Manca ormai poco all’election day
Dopo i rinvii a causa dell’emergenza Covid-19 domenica 20 e lunedì 21 settembre (rispettivamente dalle 7.00 alle 23.00 e dalle 7.00 alle 15.00) gli italiani torneranno al voto. Un appuntamento che sarà utile per osservare la tenuta delle regole di contenimento della pandemia, ma soprattutto un voto che avrà delle conseguenze, forse molto rilevanti, sulla politica nazionale. In quei giorni, infatti, si terranno le elezioni regionali, amministrative, suppletive e il referendum costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari. Le regioni che si recheranno alle urne sono sette: Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto. I capoluoghi di provincia saranno quindici: Andria, Arezzo, Aosta, Bolzano, Chieti, Crotone, Fermo, Lecco, Macerata, Mantova, Matera, Reggio Calabria, Trani, Trento e Venezia. Le elezioni suppletive interessano invece due collegi del Senato: il numero 3 della Sardegna e il 9 del Veneto, rimasti vacanti a seguito dei decessi della senatrice Vittoria Bogo Deledda del M5S e del senatore Stefano Bertacco di FdI.
Il centrodestra tenta la spallata in Toscana. Il centrosinistra è preoccupato
“Non giochiamo con il fuoco”. Nicola Zingaretti è a Pisa e sa di giocarsi la partita delle partite: se anche la Toscana andasse al centrodestra a rischiare non sarebbe solo il segretario del Pd ma anche l'intero Governo. Il leader dem batte a tappeto la regione e rivolge un nuovo appello agli elettori M5S: “È tempo che il popolo si riunisca attorno a candidature che possano vincere. Non basta testimoniare le proprie idee e farle perdere. Non chiedo di tradire le identità, ma per farle contare bisogna vincere. Qui in Toscana è Eugenio Giani in grado di fermare boia chi molla”, scandisce. Oggi a Firenze ci sarà il centrodestra unito, impegnato fino all'ultimo a tentare di conquistare la regione così da dare la spallata definitiva a Giuseppe Conte. Susanna Ceccardi e Matteo Salvini da giorni sono sul territorio e sognano di confezionare “l'avviso di sfratto” per l'inquilino di palazzo Chigi. Il centrosinistra rischia molto anche in Puglia. Della vittoria è sicuro Silvio Berlusconi, che interviene a sorpresa al telefono a una manifestazione a Bari: “Il premio per le fatiche fatte lo avrete lunedì, quando finalmente Raffaele Fitto tornerà a governare la Puglia”. Anche in questo caso, come nelle Marche, il mancato accordo con il M5S pesa e non poco e se i Dem attaccano, Luigi Di Maio si difende: “Se vuoi provare a creare una sinergia con l'alleato di governo a livello regionale, non ti riduci alle ultime due settimane”.
Il M5S punta tutto sul referendum e sui risultati in Campania e Puglia
Il rush finale per il SI ricompatta il M5S. È Luigi Di Maio, mai come in queste ore, a portare sulle spalle la battaglia del referendum chiamando sul palco di Piazza Carità nel cuore di Napoli tutti i big del Movimento. Ci sono i pasionari della prima ora come Paola Taverna, ministri come Stefano Patuanelli e Alfonso Bonafede, a sorpresa anche il presidente della Camera Roberto Fico. “Il SI unisce tutti gli elettori italiani, è una prova di maturità”, è l'ultimo appello di Di Maio, accorato perché, nel Movimento, le certezze della vittoria del SI non sono solidissime anche se rafforzate dagli ultimi sondaggi. Il fronte del NO è cresciuto e, in tutta la maggioranza, aumenta il timore dello tsunami del centrodestra alle Regionali. Anche per questo, per ora, il M5S si gioca il tutto per tutto su due fronti: la vittoria del SI al taglio dei parlamentari e percentuali ben oltre la doppia cifra in Campania e in Puglia, dove gli ultimi sondaggi sembrano dare spazio a un cauto ottimismo.
