Mattarella va a Berlino. C’è sintonia tra Scholz e Meloni sulla questione migranti
La visita dedicherà grande attenzione ai temi economici, al futuro dell'Ue con la formazione del “nuovo esecutivo Ursula”, alla guerra in Ucraina e al ruolo di Berlino nel traino dell'industria europea, e si fa precedere da una grande sintonia tra Giorgia Meloni e il cancelliere Olaf Scholz sul tema dei migranti diventato centrale nel dibattito politico europeo. Mentre Sergio Mattarella arrivava a Berlino per un’importante visita di Stato in Germania, palazzo Chigi diffondeva una nota sui contenuti di una telefonata tra Meloni e Scholz nella quale, appunto, si sottolinea il dialogo esistente tra Roma e Berlino sull'emergenza migranti: “Il Cancelliere Scholz ha illustrato alla premier le ragioni alla base della recente decisione tedesca di reintrodurre i controlli di frontiera con gli Stati membri confinanti e le ulteriori iniziative introdotte dalla Germania per contrastare gli arrivi irregolari. È stato concordato di mantenere uno stretto raccordo sul tema anche in vista dei prossimi Consigli Europei, con l'obiettivo di consolidare il nesso tra dimensione interna ed esterna della politica migratoria UE, rafforzando in particolare le politiche in tema di partenariati con i Paesi di origine e transito dei migranti, ritorni, lotta ai trafficanti di esseri umani e migrazione legale”.
Le relazioni bilaterali sono da anni ottime e, al di là dell'immigrazione irregolare, questa volta il Presidente della Repubblica non potrà non considerare la crisi che sta vivendo la Germania, drammaticamente fermo a crescita zero, dati allarmanti che preoccupano l'Italia la cui economia è indissolubilmente legata a quella tedesca. Il made in Italy ne soffre e le esportazioni da mesi già segnalano cali evidenti in diversi settori a partire dalla componentistica. Mattarella presenterà oggi nei colloqui con il presidente Frank-Walter Steinmeier e il cancelliere Olaf Scholz dati diversi, quelli italiani, che seppur non entusiasmanti disegnano un'economia che ancora si muove.
La crescita zero tedesca sta però influenzando al ribasso l'intera eurozona e colpisce più duramente i Paesi che hanno il maggior interscambio commerciale, come l'Italia. La prima economia europea è in difficoltà economica quanto lo è politicamente il governo del socialdemocratico Olaf Scholz alle prese con venti di crisi per le sempre meno velate minacce del partito liberale democratico di uscire dall'esecutivo. Non mancherà anche un'analisi del vento di destra che soffia in Germania dove gli estremisti di Afdcontinuano a crescere interpretando il disagio di buona parte dei cittadini. Infine, l'amicizia Mattarella-Steinmeier porterà a un ulteriore gesto di riconciliazione italo-tedesca per il passato nazista della Germania: con un passo fortemente simbolico i due presidenti prenderanno insieme un volo da Colonia, seconda tappa della visita in Germania, per atterrare a Bologna; da lì, domenica 29 settembre, andranno insieme a Marzabotto, uno dei luoghi di strage nazista.
