FdI supera la Lega nei sondaggi. È testa a testa fra Salvini e Meloni
Per ora sono solo decimali, ma per la prima volta segnano il sorpasso di Fratelli d'Italia sulla Lega (ora al 20,5% contro il 20,1) e quello del Pd che diventa il primo partito nelle intenzioni di voto a quota 20,8%. È la fotografia di come lentamente stiano cambiando gli equilibri nei partiti, secondo un sondaggio di Ipsos. Ma non è l'unico: una rilevazione di Demos attesta l'ascesa di Giorgia Meloni come leader preferita del centrodestra, anche fra gli elettori dei tre alleati. Il 32% preferirebbe lei alla guida della coalizione alle prossime elezioni, staccata di 8 punti da Matteo Salvini e lasciando invece al 6% Silvio Berlusconi. Cifre ancora troppo risicate per indicare una svolta, ma segno che basta poco per alterare la geografia politica italiana, tant’è che un sondaggio di Swg sugli orientamenti di voto ha indicato la Lega in testa al 20,9% seguita da FdI al 20,4% e riporta il Pd al terzo posto con il 19%. Di fronte alle novità, i protagonisti fingono fair play ma continuano a darsi battaglia.
Berlusconi lancia il partito unico del centrodestra. No categorico di Salvini
Silvio Berlusconi rilancia il partito unico e chiama a raccolta anche Giorgia Meloni. Il leader di Forza Italia rispolvera un suo vecchio cavallo di battaglia, un contenitore che unisca i vari partiti del centrodestra e prenda come modello il partito laburista inglese o i repubblicani americani. Insomma l'ex premier va oltre la federazione di Matteo Salvini, un’unione che invece farebbe sedere attorno a un tavolo solo le anime che si sono votate a sostegno del governo di Mario Draghi. Il leader leghista dice no: “Nessuno parla di partiti unici. Un conto è federare un conto è mischiare partiti dalla sera alla mattina. Gli italiani non chiedono giochini politici ma fatti. Fondare nuovi partiti credo che non interessi a nessuno”. Berlusconi non ha lanciato, certo, un prendere o lasciare, ha preferito spostare la discussione sulle opportunità di rilancio di una fetta della coalizione ancora decisiva per il centrodestra che deve, in ogni caso, deve trovare una via di fuga per evitare di essere schiacciata dal dualismo tra Lega e Fdi. Il Cavaliere è consapevole di dover abbattere le resistenze di Giorgia Meloni, da sempre contraria.
Dopo la federazione, Meloni e Salvini divisi anche sul voto anticipato
Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono divisi non solo sul governo Draghi ma anche sulla durata della legislatura. I due leader si trovano d'accordo nel bocciare il partito unico del centrodestra, restano distanti sulla federazione, ma ora si spaccano anche sull'ipotesi di elezioni anticipate dopo l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Dal canto suo Giorgia Meloni ribadisce la richiesta che la stagione di questo Governo volga al termine e che l'ultimo compito di queste camere sia quello di eleggere il successore di Sergio Mattarella: dopo quel voto, in programma il prossimo febbraio, ci sono solo le elezioni anticipate “Siamo una Repubblica parlamentare e le grandi scelte le fa il Parlamento, che non può continuare a essere dominato da M5S e Pd, partiti che non rappresentano affatto la maggioranza del Paese”. Insomma, per FdI solo un nuovo Parlamento potrà mettere mano a quelle riforme strutturali, fisco, giustizia e PA che inevitabilmente dovranno accompagnare l'implementazione del Recovery Plan. Di parere opposto Matteo Salvini che proprio, dopo un confronto di un'ora con Mario Draghi, ha dichiarato di essere con lui “in sintonia su tutto”; anche sul fronte delle riforme, il segretario federale, ha espresso il suo ottimismo, arrivando ad auspicare una sorta di cabina di regia con gli altri leader della maggioranza pur di portarle a termine con successo.
