Maxiemendamento del Governo alla Manovra e inizio delle votazioni in Aula
Una lunga notte di votazioni in Commissione Bilancio al Senato, poi il via libera in tarda mattinata di lunedì mattina. La manovra, dopo aver incassato il primo ok, oggi è in esame in Aula, dove sono in corso le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia posta dal Governo sul maxiemendamento, poi il voto di fiducia. Poi toccherà alla Camera, con l'approvazione definitiva attesa prima di Capodanno per scongiurare l'esercizio provvisorio e un veloce Cdm per l'approvazione delle tabelle con i saldi.
Passano tutte le maggiori modifiche presentate dai relatori e dal Governo, oltre all'emendamento unitario delle opposizioni contro la violenza sulle donne. Nulla di fatto invece per il Superbonus, anche se non si esclude un intervento col Milleproroghe o addirittura un provvedimento ad hoc. Le principali modifiche al testo vengono approvate durante la notte; cambia innanzitutto la discussa norma sulle pensioni di medici, enti locali, maestri e ufficiali giudiziari: si salvano dai tagli gli assegni di vecchiaia, mentre restano penalizzate le pensioni anticipate ma con un taglio più soft per i sanitari. Dirigenti medici e infermieri, inoltre, potranno restare al lavoro fino ai 70 anni; nella notte spunta anche la proposta di portare l'asticella a 72 anni, poi il dietrofront in extremis del Governo. I correttivi però non bastano e i sindacati sono pronti a tornare in piazza.
Per il Ponte sullo Stretto arriva la rimodulazione dei fondi. A circa 200 Comuni è concesso un po' di tempo in più per fissare le aliquote Imu. La specifica sugli affitti brevi, voluta da FI, salva una casa dall'aumento della cedolare secca al 26%. Via libera alle agevolazioni per i mutui sulla prima casa per famiglie numerose e in base all'Isee. Con emendamenti bipartisan vengono poi approvate le nuove risorse per il fondo Alzheimer, 5 milioni per borse di studio favore di giovani studenti dei paesi africani, 2 milioni per le retribuzioni del personale del Ministero degli esteri e fondi per le malattie rare e i tumori. Risorse anche per il contrasto al disagio abitativo e per il fondo vittime dell'amianto. Bocciata invece la proroga dello smart working ma passa la proposta unitaria delle opposizioni di convogliare tutti i 40 milioni del tesoretto sul contrasto alla violenza sulle donne, una mossa dal “grande significato politico”, sottolineano in una conferenza congiunta Pd, M5s, Iv, Azione, Avs e Autonomie.
Scontro sul Mes, Conte chiede il Gran giurì per la Meloni
Giuseppe Conte considera il Mes il punto debole di Giorgia Meloni e attacca, soprattutto dopo le “dolose menzogne smentite dagli Atti parlamentari”, che la premier gli ha lanciato alla Camera e al Senato la scorsa settimana. Anche per questo il leader del M5S ha chiesto formalmente a Lorenzo Fontana la nomina di un Giurì d'onore che valuti le affermazioni della presidente del Consiglio secondo cui Conte tre anni fa diede il via libera al Meccanismo europeo di stabilità “contro il parere del Parlamento, senza dirlo agli italiani”. Per il M5S si tratterebbe di un'offensiva “premeditata” quella lanciata martedì scorso alla Camera e l'indomani al Senato, dove la Meloni ha anche tirato fuori “il fax” inviato dall'allora Ministro degli Esteri Luigi Di Maio all'ambasciatore italiano a Bruxelles: se l'episodio non venisse censurato, è l'altra parte del ragionamento, si creerebbe il precedente di un presidente del Consiglio che usa la cassa di risonanza data dal suo ruolo per “bastonare” un avversario politico “anche ricorrendo a falsità”.
Per “la gravità di questa urgenza” Conte ha preannunciato la sua mossa al presidente Sergio Mattarella, prima di presentarsi in conferenza stampa spiegando la richiesta di un Giurì d'onore formalizzata poco prima a Fontana. Secondo Conte “l'asimmetria, in ordine ai poteri e alla potenzialità comunicativa, di un Presidente del Consiglio rispetto a un deputato in carica rende ancor più necessario” l'intervento di Fontana “per ristabilire e compensare le gravissime ed infondate offese”.
