La BCE taglia di nuovo tassi di interesse
La Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato una nuova riduzione dei tassi di interesse di riferimento, abbassandoli di 0,25 punti percentuali a un intervallo compreso tra il 3% e il 3,4%. Questa mossa rappresenta la quarta riduzione consecutiva dopo un lungo periodo di tassi elevati, durante il quale la BCE, insieme ad altre banche centrali nel mondo, aveva adottato una politica di rialzo rapido per contrastare l’inflazione, ovvero la crescita dei prezzi causata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina.
L’inflazione, considerata ormai sotto controllo, è scesa nei paesi dell’area euro al di sotto del 2%, soglia ritenuta adeguata per un’economia stabile e in linea con l’obiettivo statutario della BCE. Questo rappresenta un netto miglioramento rispetto al 2022, quando l’inflazione aveva superato il 10% durante i picchi più critici.
Con questa riduzione dei tassi, i costi dei mutui e dei prestiti alle imprese continueranno a diminuire, proseguendo una tendenza già in atto. La decisione della BCE conferma il progressivo allentamento della politica monetaria, necessario per accompagnare l’economia verso una ripresa stabile e sostenibile dopo gli shock degli ultimi anni.
Secondo la BCE il NextgenEU spingerà il PIL europeo fino al 1,2% entro il 2031
A quattro anni dall’avvio del programma NextGenerationEU (NGEU), la Banca Centrale Europea ha pubblicato un rapporto che analizza l’impatto della Recovery and Resilience Facility (RRF), la principale componente del piano, sull’economia dell’area euro. Il documento traccia un quadro dei risultati raggiunti e delle sfide ancora da affrontare per massimizzare i benefici di questo strumento. Nonostante alcuni progressi, emerge chiaramente che l’impatto economico iniziale della RRF è stato inferiore alle attese. Tra il 2021 e il 2023, la spesa finanziata dal programma ha contribuito al PIL dell’area euro solo tra lo 0,1% e lo 0,2% annuo, contro una previsione iniziale dello 0,5%. Questo risultato è stato influenzato da ritardi amministrativi e difficoltà legate a shock esterni, come l’inflazione in aumento e i colli di bottiglia nelle forniture. Tuttavia, con l’avanzamento delle attività e la revisione dei piani nazionali, si prevede un’accelerazione significativa dell’impatto economico nei prossimi anni, in particolare tra il 2025 e il 2026. Si stima che il PIL dell’area euro possa aumentare tra lo 0,4% e lo 0,9% entro il 2026 e tra lo 0,8% e l’1,2% entro il 2031 rispetto a uno scenario senza NGEU.
Un elemento centrale del programma è rappresentato dagli investimenti pubblici e dai trasferimenti di capitale, che costituiscono circa il 70% delle risorse totali. Questi fondi hanno un forte potenziale moltiplicativo sull’economia, contribuendo a progetti strategici per la transizione verde e digitale. Nell’area euro, il 42% delle risorse è destinato a iniziative ambientali, come impianti solari ed eolici e infrastrutture per la mobilità elettrica, mentre il 26% finanzia progetti di digitalizzazione. I miglioramenti nella qualità istituzionale di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, dimostrano inoltre che le riforme strutturali associate al programma possono sostenere la crescita economica nel lungo periodo.
Nonostante queste prospettive incoraggianti, il rapporto evidenzia alcune sfide significative. La capacità amministrativa resta un punto debole in molti Stati membri, con ritardi nell’avvio dei progetti e nella spesa dei fondi. Inoltre, eventuali shock futuri, come nuove crisi energetiche o economiche, potrebbero complicare ulteriormente l’implementazione. Per garantire il pieno successo del programma, la qualità dell’attuazione dovrà essere una priorità, evitando di sacrificare l’efficacia per rispettare le scadenze.
Il NextGenerationEU rappresenta una straordinaria opportunità per modernizzare le economie europee, promuovere la convergenza economica e accelerare le transizioni verdi e digitali. Tuttavia, il raggiungimento di questi obiettivi dipenderà dalla capacità degli Stati membri di superare le difficoltà e completare le riforme e gli investimenti previsti. Solo così sarà possibile sfruttare appieno il potenziale trasformativo di questo ambizioso programma.