Mattarella rilancia sulla necessità di una soluzione dell’emergenza immigrazione
La soluzione all'emergenza immigrazione non sta solo nelle politiche securitarie ma anche nel creare le condizioni di sviluppo adeguate in Africa. Il presidente Sergio Mattarella, mentre il tema flussi torna d’attualità, allarga il raggio dell’azione che l'Italia, ma soprattutto l'Europa, sono chiamate ad affrontare. Lo fa nel corso del bilaterale con Kais Saied, presidente di una Tunisia con la quale l'Italia ha accelerato le interlocuzioni per frenare gli sbarchi. Ma il nodo, per il governo e per il premier Mario Draghi, comunque resta. In vista del Consiglio Ue del 24-25 giugno la partita è tutta in salita: “Sul meccanismo temporaneo dei ricollocamenti c’è un sostanziale stallo”, raccontavano nelle scorse ore fonti europee. Il presidente tunisino ha incontrato Mattarella al Quirinale, presenti anche i ministri Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese, prima di recarsi a Palazzo Chigi. E subito si mostra concorde con la strategia indicata dal capo dello Stato per una soluzione di lungo periodo da radicare negli stessi Paesi d'origine, quella che, negli ultimi mesi, convince sempre più anche l'Europa.
Draghi punta a sbloccare i troppi decreti attuativi bloccati
Un’efficace azione del Governo passa anche per l'attuazione del programma ma sono troppi i decreti attuativi ancora da varare: se ne sono accumulati circa 600 tra vecchia e nuova legislatura, 51 sono oramai obsoleti e andranno cancellati. Non solo, ma a causa dei ritardi, resta bloccata parte dei fondi per l'emergenza di agosto dello scorso anno e oltre tre miliardi e mezzo dell'ultima legge di bilancio. Il premier Mario Draghi ha deciso di imprimere un’accelerazione affidando al sottosegretario Roberto Garofoli la regia di un nuovo cronoprogramma e un nuovo metodo di lavoro. A essere chiamato in causa per i ritardi è, prima di tutto, il ministero dell'Economia, cui spetta intervenire “su circa il 70% dello stock dei provvedimenti attuativi”, seguito da Mims, Mise e dal ministero della Transizione ecologica. Proprio la fase di concertazione con il Mef rappresenta una delle principali “criticità procedimentali” individuate dai capi di gabinetto di tutti i dicasteri nell'attuazione delle norme, si legge nella relazione illustrata all'ultimo Cdm. Per superare questa impasse il Governo punta su delle task force in ogni ministero.
Nel Governo è tensione sullo stato d’emergenza. Draghi punta al 31 dicembre
La proroga dello Stato di emergenza, che scade il 31 luglio, è sul tavolo di palazzo Chigi, che la sta vagliando con attenzione. Anche se non è stato ancora deciso nulla, il premier Mario Draghi sarebbe intenzionato ad allungare la misura fino al 31 dicembre per non vanificare alcuni meccanismi di contrasto alla pandemia, primo fra tutti il lavoro della struttura commissariale del generale Francesco Figliuolo e l'esistenza del Cts. In ballo ancora un piano vaccini che potrebbe subire dei ritardi: l'approvvigionamento da rimodulare, le terze dosi da organizzare e soprattutto quella fase due che vedrebbe l'uscita di scena degli hub a favore di un sistema delocalizzato meritano un controllo capillare per non rischiare di vanificare il percorso fatto con la campagna affidata alle mani del generale. Senza contare che l’Italia, è il ragionamento, ancora non è uscita completamente dalla pandemia nonostante i buoni risultati ottenuti: quello che non vuole Mario Draghi è uscire dall'emergenza per poi rientrarvi in autunno, insomma, per lui il rischio “deve essere sempre ragionato” e non ci si possono permettere proprio ora passi falsi. Inoltre senza lo Stato di emergenza verrebbe meno la possibilità per le imprese di utilizzare lo smartworking e anche la Dad nelle scuole in caso di quarantena. Per ora si è aperta una riflessione ma all'interno dell'esecutivo sono già emersi dei distinguo.