È tensione nel campo largo. Gelo e scambio di accuse tra Conte e Schlein
Il voto sulla Rai lascia il segno e nel campo largo cala il gelo. La spaccatura sulla nomina del Cda di viale Mazzini non è solo evidente nelle aule di Camera e Senato, dove M5S e Avs decidono di votare due consiglieri di minoranza mentre il Pd, cui si associano Italia viva e Azione, si rifiuta di farlo. Si percepisce nelle frecciate tra i leader Elly Schlein e Giuseppe Conte: i rapporti tra i due sono sempre più tesi e su questo sembra aver inciso il ritrovato protagonismo del partito di Matteo Renzi. La mattina inizia con un appuntamento all'insegna dell'unità e i leader sono attesi in piazza Cavour, a Roma, per depositare un milione e trecentomila firme raccolte a sostegno del referendum contro l'Autonomia differenziata; c’erano tutti, Pd, M5S, Avs, Più Europa e Iv, con Cgil, Uil e le altre sigle del comitato referendario per la consegna del quesito. Ma il clima di festa è stato minato dalle tensioni e dalle distanze. In piazza arrivano alla spicciolata Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs, Maria Elena Boschi di Iv, il segretario di +Europa Riccardo Magi e la segretaria dem Elly Schlein. Nessuna dichiarazione comune: ognuno parla in solitaria con i giornalisti, tutti si dicono soddisfatti per il risultato raggiunto e insoddisfatti per il comportamento degli altri sul fronte delle votazioni in corso in Parlamento, che porteranno al nuovo cda Rai.
Al momento della foto di gruppo Giuseppe Conte non è ancora arrivato, i colleghi sono già in posa quando l'ex premier raggiunge la piazza e si sistema, in tempo utile per gli ultimi scatti, in prima fila. Schlein è distante, i due leader non scambiano una parola, neanche una stretta di mano. Entrambi si dicono soddisfatti per la raccolta firme del referendum, poi partono le stilettate sul nodo Cda Rai: “Noi siamo stati sempre coerenti”, dice il presidente M5S, “era la soluzione più giusta e noi siamo con Avs”, “qui la spaccatura c'è stata da parte del Pd che ha deciso con Renzi”. Una ventina di gradini più in basso arriva la secca replica della Schlein: “Il Pd è rimasto sulla posizione che era di tutte le opposizioni fino a ieri”, “Noi rimaniamo coerenti con l'idea che sia sbagliato rinnovare un Cda che è sostanzialmente già fuori legge. Ieri la maggioranza ha chiarito che questo Cda viene votato per durare tre anni, che vuol dire che, diversamente da quanto le opposizioni tutte fino a ieri hanno sostenuto, si rischia di rimandare al duemila e mai la riforma necessaria della governance della Rai per renderla indipendente da politica e partiti”.
La spaccatura è evidente. E la Rai non è l'unico fronte: Pd e M5S ieri si sono divisi anche in aula a Montecitorio sul ddl Lavoro, con i deputati cinque stelle che abbandonano l'aula della Camera in segno di protesta perché sono stati dichiarati inammissibili 50 emendamenti, mentre i dem e i renziani restano in aula. Ci sono poi le distanze rispetto al referendum sulla cittadinanza, emerse nei giorni scorsi. E infine si attende di vedere come saranno composte le liste in appoggio al candidato governatore Andrea Orlando in Liguria: il M5S è per l’esclusione dei renziani dalla coalizione.
Forza Italia accelera sullo Ius scholae anche se Ronzulli attacca
Forza Italia tira dritto sullo Ius Scholae, nonostante il gelo degli alleati e anche qualche malumore interno. C'è l'ipotesi di concedere la cittadinanza, dopo un ciclo scolastico “virtuoso” decennale, anche ai minori non nati in Italia, figli d’immigrati regolari, una bozza in via di definizione che “a breve” verrà proposta agli altri partiti di centrodestra e che è stata discussa in un vertice dei parlamentari azzurri. Nel confronto interno non è mancato chi, come Licia Ronzulli, ha contestato metodo e merito della strategia, evidenziando che nel partito “ci sono tante sensibilità”, che questa riforma “non è una priorità” e che la riunione andava “fatta prima, perché alcune cose prima di essere annunciate vanno discusse”. Il testo ancora non è definito.
Nell'incontro, guidato dai capigruppo Paolo Barelli e Maurizio Gasparri, senza Antonio Tajani impegnato in Germania con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono state raccolte obiezioni e osservazioni tecniche. Ma tre punti chiave sono stati individuati e illustrati: il primo, appunto, è l'estensione di questa formula di Ius scholae ai non nati in Italia; il secondo è la restrizione a due generazioni, quindi fino ai nonni, degli antenati italiani grazie ai quali gli oriundi possono acquisire la cittadinanza per Ius sanguinis; e infine si propone di accorciare da tre a massimo un anno i tempi per le verifiche e per la concessione a chi la chiede dopo dieci anni di residenza.