Referendum, da Giorgetti a Gori, i partiti fanno i conti con i voti ribelli
Manca davvero poco al referendum sul taglio dei parlamentari, primo, vero test nazionale per la politica nell'era Covid, ma nelle segreterie si fa già la conta di quelli che nel segreto dell'urna non rispetteranno la linea, i cosiddetti “voti ribelli”. I casi più clamorosi riguardano la Lega dove Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana hanno detto di votare no, nonostante il leader Matteo Salvini si sia schierato apertamente per il SI. Anche il Pd ha i suoi bei grattacapi: la Direzione nazionale ha votato a larga maggioranza la relazione del segretario, che include il voto favorevole al taglio degli eletti, ma una buona fetta di parlamentari hanno già annunciato che non seguiranno l'indicazione nazionale. Matteo Orfini, ad esempio, ma anche molti della sua area, a partire dalla deputata Chiara Gribaudo, che ha deciso di aderire al comitato Democratici per il No, di cui fa parte a pieno titolo il senatore Tommaso Nannicini. Ma nel Pd contrari alla riforma sono molti, tra cui spiccano Franco Mirabelli, Luigi Zanda, Gianni Pittella, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Per non parlare poi dei padri nobili del partito, Romano Prodi, ma soprattutto Walter Veltroni.
Grillo prova a placare animi nel M5S ma è scontro totale sulla governance
Beppe Grillo prova a stemperare la tensione interna al M5S: “I cittadini devono poter andare avanti potendo dire la loro con dei sistemi tecnologici che noi per primi al mondo abbiamo fatto. E non è una difesa di Rousseau, è una difesa di una tecnologia che abbiamo fatto noi”. Beppe Grillo prova a gettare acqua su un fuoco ormai divampato, dopo che Davide Casaleggio ha denunciato la morosità di tanti parlamentari M5S verso Rousseau, annunciando la riduzione dei servizi prestati dall'associazione. Ma che l'invito alla tregua possa sortire qualche effetto, ci credono in pochi perché lo scontro sul modello di governance e sulla leadership ormai è senza esclusione di colpi: i parlamentari, in larga parte insofferenti al ruolo di Casaleggio e di Rousseau non pagano la quota alla piattaforma, Casaleggio lo rende noto e invoca “giustizia ed equità” per le gravi inadempienze. E tutto questo, lamenta l’ala governativa del M5S, “senza preoccuparsi delle possibili ripercussioni di una simile uscita a meno di una settimana dal referendum simbolo sul taglio dei parlamentari”. È in questo quadro che il M5S dovrà nelle prossime settimane convocare gli Stati Generali e sciogliere il nodo leadership. Luigi Di Maio sta puntando tutto sul referendum per rafforzarsi e far virare la governance Cinque Stelle verso il modello collegiale.
Sul decreto agosto ci saranno 250 milioni per gli interventi dei parlamentari
Entrerà nel vivo solo a partire dalla prossima settimana l'esame al Senato del cosiddetto decreto agosto, l'ultimo provvedimento urgente varato dal Governo in estate per fare fronte agli effetti economici dell’emergenza da Covid-19. I senatori hanno depositato in commissione Bilancio oltre 2.600 emendamenti, ma entro martedì i gruppi parlamentari dovrebbero segnalarne circa 470. I margini per le modifiche non sono molto ampi, visto che a fronte dei 25 miliardi di deficit aggiuntivi per finanziarlo, a disposizione dei parlamentari restano circa 250 milioni. In attesa di capire su quali capitoli i partiti chiederanno di concentrare i ritocchi, il Governo ha depositato un suo emendamento con il quale chiede di inserire nel provvedimento alcune parti aggiornate di altri tre decreti varati durante l'estate, a partire dalle norme per consentire ai genitori di rimanere in smart working in caso di figli in quarantena per contagio da Covid o di casi verificatisi a scuola; entreranno nel decreto agosto anche alcune modifiche al decreto elezioni, le misure per il regolare avvio dell'anno scolastico e quelle per Lampedusa.
