L’Italia supera il Giappone nell’export: un primato storico per il Made in Italy
Nel primo trimestre del 2024, le esportazioni italiane hanno raggiunto un traguardo straordinario: il valore complessivo delle merci esportate ha superato quello del Giappone. Questo evento rappresenta una pietra miliare per l’economia italiana, soprattutto in un contesto economico globale complesso, segnato dalla crisi dei mercati finanziari, dalla flessione del settore dell’Intelligenza Artificiale, dalle preoccupazioni di una possibile recessione negli Stati Uniti e dalla stagnazione economica della Germania, ex locomotiva europea in declino da cinque anni.
Nonostante la crisi tedesca, che ha penalizzato alcune aree dell'economia, l’export italiano continua a dimostrarsi altamente competitivo. Nel primo trimestre del 2024, le esportazioni italiane hanno raggiunto i 168 miliardi di dollari, nonostante una flessione dell’1,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Anche il Giappone ha subito un calo simile (-3%), portando il valore delle sue esportazioni al medesimo livello di quelle italiane. Questo risultato colloca l’Italia al quarto posto nel mondo.
A livello globale, la Cina si conferma leader indiscusso con esportazioni pari a 807 miliardi di dollari (+1,5% rispetto al 2023), seguita dagli Stati Uniti con 507 miliardi (-0,3%) e dalla Germania con 436 miliardi (-1,7%). La Corea del Sud ha visto un aumento delle esportazioni dell’8,3%, toccando i 164 miliardi, ma rimanendo dietro l’Italia, che l'aveva già superata nel 2023. La Francia, con 162 miliardi di dollari (-1,7%), segue in settima posizione, mentre il Messico con 143 miliardi (+1,7%), il Canada con 139 miliardi (-1,8%) e il Regno Unito con 131 miliardi (+3,9%) completano la top ten.
Mai prima d’ora l’Italia aveva eguagliato il Giappone in termini di esportazioni, un risultato dovuto in parte alla svalutazione dello yen, che ha ridotto il valore del commercio estero giapponese. Tuttavia, questo primato è anche frutto di una costante crescita delle esportazioni italiane negli ultimi anni, a partire dal 2016, con l’unica eccezione del 2020, segnato dalla pandemia. Nel primo trimestre del 2014, l'export italiano era inferiore di ben 38 miliardi di dollari rispetto a quello giapponese; oggi, invece, si è allineato. La vera sfida sarà mantenere questo livello per il resto del 2024, dato che le esportazioni giapponesi nel 2023 si sono attestate a 717 miliardi di dollari contro i 677 miliardi italiani, in rapida crescita.
Il confronto con altri grandi esportatori offre una visione interessante: nel 2014, l’Italia aveva esportazioni pari a quelle del Regno Unito, ma inferiori rispetto a Giappone, Francia e Corea del Sud. Nel 2021, l'Italia ha superato la Francia, nel 2023 la Corea, e nel 2024 ha raggiunto il Giappone. Un traguardo di grande rilievo, soprattutto considerando che il Giappone ha una popolazione doppia rispetto all’Italia ed è da tempo un modello di eccellenza industriale.
Questo successo non è casuale, ma frutto di un lungo processo di trasformazione del settore manifatturiero italiano, che ha investito in nuove tecnologie, robotica e innovazione, ampliando le proprie specializzazioni
Nel 1998, anno in cui venne pubblicato uno dei primi studi sul Made in Italy, l’Italia occupava la sesta posizione tra i maggiori esportatori mondiali. L’avvento della Cina nel 2000 fece scivolare l’Italia all’ottavo posto, dietro anche al Canada. Tuttavia, grazie a un costante recupero, l’Italia è tornata alla settima posizione nel 2002 e ha riconquistato il sesto posto nel 2007. Nonostante l’ascesa della Corea del Sud, che nel 2011 aveva superato il nostro Paese, l’Italia è riuscita a riprendere terreno, raggiungendo il quinto posto nel 2023 e surclassando oggi il Giappone al quarto posto.
L'economia italiana in crescita, ma le previsioni per il 2024 si affievoliscono
Nel secondo trimestre del 2024, il PIL italiano è cresciuto dello 0,9%, con un incremento dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Tuttavia, l'Istat ha rivisto al ribasso la stima della crescita per l'intero 2024, ora fissata allo 0,6%, contro lo 0,7% previsto a luglio. Il governo aveva inizialmente previsto una crescita dell'1%, sostenuta anche dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio. La domanda interna si è mantenuta stabile, mentre le esportazioni e importazioni sono calate. L’economia subisce l'impatto della debolezza della domanda estera, specialmente dalla Germania. Anche i settori agricolo e industriale soffrono, rispettivamente con contrazioni dell'1,7% e dello 0,5%.
La crescita del PIL è stata sostenuta principalmente dalla domanda nazionale, con un apporto positivo dello 0,1% dai consumi delle famiglie e dagli investimenti fissi lordi. Tuttavia, la spesa delle amministrazioni pubbliche ha sottratto lo 0,1% alla crescita. Le scorte hanno contribuito positivamente per lo 0,4%, mentre la domanda estera netta ha inciso negativamente per lo 0,3%.
