Draghi chiude sui licenziamenti, Mattarella firma il decreto sostegni bis

Dopo le polemiche la decisione è presa: non ci sarà la proroga del blocco dei licenziamenti ad agosto ma una Cassa scontata fino alla fine dell'anno per la grande industria. Nonostante il muro dei sindacati e i distinguo all'interno dello stesso esecutivo, con i capi delegazione di Leu e M5S che si schierano con il ministro del Lavoro Andrea Orlando, il presidente del Consiglio Mario Draghi blinda la mediazione delle norme su Cig e lavoro che mette l'Italia in linea con gli altri Paesi europei. La conseguenza è una correzione del decreto sostegni bis approvato giovedì scorso in Consiglio dei ministri. Superato l'ultimo scoglio della bollinatura (il nodo dei 165 milioni di coperture da individuare in extremis), il testo è stato quindi firmato dal capo dello Stato Sergio Mattarella per poi essere pubblicato in GU ed essere assegnato all’esame della Camera per la prima lettura. Fino all'ultimo Orlando difende la bontà della sua iniziativa respingendo al mittente le accuse di Confindustria, ribadite dal presidente Carlo Bonomi, di aver tentato un blitz, un “inganno”: “Una polemica ingiustificata e priva di fondamento”, la definisce il ministro dem, che incassa il sostegno del ministro dell'Agricoltura e capodelegazione M5S Stefano Patuanelli e quello del ministro della Salute, capodelegazione di Leu, Roberto Speranza. La norma, insiste Orlando, era stata “trasmessa nelle forme dovute al Consiglio dei ministri, illustrata in una conferenza stampa” ed era “ispirata esclusivamente dal buon senso”. Fatto sta che il decreto verrà comunque modificato e non conterrà più la proroga al 28 agosto del divieto di licenziare per chi abbia preso la Cassa Covid fino a giugno. “Abbiamo fatto passi avanti, spero che sindacati e imprese si ritrovino nella mediazione” dice Mario Draghi in conferenza stampa da Bruxelles cercando di stemperare gli animi.  

Si è concluso il Consiglio europeo su Bielorussia, Covid e clima

La fotografia è quella di un Consiglio europeo unito e concorde sulla questione Bielorussa e sul Covid, ma rimangono nell'ombra due temi spinosi: i migranti, che sarà trattato alla prossima riunione, e il clima, su cui si sono raggiunte per lo più dichiarazioni di principio. Intanto, soddisfazione è stata espressa da tutti i leader europei per l'accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento sulla proposta di pass europeo, il Digital Covid Certificate, che sarà pronto a metà giugno e permetterà ai cittadini europei di tornare a viaggiare. Le vaccinazioni proseguono spedite e l'approvvigionamento sembra non essere più un problema; l'Europa esporta già il 50% delle dosi prodotte sul suo suolo e molte vanno ai Paesi a basso reddito, soprattutto del continente africano e dell'America latina. I leader si sono accordati per togliere ogni blocco alle esportazioni e donare 100 milioni di dosi entro l'anno anche al programma dell'Onu Covax, in linea con quanto deciso al Global Health Summit di Roma. Sul clima, invece, solo quattro brevi punti che ribadiscono le conclusioni raggiunte nel dicembre 2020 per la riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030. Sugli obiettivi sono tutti d'accordo, il problema è come raggiungerli, una questione molto complessa e al momento divisiva, che riguarda anche le quote relative al Pil pro capite, la condivisione degli sforzi e la tassa sul carbonio, su cui si è deciso di rimandare la discussione, anche in attesa delle proposte legislative della Commissione Ue previste per metà luglio. “Il piano clima è stato appena abbozzato” ha commentato il premier Mario Draghi nella conferenza di fine Consiglio, “Uno dei problemi che è stato posto un po' da tutti è l'importanza che la tutela sociale ha nel processo di transizione ecologica. C'è una consapevolezza di tutti che le parti più deboli vadano tutelate e che gli stessi provvedimenti vadano presi avendo in mente la condizione di coloro che meno hanno”. Coro unanime di condanna invece sulla Bielorussia

