È disgelo tra Meloni e Macron. L’interesse nazionale prevale

Martedì all'Eliseo c’è stato il faccia a faccia tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni. L'incontro, durato un’ora e quaranta, mostra con chiarezza quanto ci fosse da discutere tra i leader di Francia e Italia dopo le tensioni degli scorsi mesi che hanno richiesto una lunga preparazione diplomatica oltre che l'intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “L'incontro è andato bene” e “mi sembra che ci siano importanti punti di convergenza”; la volontà è quella di lavorare insieme”, fa sapere l'Eliseo. “Le relazioni personali tra me e Macron tutte le volte che ci siamo incontrati sono state sui contenuti”, precisa la Meloni, aggiungendo che “non leggerei la politica estera come se fosse una relazione tra ragazzini che litigano e fanno pace, sono gli interessi delle nazioni che vengono prima di tutto e mi pare che ci siano diversi punti di interesse comune tra Italia e Francia”. 

Tra i dossier su cui collaborare Meloni ha messo naturalmente come prioritaria la questione dei migranti, anche in vista del Consiglio Ue di fine mese: la Premier auspica che da Bruxelles arrivino “passi avanti concreti rispetto a una visione che abbiamo già messo nero su bianco, cioè la difesa della dimensione esterna”. Su questo la premier trova il sostegno di Parigi: “Vogliamo rafforzare il controllo delle frontiere esterne di cui fa parte anche l'Italia come Paese di primo accesso, trovare l'equilibrio giusto di solidarietà e responsabilità di tutti i Paesi”, assicura l'inquilino dell'Eliseo. Sulla riforma del Patto di stabilità Macron non si sofferma, ma la posizione francese è abbastanza vicina a quella italiana. Per la Premier “Non possiamo consentire” che nel nuovo Patto di stabilità “tornino parametri oggi inadeguati, la grande sfida della nuova governance deve essere incentrata soprattutto sugli investimenti. Gli investimenti sulle materie strategiche, transizione verde e digitale, difesa e sostegno all'Ucraina, non possono essere considerati come tutti gli altri. Su questo siamo d'accordo”. Piena condivisione di vedute, infine, sul sostegno “fino a quando ce ne sarà bisogno” all'Ucraina. Nell'incontro non si è parlato di dossier come la Tav, né degli interessi italiani di Vivendi, ma in futuro “potrà capitare l'occasione”. 

Passano le mozioni sul Pnrr. Fitto rassicura, Schlein attacca

Alla Camera passa la mozione di maggioranza sul Pnrr, ma le opposizioni ottengono il parere favorevole dal Governo e poi il voto sui loro testi solo sul punto relativo all'esclusione dell'uso dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per armamenti e munizioni. Anche al Senato va in scena un copione analogo.  A Montecitorio il dibattito è acceso. Il Ministro per gli Affari europei e il Pnrr Raffaele Fitto segnala che “questo Governo in due mesi ha raggiunto i 30 obiettivi mancanti, oltre ai 25 già raggiunti precedentemente. Si è poi aperto un confronto con la Commissione Ue, che io ritengo si chiuderà nelle prossime ore positivamente, e lo abbiamo fatto con uno spirito costruttivo, per cui vedo difficile che si possano individuare responsabilità o ritardi da parte di questo Governo” e aggiunge: “Il Governo Meloni non ha alcuna intenzione di utilizzare i fondi del Pnrr per interventi che possano finanziare le armi. Lo ha abbiamo già ribadito in tutte le occasioni”.

 In Aula prende, quindi, la parola la segretaria del Pd Elly Schlein che attacca: “Sono passati mesi, rischiamo di perdere miliardi e ancora non ci avete spiegato quali siano le modifiche che volete fare a questo piano. Ditelo all'Italia se non lo volete dire a noi in quest'Aula”. Secca la replica del capogruppo a Montecitorio di FdI Tommaso Foti: “Anziché preoccuparsi di criticare il Governo e sperare che gli obiettivi del Pnrr non siano raggiunti tifando contro l'Italia, meglio farebbe Schlein a preoccuparsi delle dure critiche che una parte significativa dei dirigenti del Pd le rivolge”. Per il capogruppo del M5S Francesco Silvestri “Quello che si sta facendo sul Pnrr sta trasformando il sogno di un intero Paese in un incubo”. Non finisce qui, perché a un certo punto i Cinquestelle abbandonano l'Aula per protesta, dopo le sospensioni da 10 a 15 giorni e il richiamo scritto arrivati all'indirizzo dei deputati del Movimento che il 30 maggio scorso occuparono la Giunta per le elezioni. 

