Il Ppe pensa già al post voto e alle nomine ai vertici dell’Ue
Le urne si devono ancora aprire ma i leader dei partiti europei già pensano al dopo. Avere un quadro chiaro sulla spartizione delle nomine già lunedì 17, a una settimana dal voto, è l'obiettivo del Partito popolare europeo; il leader Manfred Weber sa di avere già la vittoria in tasca e che il Ppe sarà riconfermato la prima forza cui spetterebbe la nomina della Commissione europea ma al Consiglio europeo prima e poi col voto segreto al Parlamento potrebbe succedere di tutto. Ecco perché vorrebbe che dalla cena informale dei 27 Capi di Stato e di Governo prevista per il 17 sera emerga un quadro chiaro. Se tutto andrà liscio Weber chiederà la conferma di Ursula von der Leyen, di conseguenza ai socialisti spetterebbe il posto di presidente del Consiglio europeo (si parla dell'ex premier portoghese Antonio Costa) e ai liberali quello di Alto rappresentante per la politica estera (in lizza la premier estone Kaja Kallas). Il leader dei popolari si aspetta un voto più conservatore rispetto al 2019 ma in grado, comunque, di restituire una maggioranza Ursula tra popolari, socialisti e liberali. E da questa ripartirà.
Se tutto fila liscio non c'è bisogno di andare a cercare supporto altrove, altrimenti si guarderà alla sua destra, con la pattuglia di Fdi guidata da Giorgia Meloni che, in questi due anni, ha dato prova di europeismo e atlantismo nel segno del sostegno all'Ucraina e alla Nato, e senza scossoni sullo Stato di diritto. Porte chiuse invece a Fidesz di Viktor Orban, anche se dovesse entrare in Ecr, o al Rassemblement National di Marine Le Pen, entrambi considerati “tossici” dal Ppe: il metodo è separare la destra buona da quella cattiva. Più difficile l'intesa con i Verdi, che aspirano a entrare in maggioranza ma che non risultano abbastanza allineati agli occhi del Ppe: non hanno votato, ad esempio, né per il Patto Migrazione e Asilo né per la riforma del Patto di Stabilità. Weber sa di potersi aspettare qualche sorpresa dal presidente francese Emmanuel Macron, artefice della trovata di Ursula von der Leyen cinque anni fa, che le sfilò il posto cui aspirava come spitzenkandidat, ma sa anche di poter contare sulla forza dei popolari anche in seno al Consiglio europeo: su 27 leader ben 13 sono del Ppe, solo quattro dei socialisti, i liberali al Consiglio europeo di fine giugno ne avranno tre (Francia, Estonia e Slovenia). Stando ai Trattati, i leader devono indicare la figura per la guida della Commissione europea a maggioranza qualificata (55% dei paesi dell'Ue e 65% dell'intera popolazione dell'Ue) tenendo conto del risultato elettorale.
L’ipotesi di una figura super partes come Mario Draghi alla presidenza della Commissione, che sarebbe gradita al presidente francese Emmanuel Macron e ai liberali, dovrebbe essere ben giustificata, magari da una situazione emergenziale. Più facile invece che l'ex banchiere centrale possa ricoprire la carica di presidente del Consiglio europeo, che viene eletto a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo e che non ha bisogno del passaggio parlamentare. Di solito viene scelto un ex premier, che abbia già fatto parte del Consiglio europeo. Sul fronte presidenza del Parlamento europeo, di certo per Weber non dovrà ripetersi l'esperienza del 2019, quando il Consiglio europeo indicò, informalmente, anche il nome del presidente del Parlamento Ue nella figura del leader del Pes Sergei Stanishev. La scelta non spettava ai leader ed è stata vista come uno sgarbo istituzionale dall'Eurocamera, tanto che alla fine scelse David Sassoli. Per il Ppe questa volta non ci sono dubbi: Roberta Metsola dovrà essere riconfermata per altri 2 anni e mezzo, poi la seconda parte del mandato andrà ai socialisti.
