili. Nella manovra l'attenzione si sta al momento catalizzando su alcuni maxi-temi, dall'auto, per cui si ipotizza una proroga degli incentivi, al turismo e in particolare allo sci, fino ai trasporti, e su misure ad hoc per i territori colpiti dal terremoto. In questo caso le risorse a disposizione del Parlamento ammontano a 800 milioni, ma non sarebbe archiviata l'idea di utilizzare il fondo anti-Covid da 3,8 miliardi, o almeno una parte, per nuovi interventi.