Draghi firma il dpcm: via libera al green pass per viaggi ed eventi
Il Governo dà il via libera al green pass italiano che dal primo luglio andrà a integrarsi con il Digital green certificate europeo: il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il Dpcm che definisce le modalità di rilascio, gli ambiti di utilizzo e i soggetti che dovranno verificare la validità dei certificati che consentiranno da un lato di spostarsi nei paesi Ue e nelle zone rosse e arancioni nel nostro Paese e dall'altro di accedere agli eventi in cui è prevista la presenza di più persone. La Certificazione verde Covid 19, così si chiama il pass italiano, rappresenta dunque un ulteriore step di quel cronoprogramma definito da Draghi a partire dalle aperture del 26 aprile per un ritorno graduale alla normalità. Arriva nel giorno in cui il Centro europeo per la prevenzione e il controllo sulle malattie (Ecdc) aggiorna le raccomandazioni approvate dal Consiglio Ue alla luce del miglioramento generale della situazione nei diversi Paesi: niente test e quarantena per chi viaggia in aereo in Europa dopo le due dosi di vaccino o se si è avuto il Covid negli ultimi sei mesi, mantenendo però il distanziamento di almeno un metro e, soprattutto, le mascherine in tutte le fasi del trasferimento.
Conte esordisce da leader in pectore. Intanto l’asse M5S e Pd non decolla
Dopo mesi di attesa, Giuseppe Conte indossa gli abiti del leader per la sua prima uscita pubblica come leader in pectore del M5S. Sceglie Napoli unica grande città al voto in cui è stato costruito un asse con il Pd. Al suo fianco Luigi Di Maio e Roberto Fico, due pretoriani dell'universo pentastellato, che formano un cordone politico attorno al futuro capo politico ancora alle prese con un processo di rifondazione. Primo fra tutti quello del terzo mandato, ma stavolta Conte risponde in maniera ruvida: “Deciderò io quando sarà il momento di parlarne”, anche se poi ammorbidisce i toni: “Si deciderà tutti insieme con la comunità del Movimento”. L'altro problema che l'ex premier dovrà fronteggiare è l’alleanza con il Pd: a Napoli ha toccato con mano il dissenso di un pezzo di base che proprio non riesce a digerire il posizionamento nel campo progressista. La costruzione di quest’asse resta comunque difficile, tant'è che lo stesso Conte ammette: “Laddove non è possibile stringere l'alleanza, non mi straccio le vesti”. Saltate Milano, Bologna, Torino e Roma, la strada resta aperta solo per le regionali in Calabria, ma è in salita anche se l'ex premier non perde la speranza: “"Ci sono le condizioni per un patto, per mettersi attorno a un tavolo, a partire dal M5S, con tutte le forze politiche di sinistra che vogliono condividere questa responsabilità”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, il consenso della Lega di Matteo Salvini registra un’ulteriore frenata e si attesta al 20,9%. Discorso diverso per il Movimento 5 Stelle. Il consenso del partito guidato da Giuseppe Conte torna a guadagnare qualche decimale (16,2%). La Lega resta il primo partito del Paese con una distanza dal secondo (FdI) di 0,5 punti, mentre il gap rispetto al PD si attesta a 1,9 punti.
Nell’area delle sinistre, i Verdi rimangono stabili (1,9%) mentre Sinistra Italiana e MDP Articolo Uno si attestano rispettivamente al 2,3% e al 2,3%. Nell’area centrista, +Europa rimane al 2%, così come Italia Viva (2%) e Azione che si attesta al 3,4%. Non fa registrare grosse variazioni nemmeno il Partito Democratico che si ferma al 19%. Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia cresce fino al 20,4% mentre Forza Italia rimane bloccata al 6,8%. Coraggio Italia, il nuovo partito di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, si attesta all’1,2%.
Negli ultimi sondaggi, i partiti che appoggiano il Governo Draghi raccolgono il 75,7% nelle intenzioni di voto, mentre il centrosinistra formato da PD, M5S e MDP raggiunge il 37,5%. La coalizione del centrodestra unito, invece, il 49,3%, mentre il rassemblement dei partiti di centro (Azione, IV e +Europa) si attesta al 7,4% dei consensi.