Il Senato commemora Silvio Berlusconi. Il M5S sceglie il silenzio

Il Senato ricorda per l'ultima volta il senatore Silvio Berlusconi ma l'abbraccio non è completo. In aula, a segnare la distanza dal Cavaliere è il movimento di Giuseppe Conte che resta in silenzio, muto e fermo. Nessun senatore del M5S applaude per tutta la cerimonia, lunga un'ora e mezza, e nessuno interviene. Scelta di coerenza perché “nei giorni scorsi abbiamo già espresso la nostra opinione riguardo alla storia politica di Berlusconi e su questo non abbiamo cambiato idea”. Resta il rispetto per la famiglia dell'ex premier ma “senza ipocrisia”. A parte il M5S, il ricordo del fondatore di Fi scorre con vicinanza, commozione e parole di rispetto; tra le più sentite quelle di Licia Ronzulli. Orgoglioso dell'amicizia con Berlusconi da cui lo divideva solo la fede interista, il presidente del Senato Ignazio La Russa apre così il ricordo: “Berlusconi non c'è più o forse in qualche modo c'è più di prima”, quindi invita a mettere “per un attimo nell'angolo odiatori impenitenti” e far emergere “il giudizio sulla unicità dell'uomo”. 

Alla commemorazione partecipa anche gran parte del Governo: dal vicepremier Antonio Tajani, che di Berlusconi è stato fedelissimo ed è destinato a prendere le redini di Fi fino al prossimo congresso, all'altro vicepremier Matteo Salvini: da milanista, il leghista omaggia l'alleato con una pochette rossonera nel taschino, ammette che mancheranno “il genio, la guida, i consigli, il sorriso e i rimproveri”, ma guarda avanti: “Il nostro dovere è portare avanti la sua straordinaria eredità di valori”. Nega invece che possa esserci un erede del Cavaliere Matteo Renzi: “Togliamoci dalla testa che qualcuno possa raccoglierne l'eredità politica”; unico consiglio che dà a Giorgia Meloni e Salvini è di ricordarsi che nel 1998 “Berlusconi scelse la strada del popolarismo europeo”, perché “l'esperienza della destra in questo Paese ha un senso se è collocata in una grande famiglia europea”. Dal Pd un omaggio rispettoso nonostante la distanza politica: il capogruppo Francesco Boccia ribadisce che “Da avversari tributiamo l'ultimo saluto politico all'uomo che ci ha lasciato. Lo facciamo con rispetto, ma anche con la considerazione che l'idea di società che vogliamo è molto diversa dalla sua”. 

Al Senato la maggioranza va sotto sul decreto lavoro

Approvato simbolicamente dal Cdm il primo maggio, il decreto lavoro ha rischiato di impantanarsi in Senato dopo che la maggioranza è stata battuta in commissione Bilancio. FdI, FI e Lega vanno sotto sul parere del Mef al pacchetto di 12 emendamenti presentati in Aula dalla relatrice Paola Mancini (FdI). Si consuma così un “dramma parlamentare” concluso con un braccio di ferro tra maggioranza e opposizione. Il centrodestra alla fine si ricompone ed esulta nonostante un’insolita compattezza delle opposizioni. La discussione generale in mattinata fila liscia, una pausa di mezz'ora per permettere poi alla Commissione di votare gli ultimi emendamenti presentati: finisce però in pareggio, 10 a 10 e la maggioranza va sotto, un epilogo a sorpresa perché sono mancati i voti di FI e i senatori di Az-Iv, che finora si erano astenuti, realizzando di essere l'ago della bilancia votando assieme ai partiti di opposizione. Ufficialmente i senatori azzurri, Claudio Lotito e Dario Damiani, si sono attardati per i festeggiamenti di compleanno di quest'ultimo ma c'è chi assicura che il patron della Lazio arrivando in ritardo in Commissione avrebbe buttato lì: “questo è solo l'antipasto”. In un clima di disaccordo generale viene convocata, su richiesta delle opposizioni, una capigruppo, dove il presidente Ignazio La Russa dà una tirata di orecchie alla sua maggioranza, poi tutto ritorna nei ranghi e il provvedimento viene approvato e ora è già in discussione alla Camera.