Meloni smorza le polemiche e attacca: è la sinistra che non rispetta il Colle
Restano accesi i toni della campagna elettorale a pochi giorni dalle europee, con la polemica sul 2 giugno che rimane al centro delle schermaglie tra i partiti. All'indomani degli attacchi sferrati dalla Lega al Presidente della Repubblica, la premier Giorgia Meloni rompe il silenzio: “Manca di rispetto a Mattarella chi lo vuole tirare nelle beghe della politica”, parole rivolte in particolare al Pd, che nel giorno della Festa della Repubblica era sceso in piazza contro il premierato e in difesa del ruolo del Quirinale. Proprio la riforma del premierato, per Meloni, “è al fondo della strategia in cui si raccontano presunte divergenze tra il Governo” e il Colle. Strategia, tira dritto la premier, con cui “partiti deboli continuano a trincerarsi dietro il ruolo del Capo dello Stato”. Da una parte, Meloni attacca frontalmente il centrosinistra tenendo alto il livello dello scontro, dall'altra, prova però a placare la bufera ancora in corso sulla Lega dopo i commenti al vetriolo del senatore Claudio Borghi e del leader Matteo Salvini su Mattarella e la sovranità europea.
“Sono stata molto contenta che Salvini abbia chiarito perché era importante farlo nella giornata del 2 giugno, in cui bisogna evitare le polemiche”. Che le polemiche fossero da evitare, lo riconosce anche la seconda carica dello Stato: “Quella di Borghi è stata un'uscita inopportuna”, ha commentato il presidente del Senato Ignazio La Russa; dello stesso parere Forza Italia e Noi Moderati. La Russa prova a gettare acqua sul fuoco: “La polemica è stata smontata da Matteo Salvini, che ha riconfermato piena fiducia a Mattarella”. Il segretario di via Bellerio, dopo aver frenato già nella serata del 2 giugno, torna a minimizzare: “Nessuna polemica col presidente Mattarella, il presidente ha il rispetto mio e della Lega”, afferma. Il leader sostiene di non aver ricevuto alcun pressing dalla premier Giorgia Meloni per abbassare i toni. Ma il suo collega di partito, Borghi, che aveva evocato le dimissioni del Capo dello Stato, non ci pensa nemmeno a sfumare il suo attacco, anzi conferma quanto detto in occasione della Festa della Repubblica e continua la sua difesa della “sovranità italiana”: “Abbiamo ceduto e male un pezzo di sovranità all'Ue, ma nella Carta non si parla di cessione semmai di limitazioni”.
Nessun passo di lato, dunque. Nemmeno da parte del generale Roberto Vannacci, che interviene sul tema: “Il ruolo del Capo dello Stato è quello di garantire la Costituzione, l'espressione di linee e pareri politici spetta al Governo e al Parlamento”. Il generale, in un nuovo post torna a evocare la Decima Mas, per La Russa resta un errore “tirare in ballo la Decima, formata da uomini che tuttora nella memoria hanno la medaglia d'oro, quelli prima della repubblica sociale”. Ma il candidato indipendente non è l'unico nelle file della Lega a ricordarla: la sottosegretaria Pina Castiello in un video comparso sui social taglia una torta a “x” e richiama esplicitamente la Decima, di cui la “x” è il simbolo. Le opposizioni insorgono.
Meloni attacca l’Ue sulla procedura d’infrazione sull’assegno unico
La procedura d'infrazione della Commissione Ue sull'assegno unico “è la dimostrazione del perché l'Europa va cambiata”, e “per noi vuol dire, se loro alla fine avessero ragione, dover rinunciare all'assegno unico”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni, ospite di Quarta Repubblica su Rete4 ribadendo che intende “dare battaglia” e auspicando “che la Commissione di domani possa essere un po' più pragmatica”.
“Questa è la dimostrazione del perché l'Europa va cambiata, perché fa delle cose che sono oggettivamente surreali. Abbiamo un'Europa che affronta l'inverno demografico e non si pone minimamente il problema, perché tra le priorità dell'Ue non è contemplato che l'Europa, di fatto, come civiltà rischia di scomparire, se continuiamo così. Non si pone minimamente il problema, dopodiché quando i Governi cercano di dare una mano alle famiglie del loro Stato per fare dei figli, ti fanno le procedure d’infrazione. Quando noi siamo arrivati abbiamo raddoppiato l'assegno unico per il primo anno, uno strumento che considero parte di un sistema che deve funzionare con altri provvedimenti, ma molto importante: aumento medio di circa 720 euro per le famiglie che lo prendono, coinvolge più o meno 6 milioni di famiglie in Italia, è uno sforzo importante. Chiaramente, se devo dare l'assegno unico a tutti, non solo ai comunitari ma anche agli extracomunitari che lavorano in Italia, e anche agli extracomunitari, secondo loro, che hanno i figli in patria, io non lo reggo”. In questo caso, per la premier c'è anche il problema che lo Stato “non è in grado di verificare l'Isee”. In ogni caso il messaggio è chiaro, la premier intende dare battaglia.