L’Europa trova un accordo storico sul Patto di stabilità. Italia decisiva
L'Ue è riuscita a trovare l'intesa al nuovo Patto di stabilità, arrivata in un inusuale Ecofin straordinario convocato in videocall dalla presidenza spagnola. L'Italia ha confermato quanto auspicato da Francia e Germania: il Ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, in nome, appunto dello “spirito di compromesso”, si è detto d'accordo, il passo di Roma ha chiuso, di fatto, la riunione e il nuovo Patto di stabilità è stato quindi approvato all'unanimità. “È stato trovato un compromesso di buonsenso, il Patto è migliorativo rispetto al passato”, ha sottolineato in serata la premier Giorgia Meloni non mancando di rammaricarsi per il “no” dell'Europa alla golden rule sugli investimenti. Il nuovo patto di stabilità è più complesso di quello precedente: da un lato mantiene una rigida sostenibilità fiscale, dall'altro non affoga la crescita tenendo presente investimenti, in ambiti prioritari come transizione verde e digitale, sociale e difesa, e interessi del debito, in particolare in un periodo transitorio triennale dal 2025 al 2027.
Il percorso di rientro strutturale del deficit, ovvero sotto il tetto del 3%, per i Paesi come l'Italia ha un parametro fisso, lo 0,5% annuo, ma la velocità della correzione può cambiare: un Governo, è la novità dell'ultima ora, può chiedere, se vuole, alla Commissione di concordare una traiettoria tecnica che non blocchi gli investimenti e tenga conto dell'aumento degli interessi, secondo un modello molto simile a quello usato dall'esecutivo europeo con il Pnrr. Berlino ha ottenuto un dato chiave: la cosiddetta ancora di salvaguardia che obbliga i Paesi che sono già rientrati sotto la soglia del 3% ad arrivare all'1,5% del deficit/Pil per avere un cuscinetto anticrisi. Ma, anche in questo caso, per i paesi con debito superiore al 90% del Pil c'è una exit strategy: ridurre il deficit dello 0,25% annuo su un totale di sette anni invece dello 0,4% su un totale di 4 anni. L'Italia, per dirla come Gentiloni, è stata “decisiva”. L'accordo dell'Ecofin, tuttavia, non chiude la partita. A gennaio il Pe approverà la sua posizione negoziale, poi cominceranno i triloghi tra Consiglio, Commissione ed Eurocamera. “Non c'è tempo da perdere”, ha avvertito il vicepresidente Ue Valdis Dombrovskis ribadendo la priorità di Bruxelles: chiudere sul Patto in maniera definitiva prima di aprile.
Le opposizioni attaccano sul Patto di stabilità ma per il Governo è una vittoria
Per il governo è la vittoria del “realismo”, per le opposizioni un flop clamoroso. La riforma del Patto di stabilità accende un dibattito ad alta tensione. Il punto di partenza è il compromesso votato a Bruxelles, che la premier Giorgia Meloni definisce “di buonsenso”. Secondo la presidente del Consiglio per l’Italia è “migliorativo rispetto alle condizioni del passato. Regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri, che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri”. Sulla stessa linea Giancarlo Giorgetti che aveva commentato: “Ci sono alcune cose positive e altre meno. L'Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese”. Di segno opposto, invece, l’opposizione: “Il trionfalismo con cui FdI e Lega celebrano il nuovo Patto di stabilità, deciso da Francia e Germania e ratificato dall'Italia, è imbarazzante”, attacca il dem Andrea Orlando.
Anche il giudizio del M5S è tranchant: “Ci avevano raccontato che l’Italia era tornata centrale. La verità è che con questo governo siamo oltre l’essere isolati” scrive Stefano Patuanelli. Dura anche la reazione di Avs Angelo Bonelli: “Con questo Patto di stabilità si ritorna all’austerity e si fa un grande favore alle industrie per armamenti”. Ovviamente, di tutt'altro avviso sono i partiti di maggioranza: “I fatti dicono che il Governo ha portato a termine un negoziato complicatissimo sull’Europa sulla riforma di stabilità e crescita. Abbiamo scongiurato il possibile ripristino del precedente Patto e siamo riusciti a ottenere significativi margini di flessibilità che, per la prima volta, riconoscono uno spazio importante per la componente investimenti, per la spesa primaria sostenuta da quei Paesi che come noi sono impegnati nell’attuazione del Pnrr”, commenta Licia Ronzulli.
