Stop agli spostamenti tra regioni dal 21 dicembre all’Epifania

Il nuovo decreto legge Covid conferma la stretta del Governo sulle festività, per fare scudo a una possibile terza ondata. La curva si abbassa e oggi il ministro della Salute Roberto Speranza, sulla base del monitoraggio settimanale, firmerà le nuove ordinanze che da domenica potrebbero rendere più gialla l'Italia, facendo passare alcune Regioni da zona rossa ad arancione e altre da arancione a gialla. Ma la cautela resta massima. Il Governo sceglie, dopo un lungo e teso confronto, di riportare tutti gli alunni delle superiori in classe solo il 7 gennaio: in Cdm Lucia Azzolina e il M5S confermano la preferenza per il ritorno in classe a dicembre, ma su questo è stata accolta la richiesta delle Regioni di aspettare il nuovo anno, organizzando intanto il sistema dei trasporti. Il nuovo decreto, di due soli articoli, serve a dare copertura proprio alla stretta natalizia e permette a Conte di firmare un dpcm che duri fino a 50 giorni (ora il limite è 30) e quindi di fissarne la scadenza anche oltre l'Epifania (tra le ipotesi c’è quella del 15 gennaio).  

Ma soprattutto, consente misure più rigide nelle festività a prescindere dal colore delle Regioni e stabilisce che dal 21 dicembre non ci si potrà spostare tra Regioni e province autonome se non per lavoro, salute e situazioni di necessità, oltre che per tornare nella propria residenza, domicilio o abitazione. Gli animi si infiammano in particolare durante la discussione quando le ministre di Iv Teresa Bellanova ed Elena Bonetti chiedono di eliminare dal testo il divieto di uscire dal proprio Comune il 25 e 26 dicembre e il 1° gennaio. Rispondono di no, senza appello, i capi delegazione di Pd Dario Franceschini, M5S Alfonso Bonafede e Leu Roberto Speranza e intervengono Francesco Boccia ed Enzo Amendola: il confronto si infiamma, è durissimo. Il premier Giuseppe Conte prende atto che la maggioranza del suo Cdm è a favore della norma.

Tensione fra Regioni e Governo sul nuovo dpcm

Il momento è delicato. A poche ore dal varo delle nuove misure per il contenimento dei contagi durante le festività natalizie, si apre una frattura tra governo e Regioni. L’accusa rivolta a Palazzo Chigi è di aver bruciato ogni confronto sulle restrizioni, che gli enti locali hanno solo letto nel decreto Natale approvato mercoledì sera in Cdm, senza possibilità di dire la propria. Da queste motivazioni nascono lo “stupore e rammarico” delle Regioni “per il metodo seguito dall’esecutivo”, sottolineando che questo modo di fare “contrasta con lo spirito di leale collaborazione” che ha caratterizzato la strategia di contrasto alla pandemia finora. Il j'accuse cozza con la replica del premier Giuseppe Conte, che parla di “confronto proficuo” provando a sminare il campo e c'è un passaggio che collide con il pensiero dei governatori, cioè quando afferma “abbiamo raccolto le loro osservazioni sulla bozza del Dpcm”. La linea che passa, infatti, è quella del Governo, dunque il divieto di spostamento da una Regione all'altra. È il punto di contrasto più ruvido: “Servono misure eque, non si può fare questa disparità tra un Comune di poco più di 100 anime e Roma che ha 2,8 milioni di abitanti”, tuona il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Sulla stessa lunghezza d’onda è il governatore della Liguria e vicepresidente della Conferenza delle Regioni Giovanni Toti che picchia duro: “Trovo assai scorretto che il Governo adotti certe misure senza neppure parlarne con gli Enti locali". 

La tensione nel Governo è altissima

Giuseppe Conte si presenta alla conferenza stampa per presentare il nuovo dpcm con le misure anti contagio al termine di una giornata di critiche e tensioni nella maggioranza e di scontro con l'opposizione. Annuncia un Cdm sul Recovery fund, assicura che stanno andando in porto i dossier Ilva e Autostrade, invita a “non drammatizzare” le divisioni sul Mes, e torna a “rabbrividire” all'idea del rimpasto, anche se, in una fase che descrive come quella del “rilancio” del Governo, dice che non si “sottrarrà al confronto” se qualcuno dei partiti della maggioranza lo chiederà. A breve, servirà un tavolo con i leader per sciogliere i tanti nodi. Mentre Conte illustra il nuovo dpcm, il centrodestra occupa l'Aula della Camera. Giovedì pomeriggio Conte si presenta alla riunione con i governatori per sedare gli animi sulle misure del nuovo dpcm, in particolare sul contestato blocco degli spostamenti. Rassicura sulle deroghe per i conviventi e per le persone non autosufficienti, ma tiene la linea dura per evitare la terza ondata. E prova a rimettere insieme i pezzi di una maggioranza che non solo si divide sul dpcm, ma che rompe anche ai tavoli sul programma di governo. Si litiga sulle tasse, come sulle riforme: sulle riforme, in particolare, il Pd vuole che siano rispettati gli impegni sui correttivi costituzionali e la legge elettorale da approvare dopo il taglio dei parlamentari, mentre Iv frena e chiede di varare prima un pacchetto più complessivo, dalla riforma del bicameralismo alla clausola di supremazia con le Regioni. 