Il M5S incontra la Cartabia per trovare una difficile intesa sulla giustizia

Al M5S, ancora privo di leadership e pervaso da tensioni interne fortissime, non resta che appellarsi all'ultima trincea, quella della riforma della giustizia. Martedì, in un faccia a faccia con il Ministro della Giustizia Marta Cartabia, la delegazione pentastellata ha provato a far valere le sue ragioni, su un punto soprattutto: la riforma della prescrizione proposta dalla commissione presieduta da Giorgio Lattanzi così non va. Non è una trincea tout court, quella del Movimento, e, nel complesso della riforma del processo penale, un'intesa è a portata di mano. Cartabia è aperta a “correttivi tecnici” ma tenendo presente un punto cruciale: la riforma del processo penale è dirimente per ottenere i fondi del Recovery Fund. A Via Arenula non è presente Giuseppe Conte; l'ex premier, frenato dall'ormai endemica diatriba con Rousseau e con i gruppi parlamentari sempre più simili a una polveriera, non può esporsi. Al tavolo con Cartabia ci sono il capogruppo alla Camera Crippa, il vicecapogruppo al Senato Andrea Cioffi, il capogruppo in commissione Giustizia alla Camera Saitta e i senatori Gaudiano e Lomuti, e soprattutto l'ex ministro della Giustizia Bonafede. La delegazione prova a rigettare subito più in là il nodo del ddl processo penale: “Le priorità sono la riforma del Csm e la riforma del processo civile”, spiegano i pentastellati, ottenendo per venerdì 4 giugno un vertice di maggioranza con la ministra Cartabia. Da qui al 28 giugno, quando il ddl processo penale è atteso in Aula alla Camera, se ne riparlerà e lo scontro in maggioranza è dietro l'angolo, con Iv, Fi e Azione pronti all'offensiva. Ma il tempo stringe: qualsiasi compromesso, spiegano a via Arenula, deve soddisfare le esigenze dell'Europa e deve essere accettabile da tutta la maggioranza: per il governo Draghi, insomma, la priorità resta il Recovery Plan. 

Draghi media con i sindacati sugli appalti, ma sul lavoro nessun passo indietro

Mario Draghi lavora per portare in Consiglio dei ministri il decreto su semplificazioni e sulla governance del Recovery plan. Bisogna far presto, chiudere in Cdm nelle prossime ore, o si rischia di perdere la prima tranche di 27 miliardi che potrebbe arrivare da Bruxelles a luglio. Ma il premier deve fare i conti con il muro di Pd e Leu sul tema degli appalti: i ministri Orlando e Speranza chiedono e ottengono un tavolo con i sindacati prima del varo del decreto; il tentativo dei partiti della sinistra, alla vigilia di una manifestazione di Cgil, Cisl e Uil dopo lo strappo sul tema dei licenziamenti. L'intesa però non è facile, a sera viene convocato un tavolo tecnico per sciogliere gli ultimi nodi. Ci sono da conciliare le pressioni opposte di Salvini, che vorrebbe superare il codice degli appalti, e del centrosinistra, che chiede di non smantellare del tutto le attuali regole. Il punto che mette d'accordo tutti è lo stop alle gare con massimo ribasso, che comparivano nelle prime bozze del decreto semplificazioni. Una novità dell'ultima ora è l'introduzione dell'appalto integrato; un passaggio che piace ai sindacati è l'intenzione di ridurre “di molto” le stazioni appaltanti migliorando la qualità del processo di investimento”. 

Nasce Coraggio Italia sottraendo parlamentari a FI. Tensione nel centrodestra

Con ventiquattro deputati, in gran parte provenienti dalle file di FI, nasce il gruppo Coraggio Italia alla Camera, una nuova formazione del centrodestra, “popolare, liberale e riformista”, nata attingendo dal bacino azzurro, con l'obiettivo, neanche troppo nascosto, di costruire una nuova Forza Italia. La nascita del nuovo gruppo, fortemente voluta da Giovanni Toti, crea un altro terremoto nella coalizione di centrodestra già provata dallo scontro sul Copasir e dalle difficoltà sulle amministrative. L'addio di ben 11 deputati forzisti (Michaela Biancofiore, Felice D'Ettore, Elisabetta Ripani, Stefano Mugnai, Simona Vietina, Matteo Dall'Osso (ex M5S), Guido Pettarin, Cosimo Sibilia, Maria Teresa Baldini, Raffaele Baratto e Marco Marin) unito all'adesione di altri 6 parlamentari già passati al misto ma eletti con FI irrita non poco i vertici del partito e Silvio Berlusconi. Nell’immediato slitta l'incontro sulle comunali previsto per giovedì pomeriggio. Forza Italia tuona: “Non parteciperemo ad alcun vertice con chi, violando gli accordi di coalizione, ha promosso un'iniziativa fondata sul trasformismo e sul cambio di casacca di parlamentari che, peraltro, non sarebbero stati ricandidati”.