Mattarella richiama la politica alle sue responsabilità
Sergio Mattarella riceve al Quirinale le alte cariche dello Stato per il tradizionale scambio di auguri e invita tutti a una “riflessione” per capire come, nonostante le “fragilità” del presente, si possa recuperare “un sentimento di fiducia nel futuro”. In un tempo nel quale l'aggressione della Russia in Ucraina “ha improvvisamente sgretolato” ogni certezza “nulla può essere dato per scontato”, nemmeno la pace e la democrazia. Mattarella vuole riannodare “il filo che lega eventi diversi”, perché sarebbe sbagliato tenerli separati e non mettere in conto di come, nell'insieme, ci pongano di fronte a “un tornante della storia”, a un cambiamento “che mette in discussione gli equilibri precedenti”. Ad essere “sfidato”, per l'inquilino del Colle, è “il modello culturale occidentale, e particolarmente quello europeo” e con esso i valori che rappresenta.
Una grande “sfida” arriva dal progresso scientifico e dall'intelligenza artificiale: Mattarella mette in evidenza le conseguenze che si avranno sul mercato del lavoro, ma anche quelle che riguardano l'informazione e la politica. In un momento nel quale “si allargano i divari sociali”, sta quindi “alla politica” prendere le decisioni che incidono sulla vita e sulla libertà dei cittadini. La bussola è sempre la Costituzione: dal rispetto della libertà di ciascuno, scolpito nella Carta, infatti, scandisce il Capo dello Stato, “discendono le democratiche istituzioni, l’equilibrio fra i poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento”. Da qui l’appello “alla responsabilità di tutti: ciascuno è chiamato a fare la sua parte”. La Repubblica ha superato i momenti di difficoltà, ricorda, grazie “anzitutto al senso di unità”.
A sorpresa la Camera vota e boccia il Mes, ma la maggioranza si spacca
La Camera mette fine al tormentato percorso del Mes. Dopo mesi di tensioni e rinvii a sorpresa la proposta di ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità presentata dalle opposizioni arriva al voto in Aula e viene bocciata da una parte della maggioranza che si divide, con FdI e Lega che votano contro e Forza Italia che si astiene. Ma anche l'opposizione si divide, con Pd, Iv, Azione e +Europa che votano a favore, Avs che si astiene e i 5 Stelle, come ampiamente annunciato da Giuseppe Conte, che votano contro. Tutto si consuma già di prima mattina a Montecitorio, dove ancora è in ballo un parere della commissione Bilancio senza il quale non si poteva procedere al voto in Aula. L'ordine di scuderia sembrava quello di tenere ancora sospeso il parere e rimandare a gennaio in assemblea. Ma già nella tarda serata di ieri iniziava a circolare l'intenzione della maggioranza di arrivare invece al voto.
I capigruppo di maggioranza, che si sono incontrati alle 8.30 del mattino, si presentano in commissione Bilancio con un “parere contrario” motivato con l'assenza di coinvolgimento delle Camere che perderebbero la possibilità di monitorare eventuali impatti sulla finanza pubblica (non riscontrati nel parere tecnico del Mef), che nella versione finale del parere diventano “intuibili”. Una forzatura, anche tecnicamente sbagliata, accusano Iv e Pd. Ma tant'è. Il parere contrario della Bilancio apre la porta alla bocciatura dell'Aula, che si consumerà di lì a poco grazie a una inaspettata inversione dei lavori proprio per consentire il voto sul Mes prima della pausa natalizia e prima dell'arrivo della manovra. La decisione sarebbe stata presa giorni fa e di “comune accordo” tra gli alleati. É l'esito inevitabile di posizioni sempre “coerenti”, come rivendicano anche da Fratelli d'Italia. Se i parlamentari hanno saputo all'ultimo che si votava, della decisione non sarebbe invece stato informato preventivamente il Quirinale.