Proseguono i lavori in Albania per accogliere i migranti
Potrebbe costare 150mila euro al giorno il noleggio di una nave per il trasporto dei migranti dal Mar Mediterraneo fino al porto di Shengjin in Albania. Il Governo ha infatti fissato a 13,5 milioni di euro il tetto massimo di spesa per questo servizio, in una “consultazione preliminare del mercato” lanciata il 30 maggio dal Viminale per attuare il protocollo fra Roma e Tirana. Si tratta di un contratto di tre mesi, dal 15 settembre al 15 dicembre, e nelle specifiche tecniche si indica “a circa 15/20 miglia nautiche a Sud-Sud/ovest dall'isola di Lampedusa” il “punto di prelievo dei migranti” da trasferire poi dal campo di accoglienza a quello di trattenimento, a Gjader, 20 chilometri nell'entroterra. In quei due siti domani è attesa Giorgia Meloni per un sopralluogo con l'omologo albanese Edi Rama. La missione cadrà nella Settimana della cultura italiana in corso a Tirana e a ridosso delle Europee. Le opposizioni da giorni parlano di “bluff elettorale da 800 milioni di euro”, obiezioni cui la premier ha più volte risposto che il progetto di trasferimento dei migranti è “strategico” e “sta facendo scuola in Europa”, perché “può cambiare di molto la politica di gestione migratoria in Ue”.
Si attendono novità sui tempi. È slittato l'inizio delle attività, che era previsto per il 20 maggio secondo l'avviso emesso a marzo dalla Prefettura di Roma per l'affidamento dei servizi di accoglienza, appalto intanto vinto dalla cooperativa Medihospes con un'offerta di 133,8 milioni di euro. Nei due siti non sono ancora ultimati i lavori, affidati al Genio militare italiano. A Gjader un servizio di Report andato in onda lunedì ha mostrato le immagini delle ruspe su un'area di 77.700 metri quadrati dove potranno essere ospitate fino a un massimo di 3 mila persone contemporaneamente, secondo il Protocollo siglato da Meloni e da Rama il 6 novembre a Palazzo Chigi, ratificato dal Parlamento a febbraio, e sospeso per un mese e mezzo dalla Corte costituzionale dell'Albania fra dicembre e gennaio. I lavori finiranno a “novembre” mente quasi pronto è il porto. In ogni caso le opposizioni sono estremamente critiche e la notizia degli stanziamenti per il trasposto di certo non passeranno inosservati.
Le opposizioni tentano la spallata a Toti: pronta la mozione di sfiducia
Ancora poche ore per sapere cosa abbia scritto Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria sospeso dalle sue funzioni e agli arresti domiciliari per corruzione e voto di scambio, in quella lunga lettera destinata alla sua maggioranza e affidata al fedelissimo assessore Giacomo Giampedrone che, grazie all'autorizzazione espressa dalla Procura, ha potuto incontrarlo nella casa di Ameglia. La missiva verrà letta in consiglio regionale oggi prima che l'opposizione (Pd, M5S, Lista Sansa e Linea Condivisa) possa passare a illustrare la mozione di sfiducia depositata qualche giorno fa. La leggerà Alessandro Bozzano, capogruppo della Lista Toti in consiglio regionale. La lettera, per quanto possibile sapere, contiene l'esortazione ad andare avanti con l'interim di Piana per non bloccare qualcuno di quei progetti (la diga, lo scolmatore, il tunnel subportuale, per citarne alcuni) che da sempre Toti definisce essenziali all'economia della Liguria e non solo.
Poi, dopo aver rivendicato “l'interesse pubblico in ogni mia scelta”, Toti si dice “certo che la maggioranza dei liguri comprendano e apprezzino il cammino fatto e i risultati raggiunti dal nostro governo” e ricorda di “essersi messo subito a disposizione dei magistrati per chiarire tutti i contorni della vicenda”. Toti ha poi chiesto a Giampedrone che venga respinta la mozione di sfiducia che verrà presentata dalle opposizioni, mozione che dovrebbe essere neutralizzata: anche considerando eventuali sorprese, i 12 consiglieri dell'opposizione si troverebbero davanti i 18 voti contrari della maggioranza. Con la loro mozione, scrive Toti nella lettera, le opposizioni tentano una “spallata politica” a quattro giorni dalle Europee: niente dimissioni, dunque, salvo soprese dell’ultimo minuto.
Camera e Senato
Nella giornata di oggi e per tutto l’arco di questa settimana Camera e Senato non si riuniranno per consentire alle forze politiche di poter partecipare attivamente agli ultimi giorni di campagna elettorale. Entrambi i rami del Parlamento riprenderanno i propri lavori a partire dalla prossima settimana.
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