Prosegue lo stallo in Copasir: ipotesi elezione presidente senza sostituzioni

Nessun passo indietro della Lega sul Copasir: i gruppi di Camera e Senato non forniranno i nomi sostitutivi per il Comitato a fronte delle dimissioni di Raffaele Volpi e Paolo Arrigoni finché non ci saranno le dimissioni di tutti i componenti, dimissioni che Forza Italia, Italia Viva, Pd e M5S non hanno alcuna intenzione di dare; pertanto lo scenario più plausibile è quello che la bicamerale affronti altri giorni di stallo. Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, Adolfo Urso, che non si è dimesso ma semplicemente autosospeso rimettendo il mandato nelle mani di Casellati, potrebbe convocare il Copasir e procedere con l'elezione del presidente. Di fatto l'unico dimissionario è Raffaele Volpi in qualità di presidente, ma non come componente del Copasir, come del resto il collega senatore leghista: entrambi figurano ancora nell'elenco del Comitato. Fonti Fdi assicurano che Urso non “farà nulla senza essere stato autorizzato dai presidenti Fico e Casellati”, che al momento intendono far passare qualche giorno sperando in un accordo politico tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini anche su questo tema.  

Manfredi accetta la corsa a Napoli; prende forma il patto Pd-M5S

Parte da Napoli l'alleanza Pd-M5S per le prossime amministrative, unica, per ora, fra le grandi città al voto in autunno. A farla decollare è Gaetano Manfredi, che scioglie la riserva accettando la corsa a sindaco per la coalizione di centrosinistra. L'ex rettore dell’università Federico II supera le riserve espresse in una lettera una settimana fa e cede al pressing dei due partiti: “Ognuno deve fare la sua parte e io farò la mia” scandisce l'ex Ministro annunciando la candidatura. Anche il fronte giallorosso, insomma, mette un punto fermo sulle elezioni napoletane dopo l'annuncio di Catello Maresca, l'ex pm pronto a sfidarlo per il centrodestra. Ma Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia restano in alto mare su Roma e Milano: nessuna novità sui candidati, tranne il fatto che saranno unitari e civici; del resto il vertice fra Salvini, Meloni e Tajani previsto nel pomeriggio e annullato per motivi organizzativi sarà riconvocato probabilmente la prossima settimana. 

I sondaggi della settimana 

Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, il consenso della Lega di Matteo Salvini registra una lieve risalita (21,3%). Discorso diverso per il Movimento 5 Stelle. Il consenso del partito guidato da Giuseppe Conte si ferma al 16,5%. La Lega resta il primo partito del Paese con una distanza dai secondi (FdI e PD) di 1,8 punti, mentre il gap rispetto al M5S si attesta a 4,8 punti.

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Nell’area delle sinistre, i Verdi rimangono stabili (1,8%) mentre Sinistra Italiana e MDP Articolo Uno si attestano rispettivamente al 2,7% e all’1,9%. Nell’area centrista, +Europa rimane al 2%, mentre Italia Viva si ferma all’1,8%. Non fa registrare grosse variazioni Azione che si stabilizza al 3,3%. Situazione diversa per il Partito Democratico che torna a crescere fino al 19,5%. Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia rimane stabile al 19,5% così come Forza Italia che non si schioda dal 6,9%.

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Negli ultimi sondaggi, i partiti che appoggiano il Governo Draghi raccolgono il 75% nelle intenzioni di voto, mentre il centrosinistra formato da PD, M5S e MDP raggiunge il 37,9%. La coalizione del centrodestra unito, invece, il 47,7%, mentre il rassemblement dei partiti di centro (Azione, IV e +Europa) si attesta al 7,1% dei consensi.

 

 



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