La terza manovra del Governo Meloni arriva in Aula alla Camera
La legge di bilancio 2025, dal valore complessivo di circa 30 miliardi di euro, si prepara ad arrivare in Aula alla Camera dopo aver ottenuto il via libera dalla Commissione Bilancio. Tuttavia, il voto finale in Senato slitterà a dopo Natale, a causa dei ritardi e delle numerose modifiche al testo, frutto di lunghe sedute notturne e di un acceso dibattito politico. Il cuore della manovra è rappresentato dal taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 40 mila euro e dalla revisione delle aliquote Irpef, che passeranno a tre fasce. Questo intervento, dal costo complessivo di 18 miliardi di euro, è stato pensato per dare un aiuto concreto ai redditi medio-bassi, lasciando circa 100 euro in più in busta paga ogni mese, con l’obiettivo di contrastare l’inflazione e sostenere il potere d’acquisto delle famiglie. La legge, però, è stata scritta tenendo conto dei vincoli imposti dalle nuove regole del patto di stabilità europeo, che richiedono un ritorno del rapporto deficit/PIL sotto il 3% entro il 2026. Per questo motivo, è stata introdotta una revisione rigorosa della spesa pubblica, concentrando le risorse su pochi interventi prioritari, tra cui il sistema sanitario, le politiche per la natalità e la riduzione delle agevolazioni fiscali meno efficienti. Tra le fonti di finanziamento figura l’anticipo delle imposte differite delle banche e assicurazioni, che porterà nelle casse dello Stato circa 3,5 miliardi di euro nel biennio 2025-2026. Per le famiglie sono previste diverse misure di sostegno. Spicca un bonus di 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2025, riservato ai nuclei con un Isee inferiore a 40mila euro. Inoltre, il congedo parentale verrà esteso, passando dal 60% all’80% della retribuzione per un mese aggiuntivo, e sarà introdotto un quoziente familiare per rimodulare il carico fiscale. Per i bambini tra i 6 e i 14 anni, le famiglie con redditi bassi potranno beneficiare del fondo “Dote Famiglia”, che destinerà 30 milioni di euro per attività extrascolastiche.
Le imprese beneficeranno di alcune misure mirate a incentivare investimenti e occupazione. Tra queste, una Ires premiale che ridurrà l’aliquota del 4% per le aziende che reinvestiranno gli utili in nuove assunzioni a tempo indeterminato. Saranno inoltre incrementati i fondi per le Zone Economiche Speciali del Mezzogiorno, con un credito d’imposta che passa da 1,6 a 2,2 miliardi di euro. Sul fronte edilizio, il Superbonus sarà progressivamente ridotto dal 70% al 65% dal 2025, mentre l’Ecobonus verrà mantenuto ma con aliquote più basse.
La manovra non è priva di controversie. Ha sollevato critiche la proposta di equiparare le indennità dei ministri non parlamentari a quelle dei colleghi eletti, poi ritirata dopo le pressioni della premier Giorgia Meloni. Altrettanto dibattuta è la norma ribattezzata “anti-Renzi”, che limita la possibilità per i parlamentari e i membri del governo di accettare incarichi retribuiti da enti extra-UE. Tra le altre misure, si segnalano il finanziamento per il prolungamento della Metro C di Roma, nuovi incentivi per l’acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza e un aumento delle risorse destinate al Ponte sullo Stretto, con un incremento annuo di 1,4 miliardi di euro fino al 2032. Nonostante il complesso equilibrio tra rigore economico e interventi di sostegno, la manovra continua a essere al centro di un intenso dibattito politico, riflettendo le difficoltà di coniugare le esigenze di bilancio con quelle dei cittadini e delle imprese.
I ritardi della spesa del PNRR nella relazione della Corte dei Conti
La relazione semestrale della Corte dei conti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvata a dicembre 2024, traccia un quadro dettagliato dell’andamento del Piano, sottolineando progressi, difficoltà e sfide imminenti. Il primo semestre del 2024 ha visto il completamento di tutti i 39 obiettivi previsti, portando il livello di attuazione al 43% e mostrando un incremento rispetto al periodo precedente. Tuttavia, resta una marcata discrepanza tra il completamento delle milestone (obiettivi qualitativi) e dei target (obiettivi quantitativi), con questi ultimi ancora fermi al 21%.