Giorgetti è pronto a sostenere il no al Mes: era ora di decidere
Se si fosse voluto tenere una porta aperta sul Mes, allora sarebbe stato meglio un rinvio. Ma quando Giancarlo Giorgetti ha preso atto della decisione del suo Governo, nelle varie riunioni ai vertici dell'esecutivo avrebbe spiegato che questo era il momento più adatto per sciogliere il nodo, ora che è stato chiuso il nuovo Patto di Stabilità, senza trascinare ulteriormente la questione e rispettando la scadenza del 31 dicembre. Le novità del Meccanismo non lo hanno mai entusiasmato, ma ora ci saranno delle conseguenze per l'Italia, è l'avvertimento che comunque il Ministro dell'Economia ha condiviso con i colleghi. Non si temono reazioni negative dei mercati. Più che altro, non mantenere un impegno preso tre anni fa può avere ricadute sotto il profilo dell'affidabilità. Quindi non è il caso di farsi illusioni sulle prossime partite europee, a cominciare dalla sede dell'Authority antiriciclaggio per cui è in corsa Roma.
Negli incontri internazionali, per mesi il Ministro ha manifestato tutte le difficoltà a far convergere una maggioranza sulla ratifica. La scelta era stata devoluta al Parlamento e quindi la decisione va accettata, è la linea di Giorgetti, che è rimasto nei suoi uffici durante l'infuocata discussione a Montecitorio. Giorgetti, assicurano fonti a lui vicine, è tranquillo e pensa solo a portare all'approvazione la manovra entro la fine dell'anno. Il Ministro dell’Economia sul Mes rivendica un atteggiamento pragmatico. Nei consessi europei presto Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni ne misureranno gli effetti, a partire dall'Eurogruppo del 15 gennaio e dal Consiglio europeo del primo febbraio. Nel merito, Giorgetti è convinto che il meccanismo di salvataggio previsto dalla modifica respinta comunque non sarebbe servito al sistema bancario italiano. È vero, gli impegni presi con gli altri Stati andrebbero rispettati ma, è l'altra faccia della medaglia delle constatazioni del Ministro, certo ci sarà un motivo se Draghi in venti mesi non ha voluto procedere con la ratifica e perfino Conte, che aveva dato tre anni fa il via libera alla modifica sul Salva-banche, ora ha portato il M5S a votare contro.
In Aula alla Camera Crosetto cerca la mediazione con la Magistratura
È passato quasi un mese dall'intervista al Corriere della Sera del Ministro Guido Crosetto che ha scatenato l'ennesima polemica tra politica e magistratura. L'incontro “chiarificatore” di venerdì scorso tra il titolare della Difesa e il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia era stato il primo passo. Crosetto alla Camera nell'informativa urgente è chiaro “Mi era stato riferito che in varie riunioni ufficiali della magistratura e congressi venivano dette delle cose che dovevano sollevare preoccupazioni istituzionali, un dibattito. Il mio non è stato un attacco alla Magistratura, le mie sono state riflessioni e preoccupazioni riguardo ad alcune tendenze che vedo emergere non in modo carbonaro ma in modo molto evidente” ha ribadito per poi chiarire: “Penso sia legittimo che noi ci chiediamo e definiamo, con questo Parlamento e non con il Governo, le regole entro le quali si confrontano, interagiscono, lavorano i poteri dello Stato. La rappresentanza appartiene alla politica, non appartiene alla Magistratura e neppure all'esecutivo: per la Costituzioneappartiene al Parlamento”. Crosetto è però consapevole che lo scontro non conviene a nessuno e dunque, dopo aver parlato nell'intervista di correnti della Magistratura “in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui porta il Governo Meloni” paventando il rischio di “un'opposizione giudiziaria”, è arrivato il momento di “costruire un tavolo di pace nel quale si definiscono le regole per la convivenza nei prossimi anni”.
La Commissione affari costituzionali ha deciso sulla road map per il premierato
La maggioranza prova a tenere il passo sul premierato: dopo le ultime polemiche con le opposizioni sul ruolo del capo dello Stato innescate dalle dichiarazioni di Ignazio la Russa, la Commissione affari costituzionali di Palazzo Madama ha stabilito una road map della riforma, su cui ci sarà un primo voto procedurale il 19 gennaio, e sul quale saranno presentati gli emendamenti il 29. I tempi più dilatati consentiranno alla maggioranza di riflettere sui nodi ancora aperti. Il passo impresso alla riforma da questa decisione mira a stemperare le accese polemiche che hanno costellato il percorso del progetto e, agli occhi di FdI, ad equilibrare il percorso dell'autonomia differenziata, voluta dalla Lega, che è attesa in Aula il 16 gennaio. Ma a fare rumore sono ancora le affermazioni del Presidente del Senato secondo cui i poteri del Capo dello Stato verranno limitati con l'approvazione del premierato. Le opposizioni attaccano. Il miglior modo per sopire le polemiche, si ragiona nella maggioranza, è discutere sul merito.