Si sta ancora ragionando sulle norme che riguardano la cittadinanza agli orfani e attraverso matrimonio. Una parte degli azzurri vive con perplessità questa accelerazione, come una “rincorsa alle opposizioni che hanno raccolto 500mila firme per il referendum”, nota uno di loro, sul quale, comunque, FI mantiene una posizione “contraria”, ha chiarito Gasparri, perché “siamo contro la cittadinanza regalata dopo 5 anni, che è un errore totale”. Quasi in contemporanea alla riunione di FI, Matteo Salvini ha affermato che “all'interno della maggioranza si è fatta la riflessione che la normativa sulla concessione della cittadinanza va bene così com'è, non si sente nessuna necessità né numerica, né sociologica, né pragmatica di cambiarla” e “non si capisce perché si dovrebbero ridurre i tempi o cambiare modalità: rischia di essere un altro fattore di attrazione per immigrazioni irregolari”. Giorgia Meloni martedì ha espresso lo stesso concetto.
Borghi della Lega propone lo stop alle firme per i referendum on line. Polemica
Il senatore della Lega Claudio Borghi presenterà una proposta di legge per chiudere la piattaforma che consente di raccogliere le firme on line per i referendum, nel giorno in cui il Comitato referendario per l'abrogazione della legge sulla Autonomia differenziata ha consegnato in Cassazione oltre 1 milione e 300mila firme contro la legge Calderoli. L'annuncio del senatore leghista è arrivato su X e la ratio del progetto di legge la spiega affermando che la Costituzione prevede 500mila firme per i referendum e che una “soglia alta” serve a “evitare consultazioni inutili. Solo questioni potenzialmente maggioritarie dovevano meritare un referendum nazionale”, sostiene in un tweet. “Se si mette la firma digitale allora anche uno che vuol abolire il cappuccino se ha abbastanza followers si può svegliare e con quattro click ci arriva. O si alza il numero delle firme (ma allora si deve cambiare la Costituzione) o si cancella la raccolta firme con un click. Credo sia meglio questa seconda ipotesi. Depositerò proposta di legge in proposito e credo che la maggioranza dovrebbe prenderla in attenta considerazione”.
Il dem Dario Parrini attacca: “L'idea è grave in quanto esprime un modo di concepire la partecipazione popolare alle scelte politiche schiettamente illiberale e antidemocratico. Che la Lega fosse ormai un partito di populismo senza popolo, e anzi impaurito dal popolo, lo sapevamo. Ma non potevamo immaginare che si arrivasse a tanto”. E affonda: “Invece di interrogarsi su come mai centinaia di migliaia di cittadini si sono mobilitati contro i tentativi della destra di governo di fare a pezzi l'unità nazionale e di impedire l'adozione di norme di civiltà sulla cittadinanza, Borghi, come quei malati che se hanno la febbre, se la prendono col termometro”.
Per Riccardo Magi i leghisti “hanno paura della democrazia, hanno paura del voto popolare, hanno paura di chi chiede più diritti. Ma capisco la frustrazione del povero Claudio Borghi”. Il segretario di +Europa poi ricorda: “Il numero di firme non fu previsto per avere “una soglia alta per evitare consultazioni inutili” ma perché una richiesta di 500.000 elettori ne garantisce la serietà. Questo risulta dai dibattiti alla Costituente. E naturalmente una richiesta di 500.000 elettori ha lo stesso peso sia che questi abbiano firmato in un luogo fisico che su piattaforma. La firma digitale vale per gli Atti giudiziari, per quelli fiscali e non si capisce perché non dovrebbe valere per firmare una richiesta di referendum”.
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