Un aspetto cruciale della relazione è l'impatto delle recenti modifiche approvate a livello europeo, che hanno portato il numero complessivo degli obiettivi a 621 e concentrato oltre la metà delle scadenze tra il 2024 e il 2026, rendendo evidente la necessità di accelerare l’attuazione nelle fasi finali del Piano. In questo contesto, missioni strategiche come il programma REPowerEU assumono una rilevanza particolare.
Sul fronte della spesa, il PNRR ha finora utilizzato 57,7 miliardi di euro, pari al 30% delle risorse totali, segnando un aumento rispetto ai 45,1 miliardi del 2023. Tuttavia, questa cifra rimane inferiore alle aspettative. Una delle principali criticità riguarda la rendicontazione: soltanto il 24% delle spese sostenute è stato rendicontato in modo definitivo. La Corte segnala che oltre il 50% dei rendiconti attende ancora verifiche formali e che la lentezza delle procedure è aggravata dalla carenza di personale e dalla documentazione spesso inadeguata. Questo scenario aumenta il rischio di un accumulo delle verifiche nei momenti finali del Piano, con potenziali ritardi.
Le riforme, pilastro fondamentale per la ripresa economica, mostrano segnali positivi, con il 63% delle iniziative che ha completato gli obiettivi previsti a livello europeo. I progressi sono particolarmente evidenti nei settori della giustizia, dell’amministrazione pubblica e della transizione ecologica. Tuttavia, i dati sulla spesa per le sette riforme finanziate rivelano un avanzamento limitato al 4%, evidenziando un ritardo rispetto agli investimenti programmati.
Gli investimenti ferroviari, che rappresentano una parte significativa del PNRR, sono un caso emblematico. Nonostante il progresso nelle opere già in fase di esecuzione, il 20% dei progetti risulta in ritardo rispetto alle scadenze previste, con difficoltà concentrate nelle fasi di progettazione e aggiudicazione dei contratti. Questo ritardo riguarda in particolare interventi strategici come i collegamenti ad alta velocità per il Sud e quelli verso il Nord Europa. Nel complesso, la relazione evidenzia che, sebbene i progressi siano tangibili, il PNRR è ancora lontano da una piena realizzazione. La lentezza nella rendicontazione, i ritardi nella spesa e la concentrazione delle scadenze nell’ultima fase del Piano richiedono interventi urgenti. La Corte dei conti invita a rafforzare le risorse umane, semplificare le procedure e ottimizzare il monitoraggio per garantire il rispetto dei tempi e l’efficienza nell’uso dei fondi. Con l’intensificarsi delle attività nel biennio finale, il governo italiano si trova di fronte a una sfida cruciale: bilanciare il rispetto dei termini europei con l’obiettivo di massimizzare l’impatto delle risorse pubbliche sulla ripresa e resilienza del Paese.
Stellantis investe 2 miliardi negli stabilimenti italiani
Stellantis ha annunciato un piano da 2 miliardi di euro per rilanciare la produzione negli stabilimenti italiani, senza richiedere aiuti statali. La nuova Fiat 500 sarà prodotta a Mirafiori, la Pandina a Pomigliano d’Arco, mentre a Melfi i volumi saranno triplicati e a Cassino arriveranno tre nuovi modelli Alfa Romeo. Il gruppo prevede di aumentare la produzione italiana del 50% entro il 2025, nonostante il mercato in crisi e le difficoltà legate alla transizione elettrica.
Tra le novità principali c’è l’introduzione, dal 2028, della piattaforma Stla Small per auto compatte a Pomigliano, fondamentale per rispondere alla domanda di veicoli più richiesti. Stellantis ha inoltre promesso acquisti per 6 miliardi di euro all’anno da aziende italiane, per sostenere le imprese fornitrici in difficoltà. Questo piano segna una svolta per l’industria automobilistica italiana e potrebbe rilanciare la centralità dei suoi stabilimenti.
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