Conte rilancia il ruolo del Parlamento sul Recovery plan
L'invio delle linee guida del Recovery plan alle Camere, a pochi giorni dal voto, è un ulteriore segnale che Giuseppe Conte punta tutto sul piano di riforme per rilanciare il Paese con il supporto della Ue. Il premier non ha in programma appuntamenti da campagna elettorale riguardante le Regionali, si tiene fuori dalla contesa. È dunque concentrato su quella che considera “un'occasione storica”, ha dato la sua disponibilità a riferire a Montecitorio e a palazzo Madama, mentre le forze parlamentari, soprattutto di maggioranza, chiedono di avere voce in capitolo sui progetti. L'apertura del presidente del Consiglio sarebbe nel merito e nel metodo: le linee guida non sono modificabili, ma i Gruppi si pronunceranno con delle risoluzioni, dando suggerimenti e direttive. Ci sono margini d'azione, quindi, per il Parlamento, anche perché il Recovery plan non sarà agganciato alla Nadef. I tempi saranno più lunghi; fino a metà ottobre, quando entrerà nel vivo l'interlocuzione con la Ue, ci sarà spazio per un dibattito. Ma le incognite sono tante, legate soprattutto a quello che succederà il 21 settembre.
Sul Recovery plan, il Governo punta a evitare la frammentazione dei progetti
Nei criteri di valutazione dei progetti ammissibili al finanziamento europeo tramite Recovery fund dettagliati nelle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza si legge chiaramente che “il processo di selezione delineato intende evitare una frammentazione del Piano in progetti isolati e non coerenti fra di loro, non collocati all'interno di strategie intersettoriali e che non sfruttino le economie di scala e di scopo, necessarie per un impatto significativo sugli obiettivi prefissati nel piano stesso. Inoltre si vuole evitare l'introduzione di progetti non in linea con gli obiettivi generali o difficili da valutare e monitorare, che potrebbero non ottenere l'approvazione in sede europea. È altresì necessario non disperdere risorse su progetti che presentino un rilevante rischio di mancato raggiungimento dei milestones. Sono ancor più da scartare progetti che abbiano già incontrato significativi problemi progettuali o di attuazione”. Le linee guida trasmesse al Parlamento comprendono le slides già diffuse la scorsa settimana e il documento di 38 pagine approvati dal Comitato Interministeriale per gli Affari europei; saranno seguite, come indicato dal Ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, da un Piano più dettagliato per accedere ai fondi previsti dal Recovery Fund che sarà pronto il 15 ottobre, preceduto dalla Nadef che incorporerà gli impatti degli interventi.
Riparte la scuola: per il Governo lo sforzo è stato imponente
136 milioni di mascherine, 445mila litri di gel igienizzante, 200mila banchi: ecco i numeri del primo giorno di scuola. Li divulga il Governo, a testimoniare lo “sforzo imponente” compiuto per garantire “condizioni di sicurezza per tutti gli studenti”. Il premier Giuseppe Conte traccia subito un primo bilancio in una riunione a Palazzo Chigi con i ministri Roberto Speranza, Paola De Micheli, Lucia Azzolina e Francesco Boccia, ma anche il commissario Domenico Arcuri e il capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Il premier rivendica soddisfazione per una ripartenza “ordinata, nel rispetto delle regole sanitarie”. Ma i “nodi” non vengono negati: la riunione inaugura un Gruppo permanente di coordinamento per risolvere in tempo reale i problemi sul fronte scolastico, come già fatto nella fase del lockdown per gestire i rapporti con le Regioni. Per dare risposte alle famiglie e al personale della scuola. Dal territorio arriva richiesta di banchi e sedie: alcune Regioni hanno chiesto la sostituzione del 70%. “In dieci giorni sono stati messi a disposizione 200 mila banchi, pari alla stessa quantità che ordinariamente viene prodotta in Italia in un anno intero. Entro fine ottobre saranno distribuiti 2 milioni di banchi monoposto e 400 mila sedute innovative”.