Di qui la richiesta avanzata in Commissione Affari costituzionali del Senato di votare già prima di Natale l'adozione del testo base. Dopo che le opposizioni hanno chiesto tempi più ampi, il presidente e relatore Alberto Balboni ha ottenuto il consenso di tutti i gruppi su una road map dai tempi più dilatati, ma che comunque consente di segnare dei punti fermi. Il 9 gennaio ci sarà un’ulteriore tornata di audizioni, poi si aprirà la discussione generale fino al 19 gennaio, quando verrà votata l'adozione del testo base, che sarà quello del Governo. Infine, il 29 gennaio dovranno essere presentati gli emendamenti che saranno votati da febbraio. I tempi permettono un accordo visto che le critiche al ddl Casellati riguardano i punti voluti dalla Lega, come la cosiddetta norma antiribaltone, Lega che intanto ha visto il ddl sull'autonomia inserita in aula il 16 gennaio.
Conte attacca Schlein. Dal Pd: l’avversario è Meloni
A far salire la tensione tra Pd e M5S, e quindi tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, non è solo il ruolo di federatrice rilanciato da Romano Prodi per la segretaria dem ma più in generale quello di leader anti Meloni. La richiesta dell'istituzione di un giurì d'onore per le parole pronunciate in aula dalla leader FdI sul Mes rimette infatti l'ex premier al centro del dibattito e il leader M5S parallelamente punta il dito contro “l'alleata-rivale” Schlein. Lei federatrice? “Io mi auguro che lo sia, che sia una grande federatrice delle correnti del Pd. Ha proprio bisogno di fare chiarezza al proprio interno. Per quanto riguarda il Movimento non abbiamo bisogno di nessun federatore”.
Non solo l'attacco al vertice, però, Conte prende di mira il Pd su vari fronti, dalla “questione morale” al termovalorizzatore di Roma, dalla pace alla politica estera: “Dal Pd vogliamo chiarezza, se c'è possiamo ovviamente lavorare. Noi vogliamo partner affidabili. C'è ancora strada da fare, però devo dire la verità che il seme dell'alternativa di governo è stato posto col salario minimo”. Al Nazareno mettono a verbale l'esito di “una conferenza stampa fatta quasi tutta contro di noi e una piccola parte contro la premier”. La scelta è quella di non replicare direttamente, “Noi siamo impegnati a contrastare Giorgia Meloni e questo Governo, non rispondiamo agli attacchi di Giuseppe Conte”, è la linea. “Da Schlein mai sono venute parole contro le opposizioni, avendo lei la responsabilità di guidare il maggior partito di opposizione. Elly si è sempre occupata di trovare un terreno comune sui temi, come ha fatto sul salario minimo”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 18 dicembre, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si conferma il primo partito italiano, con il 28,5%, davanti al PD (19,4%). Quattro punti percentuali in più per il Movimento 5 Stelle al 16,8%. Da sottolineare come il distacco tra FdI e la seconda forza politica nazionale (PD) sia pari a 9,1 punti percentuali. Nell’area delle sinistre, la lista rosso-verde Alleanza Verdi e Sinistra è stimata al 3,4%, mentre Unione Popolare all’1,4%. Nell’area centrista, Azione è data al 3,6%, mentre Italia Viva al 3,4%. Nella coalizione del centrodestra, Lega sale al 9,4%, Forza Italia rimane stabile al 7,2%. Italexit di Paragone scende all’1,7%
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) sale al 45,6%, mentre il centrosinistra, formato da PD, +Europa e Alleanza Verdi-Sinistra, scende allo 25,2%. Il Polo di centro, composto da Azione e Italia Viva, scende al 7,0%; fuori da ogni alleanza, il M5S sale al 16,8%.