Fronda nel M5S fa tremare il governo sul Mes, c’è una settimana per mediare

La lettera dei dissidenti M5S contro il Mes è una doccia fredda per il premier Giuseppe Conte e anche per gli alleati di governo. Premier e partiti di maggioranza erano convinti che il sì alla riforma dettato da Vito Crimi fosse sufficiente a superare senza incidenti il voto del 9 dicembre, ma il nuovo strappo rimette tutto in discussione, soprattutto al Senato, dove la maggioranza è risicata. Il punto fermo, per il Governo, è che il 9 si vota, non ci può essere alcun rinvio del pronunciamento sulla riforma del Mes, l'Ue non lo accetterebbe e Pd e Iv non acconsentirebbero mai di rimandare ulteriormente. Il lavoro, adesso, è soprattutto a livello di moral suasion: si cerca di limitare i danni, evitando almeno il voto contrario dei ribelli. Per i pentastellati, i pilastri sono due: “No all'uso del Mes e massimo sostegno al presidente Conte”. Se i firmatari della lettera si limitassero a non partecipare al voto sarebbe già molto, perché stavolta non è richiesta la maggioranza assoluta come sullo scostamento di bilancio e qualche voto a favore dal centrodestra, nonostante la presa di posizione di Silvio Berlusconi, è praticamente certo. Venerdì sera c'è l'assemblea congiunta di deputati e senatori M5S proprio sul Consiglio europeo. Nel Movimento si stanno discutendo anche gli assetti dopo gli Stati generali e Palazzo Chigi preferisce lasciar fare questo percorso: “poi lunedì vediamo a che punto siamo”, commentano fonti di Governo, convinti che la lettera dei dissidenti possa essere anche un posizionamento interno nell'ottica dello scontro su direttorio-segreteria.  

Quattro eurodeputati dissidenti del M5S lasciano il gruppo per andare nei Verdi

Dall'Europa arriva un'altra grana per il M5S, che perde in un colpo solo ben quattro eurodeputati. Si tratta dei cosiddetti dissidenti, Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi e Rosa D'Amato, che annunciano il passaggio ai Verdi. L'addio era nell'aria da tempo, sono mesi che la loro posizione si è fatta sempre più critica sulla gestione del Movimento, soprattutto dal flop alle europee 2019 e ancor di più da quando è stato varato il Governo giallorosso. Agli stati generali, il clima si è acceso, anche in considerazione della scelta di appoggiare l'Agenda 2020-2030 di Alessandro Di Battista, sposando le idee della cosiddetta ortodossia. Anche se il pasionario è tra i primi a condannare la scelta il dado, ormai, è tratto. E a far saltare il banco sarebbe stato il Mes. O meglio, il documento sottoscritto (in origine) da 42 deputati e 17 senatori Cinquestelle per sostenere il no alla riforma, oltre a quello contro l'attivazione della linea di credito sanitaria da 37 miliardi. Il documento, che ha creato imbarazzo nei vertici pentastellati, è stato di fatto depotenziato, aprendo una frattura interna, e i primi effetti si sono visti subito. Le dimissioni dal gruppo, però, non coincidono con quelle dal ruolo di eurodeputati e questo fa scattare il fuoco di fila nei Cinquestelle.  

La riforma del Mes scuote anche i deputati Fi. Brunetta difende la riforma

La riforma del Mes, bocciata da Silvio Berlusconi e da tutto il centrodestra, scuote l'assemblea del gruppo azzurro alla Camera. La stragrande maggioranza dei deputati si allinea alla scelta del Presidente: solo Renato Brunetta, responsabile economico del partito, e Renata Polverini si schierano a favore, provocando qualche piccola frizione. Il mantra della riunione è che non c’è stata nessuna svolta e che bisogna distinguere il Mes sanitario dalla riforma che sarà votata tra una settimana: per la capogruppo Mariastella Gelmini “sul Mes non abbiamo cambiato linea. Diversa la posizione di Renato Brunetta, apertamente favorevole alla riforma, la cui bocciatura in Parlamento, a suo giudizio, “creerebbe un grave isolamento politico italiano in Europa, che metterebbe a rischio anche l'approvazione del Recovery Fund da parte delle istituzioni europee. Un lusso che il nostro Paese non può affatto permettersi”. A seguire l'intervento di Renata Polverini, secondo cui la linea tracciata sulla riforma del Mes avrebbe creato un “problema politico enorme”; a quel punto Antonio Tajani avrebbe interrotto l'ex governatrice del Lazio ricordandole che il Presidente Berlusconi è sempre stato contrario a questa riforma. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall'Istituto SWG, la Lega di Matteo Salvini dà una decisa sterzata al trend delle ultime settimane e sale di un punto (24,4%). Discorso contrario per il Movimento 5 Stelle. Il consenso dei pentastellati cala di mezzo punto fermandosi al 15%. La Lega resta comunque il primo partito del Paese con una distanza dal secondo (PD) di 4,6 punti percentuali, mentre il gap rispetto a FdI, la terza forza politica italiana, si attesta a 8 punti.

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Nell’area delle sinistre, i Verdi salgono al 2,3% mentre Sinistra Italiana-MDP Articolo Uno perde qualcosa (3,4%). Nell’area centrista, +Europa rimane stabile (2,1%), come Italia Viva che si attesta al 3% mentre Azione non fa registrare grossi cambiamenti (3,5%). Il Partito Democratico perde mezzo punto rispetto alla settimana scorsa (19,8%). Nell’area del centrodestra, Fratelli d’Italia si conferma come la terza forza politica nazionale (16,4%). Nessuna variazione degna di nota per Forza Italia (6,2%) e Cambiamo!, il partito di Giovanni Toti (1,2%).

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Ad oggi, l’area di Governo raccoglie il 41,2% delle preferenze di voto. La coalizione di centrodestra il 48.2%, quella di centrosinistra il 28,3%. Il Movimento 5 Stelle è dato al 15%.

 



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