Il Fiscal drag su lavoro e risparmi gonfia le entrate fiscali
Secondo i dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF), nel 2024 le entrate fiscali saranno superiori alle previsioni di quasi 27 miliardi di euro. Un aumento simile si era già verificato due anni fa, sotto il governo Draghi, quando la crescita inattesa del PIL aveva generato maggiori entrate, una parte delle quali fu utilizzata per finanziare sussidi a copertura del caro energia.
Il surplus di entrate previsto è dovuto principalmente a un incremento di 9 miliardi di euro derivante dall'Irpef pagata dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. A questa cifra si aggiungono 6 miliardi provenienti dall'Ires, l'imposta sui redditi delle società, e altri 4 miliardi dalle imposte sostitutive, come la flat tax per gli autonomi. Al contempo, si prevede un calo delle entrate IVA, mentre 10 miliardi saranno trasferimenti da Cassa Depositi e Prestiti. L’aumento non deriva però da un minore evasione, ma è frutto dell’inflazione acquisita e il conseguente, non immediato, aumento dei salari che alza l’imponibile fiscale, cioè quanto viene calcolato per il pagamento delle tasse. Sostanzialmente lo Stato, con l’inflazione, aumenta il proprio introito fiscale in termini assoluti, senza però effettivamente modificare le regole tributarie. Ciò risulta anche confermato dalla diminuzione del versamento IVA, segno di una diminuzione dei consumi proprio per effetto dell’inflazione.
Allarme UE sui ritardi dei fondi del PNRR: rischio di rallentamenti irreversibili
La Corte dei Conti dell'Unione Europea ha lanciato un avvertimento riguardo ai ritardi nell'erogazione dei fondi e nell'attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr). Le richieste di pagamento pervenute entro la fine del 2023 risultano infatti "molto inferiori" rispetto a quanto stabilito negli accordi iniziali. Questo rallentamento potrebbe rendere impossibile recuperare i ritardi entro la scadenza del programma. In particolare, per l'Italia, il 62% degli investimenti previsti dovrà essere completato entro il 2026, mentre nei soli ultimi otto mesi prima della scadenza del piano, dovranno essere realizzate il 28% delle misure (obiettivi e tappe) e gestito il 19% dei fondi, a causa di una concentrazione delle riforme nella fase iniziale del programma.
In vista delle discussioni sul prossimo bilancio UE, che si terranno nell'autunno del 2024 con la nuova Commissione Europea, si sta valutando la possibilità di introdurre modifiche ai fondi per il periodo 2028-2034. Tra queste modifiche potrebbe essere incluso un meccanismo che colleghi i fondi di coesione all'implementazione di riforme. Tuttavia, come anticipato dal Financial Times, questi negoziati saranno complessi e probabilmente vedranno un forte disaccordo tra i 27 Stati membri, soprattutto da parte di Paesi che beneficiano maggiormente dei fondi di coesione, come Slovacchia, Ungheria e le Repubbliche Baltiche.
A livello europeo, entro il 2026 dovrà essere realizzato il 39% degli investimenti e il 14% delle riforme. L’Italia, con il suo 62% di investimenti da completare, è sopra la media europea, mentre la Spagna dovrà realizzare il 30% degli investimenti e la Polonia il 70%. Ivana Maletic, responsabile dell’audit UE, ha sottolineato l'importanza di assorbire tempestivamente i fondi del Pnrr per evitare colli di bottiglia verso la fine del ciclo di vita del dispositivo e ridurre il rischio di inefficienze e spese irregolari. Attualmente, a metà del percorso, i Paesi dell'UE hanno utilizzato meno di un terzo dei finanziamenti disponibili e hanno completato meno del 30% dei 6.000 obiettivi e traguardi prefissati.
C'è quindi il rischio che molte delle misure previste non siano completate in tempo. In molti Paesi, tra cui l'Italia, si è data priorità alle riforme rispetto agli investimenti, ma secondo la Corte dei Conti UE, concentrare gli investimenti nella parte finale del piano potrebbe aggravare ulteriormente i ritardi. Inoltre, non sempre l’erogazione dei fondi corrisponde alla quantità e all'importanza delle misure completate, con il rischio che vengano assegnate risorse significative senza che le relative azioni siano realmente concluse.
Infine, la Corte ha chiarito che la normativa non prevede il recupero dei fondi se gli obiettivi vengono raggiunti, anche se le misure non sono completamente attuate. Tuttavia, qualora fosse concessa una proroga, Maletic ha sottolineato che la Corte non si opporrebbe, a patto che le risorse siano utilizzate correttamente e non sprecate.
- L’Italia supera il Giappone nell’export: un primato storico per il Made in Italy
- L'economia italiana in crescita, ma le previsioni per il 2024 si affievoliscono
- Il Fiscal drag su lavoro e risparmi gonfia le entrate fiscali
- Allarme UE sui ritardi dei fondi del PNRR: rischio di rallentamenti irreversibili