Tensione nel Governo sul Mes. Meloni rinvia il Cdm

È alta tensione nel centrodestra e nel Governo, tra il Mes in Commissione alla Camera e il caso Santanchè, il tutto condito dal rinvio a martedì del Cdm previsto per giovedì pomeriggio. La giornata della premier è iniziata con un colloquio con il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, con cui ha discusso delle prospettive economiche e dello scenario generale dei tassi d’interesse. Proprio nelle stesse ore la commissione Esteri di Montecitorio adottava il testo base del ddl di ratifica del Mes. A favore hanno votato le opposizioni, mentre il centrodestra non ha partecipato. “Tutto il centrodestra, da Meloni al sottoscritto” ha ribadito Matteo Salvini“ha sempre ritenuto che in questo momento il Mes non è strumento utile per il Paese. Sul Mes decide il Parlamento: se arriverà la discussione in Parlamento, lì si voterà”. 

Duro l'attacco di Elly Schlein: “I partiti di maggioranza sono talmente divisi che non si sono presentati a votare sul Mes, non si era mai visto”. Ora il provvedimento passerà al vaglio per i pareri delle altre Commissioni prima di approdare in Aula il 30 giugno, un appuntamento, con la Meloni che sarà a Bruxelles per il Consiglio Ue, che si preannuncia come un passaggio pericoloso per la maggioranza e che si sta cercando di sminare con contatti sull'asse Camera-Palazzo Chigi. In questo contesto, nel primo pomeriggio è arrivata la notizia del rinvio del Cdm. Il Ministro Nello Musumeci parla di armonia però qualche problema ci sarebbe stato, in particolare con Matteo Salvini, ancora sulla nomina del commissario per la ricostruzione dell’E-R. Comunque sia, Meloni ha lasciato Palazzo Chigi subito dopo l'incontro con la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola; nel colloquio hanno avuto uno scambio di vedute sui temi al centro del prossimo Consiglio Ue ma anche sulle prospettive europee a un anno dal voto. Tra i temi sul tavolo i migranti e l'economia, in particolare le nuove regole del Patto di stabilità

Il centrodestra rilancia sul fisco amico e non vessatore

 “Con la delega fiscale vogliamo creare un fisco alleato di chi fa impresa e produce ricchezza, non un fisco nemico e quasi vessatore, questa è la nostra visione”: tocca a Giorgia Meloni, in occasione dell'assemblea dell'Ance, tentare di smorzare i toni e arrivare a un punto di convergenza sulla delicata questione del fisco, e lo fa scegliendo termini diversi da quelli usati a maggio a Catania quando parlò di “pizzo di Stato” sollevando non poche polemiche. Poche ore prima, era intervenuto anche il presidente Sergio Mattarella, che aveva dovuto sottolineare come “tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e come “il sistema tributario” sia “informato a criteri di progressività”. La precisazione del Capo dello Stato era arrivata dopo un'altra dichiarazione del Guardasigilli Carlo Nordio, che, in un convegno a Milano, a proposito del nuovo sistema sanzionatorio previsto dalla riforma tributaria aveva sottolineato la necessità di far fronte all’enorme complessità normativa; da qui, la previsione di una “giustizia preventiva” e “conciliativa”, che faccia stringere accordi “tra il cittadino e lo Stato creditore di tributi, affinché una volta trovato l'accordo su quella che è l'imposta da pagare con una bollinatura, il cittadino possa dormire sonni tranquilli”. E anche se poi il Ministro aveva assicurato che sull'evasione i suoi pensieri erano “stati alterati”, dal centrosinistra erano arrivate comunque critiche severe, come quella della segretaria Pd, Elly Schlein che lo aveva accusato di “legittimare l'evasione fiscale”. 

Tajani cerca l’unità di Forza Italia in vista delle europee e del congresso

La ricostruzione di FI dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi è iniziata. Sarà il coordinatore Antonio Tajani, che sarà designato presidente reggente, a stabilire la road map, incontrando deputati e senatori azzurri. Il 15 luglio si riunirà il Consiglio nazionale che dovrà stabilire tempi e modalità di avvicinamento al congresso; l'assise si svolgerà nel 2024, probabilmente dopo le Europee che si terranno tra il 6 e il 9 giugno. L’appuntamento elettorale è il primo traguardo politico del dopo Cav: il superamento dello sbarramento del 4% costituisce il vero obiettivo degli azzurri. Il dentro o fuori a Bruxelles stabilirà il futuro del partito anche a livello nazionale, con possibili ripercussioni anche sul Governo guidato da Giorgia Meloni. Nel giorno in cui nell'aula della Camera si svolge la commemorazione del leader di FI, dalla famiglia Berlusconi arrivano le rassicurazioni. Ci sarebbe l'ok per mantenere nel simbolo di FI il nome del Cavaliere e restano anche le garanzie economiche e le fideiussioni bancarie, anche se a controllare i conti sarà Fabio Roscioli, in passato avvocato di Berlusconi e uomo vicinissimo alla famiglia; prenderà il posto di Alfredo Messina, che diventerà membro permanente del Comitato di presidenza. Assente alla riunione dei gruppi, come pure alla celebrazione in aula, Marta Fascina: “Chissà se la vedremo mai più”, ironizza qualche parlamentare. 

Le opposizioni chiedono le dimissioni del Ministro Santanché

Bufera sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè. Dopo il servizio di Report su Rai3 di lunedì scorso dal titolo “Open to fallimento”, le opposizioni chiedono le dimissioni e ipotizzano una mozione di sfiducia nei confronti della titolare del Turismo. La diretta interessata non ci sta e annuncia querela: “I responsabili della trasmissione televisiva erano stati preventivamente invitati a evitare di diffondere notizie non veritiere, purtroppo invano. Per questi motivi ho dato mandato ai legali di fiducia per le necessarie iniziative nelle opportune sedi giudiziarie”. A suo dire, “sono state rappresentate in forma del tutto suggestiva e unilaterale per fornire una ricostruzione dei fatti che risulta radicalmente non corrispondente al vero, ispirata esclusivamente dalla finalità di screditare l'immagine e la reputazione della sottoscritta presso l'opinione pubblica”. Al centro del servizio la gestione di due aziende, Ki Group e Visibilia, con testimonianze di lavoratori e fornitori storici; serve “una risposta puntuale della ministra Santanchè. Dipendenti non pagati, Tfr non erogati e cassa integrazione usata in modo fraudolento non sono accuse che possono essere lasciate cadere nel vuoto. Aspettiamo chiarimenti”, scrive su Twitter Carlo Calenda. I gruppi di PdM5S e Avs della Camera chiedono che la Meloni “riferisca su quanto sta emergendo sulla gestione degli affari poco chiara della Ministra Santanchè” e non è escluso che possano presentare una mozione di sfiducia. 

Schlein chiarisce in Direzione: il gioco del logoramento non funzionerà

Martedì il Pd ha svolto la Direzione Generale, un momento atteso che alla fine si è concluso con l’approvazione all’unanimità della relazione della segretaria Elly Schlein. La segretaria era stata netta aprendo i lavori: “Il gioco al logoramento del segretario non funzionerà”. Le critiche per la partecipazione alla manifestazione M5S non sono piaciute alla leader Pd, come anche le polemiche delle scorse settimane: dalla sconfitta alle amministrative, al voto al Parlamento Ue su armi e Pnrr, passando per la sostituzione di Piero De Luca, fino ai sindaci a favore dell'abolizione dell'abuso d’ufficio, tutte questioni sulle quali è riemersa la tradizionale anima turbolenta delle varie correnti Pd, a cominciare dalla minoranza. Per questo la segretaria ha insistito: “L'avversario è la destra, non è il mio compagno di partito” 

Perché l'obiettivo è costruire l'opposizione alla destra, attraverso la mobilitazione e le molte iniziative che la segretaria ha messo in calendario: la manifestazione contro l'autonomia, le iniziative sul Pnrr, le battaglie per il diritto alla casa, la mobilitazione sulla sanità, la segreteria che si terrà in E-R. Un Pd di piazza. Sottotraccia le polemiche rimangono; per Lorenzo Guerini: “Possiamo confrontarci, avere opinioni diverse. Ed è bene che ce le diciamo, e non è lesa maestà dircele”. Gianni Cuperlo incalza: “Segretaria, il congresso è finito e tu hai il compito di guidare questa comunità. Tu incarni una domanda di innovazione che oggi è la tua e anche la nostra migliore risorsa. Ma attorno a quella spinta tu hai bisogno di portare tutto il partito a condividere la lotta, il linguaggio, il traguardo. Questo è il compito di chi guida”. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG il 19 giugno, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 28,9%, davanti al PD (20,5%). Pressoché stabile il Movimento 5 Stelle al 16,0%. Da sottolineare come il distacco tra FdI e la seconda forza politica nazionale (PD) sia pari a 8,4 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 3,2%, mentre Unione Popolare all’1,5%. Nell’area centrista, Azione è data al 3,7%, mentre Italia Viva al 2,9%Nella coalizione del centrodestra, la Lega sale al 9,1%, mentre Forza Italia scende al 7,2%. Italexit di Paragone, infine, è stabile al 2,2%. 

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) cresce leggermente, passando dal 44,8% della scorsa settimana al 45,2% come per il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra sale al 26,2%. Il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, sale al 6,6%. Fuori da ogni alleanza il M5S che si attesta al 16,0%.

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