Le principali Confindustrie europee chiedono una agenda per la crescita dell'UE

Le associazioni industriali di Francia, Germania e Italia – MEDEF, BDI e Confindustria – si sono incontrate a Parigi il 21 novembre durante il Trilateral Business Forum, in un momento cruciale per il futuro economico europeo. L’obiettivo è chiaro: unire le forze per spingere l’Unione Europea ad adottare misure decisive per colmare il crescente divario competitivo con altre potenze globali, in particolare gli Stati Uniti. La necessità di una nuova agenda per la crescita è urgente, considerando che dal 2010 l’economia statunitense è cresciuta del 37,5%, mentre quella europea solo del 20,9%. Le sfide non mancano: alti costi energetici, burocrazia eccessiva, investimenti insufficienti e una frammentazione del mercato europeo stanno frenando la competitività dell’industria dell’UE.

Durante l’incontro, i leader di MEDEF, BDI e Confindustria hanno lanciato una serie di richieste concrete alle istituzioni europee e ai governi nazionali. Tra le proposte principali figura l’adozione di un "Catch-up Test", un confronto sistematico con gli Stati Uniti per individuare le principali lacune politiche e correggerle entro un anno. 

Per i rappresentanti industriali, è prioritario affrontare il problema dei costi energetici, che in Europa sono circa il doppio rispetto agli Stati Uniti. Hanno chiesto un approccio tecnologicamente neutrale per sostenere ogni forma di energia a basse emissioni, incluse fonti rinnovabili, nucleare e idrogeno, e un miglioramento delle infrastrutture energetiche per aumentare la stabilità e incentivare gli investimenti.

Un’altra richiesta riguarda la necessità di ridurre la burocrazia e i costi di conformità. Dal 2019, l’UE ha prodotto un numero di atti normativi sproporzionato rispetto agli Stati Uniti, un eccesso che rallenta la competitività e aumenta il carico amministrativo per le imprese. I rappresentanti hanno proposto una revisione delle normative esistenti, l’introduzione di test di competitività per ogni nuova legge e l’eliminazione delle regolamentazioni obsolete. Sul fronte dell’innovazione, i leader delle tre Confindustrie hanno insistito sulla necessità di incrementare gli investimenti in ricerca e sviluppo fino al 3% del PIL entro il 2026, riallocando i fondi del Quadro Finanziario Pluriennale (MFF) per finanziare tecnologie avanzate in settori chiave come l’intelligenza artificiale e la biotecnologia.

Infine, è emersa con forza l’urgenza di sbloccare gli 800 miliardi di euro individuati nel Rapporto Draghi per rafforzare il sistema finanziario europeo. Tra le azioni proposte ci sono l’accelerazione dell’Unione dei Mercati dei Capitali, l’espansione degli strumenti di finanziamento pubblico e un maggiore sostegno agli investimenti privati attraverso progetti strategici comuni tra gli Stati membri.

Per i rappresentanti di Francia, Germania e Italia, le prossime settimane saranno decisive. Le richieste avanzate puntano non solo a rafforzare la competitività dell’Europa, ma a preservarne l’autonomia strategica e il modello sociale.

La COP29 di Baku e il futuro dei crediti di carbonio

Alla COP29 di Baku, i negoziati sul clima hanno segnato un passo importante con la definizione dell'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che disciplina gli scambi internazionali dei crediti di carbonio. Nonostante il risultato deludente sui finanziamenti dai paesi ricchi a quelli in via di sviluppo, l'introduzione di nuove regole per i crediti di carbonio potrebbe rappresentare una svolta per la cooperazione globale nella lotta al cambiamento climatico.

I crediti di carbonio, unità che rappresentano una tonnellata di CO2 equivalente rimossa dall’atmosfera o evitata, possono essere scambiati per compensare le emissioni prodotte altrove. L’articolo 6 stabilisce due meccanismi distinti: il comma 2, che regola gli scambi bilaterali tra paesi, e il comma 4, che istituisce un sistema supervisionato dalle Nazioni Unite per certificare e garantire la qualità dei crediti. Questo sistema, denominato Meccanismo per i crediti dell’accordo di Parigi (PACM), introduce criteri rigorosi per certificare le attività che generano crediti e impone che rispettino obiettivi di sviluppo sostenibile, sia economici che sociali.

Un elemento innovativo del PACM è la creazione di un fondo finanziato dal 5% del valore dei crediti scambiati, destinato a iniziative contro il cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, il sistema prevede l'obbligo di "assicurazioni" per proteggere i progetti da eventi avversi, come incendi nelle foreste utilizzate per generare crediti. Nonostante questi progressi, le regole del PACM entreranno in vigore solo dal 2025, e rimangono dubbi sull’effettiva implementazione e trasparenza degli scambi bilaterali regolati dal comma 2, dove i paesi possono decidere autonomamente se rispettare le indicazioni delle Nazioni Unite.

I mercati volontari dei crediti di carbonio, utilizzati da molte aziende per migliorare la propria immagine ambientale, hanno attirato negli anni critiche sulla loro affidabilità. Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, meno del 16% dei crediti analizzati ha effettivamente portato a una genuina riduzione delle emissioni. Le nuove regole introdotte dal PACM potrebbero migliorare questo quadro, ma resta da vedere se saranno adottate anche nel mercato volontario.

La vera portata delle decisioni prese a Baku emergerà nei prossimi anni, quando sarà chiaro se le nuove regole contribuiranno a far crescere il mercato dei crediti di carbonio. L’IETA, un’associazione di settore, stima che entro il 2030 il mercato regolato dall’articolo 6 potrebbe raggiungere un valore di 250 miliardi di dollari, contro meno di un miliardo registrato nei mercati volontari nel 2023. Tuttavia, queste previsioni ottimistiche dipenderanno dalla volontà politica e dalla capacità di implementare i meccanismi decisi a Baku.

Per ora, la COP29 verrà ricordata come un primo passo verso una regolamentazione più chiara e rigorosa dei mercati internazionali dei crediti di carbonio, ma resta molta strada da fare per garantire che questi strumenti diventino un complemento efficace nella lotta al cambiamento climatico globale.

Via libera dall'UE alla legge di bilancio dell'Italia, ma con alcuni rischi

La Commissione Europea ha approvato il Piano strutturale di bilancio (Psb) e il Documento programmatico di bilancio (Dpb) presentati dal governo italiano. Bruxelles ritiene che il Psb soddisfi i requisiti del nuovo Patto di stabilità, descrivendo il piano come un "percorso fiscale credibile" in grado di garantire una riduzione sostenibile del debito pubblico. Anche il Dpb ottiene una valutazione positiva, definito "in linea con le raccomandazioni" grazie alla proiezione di una spesa netta entro i limiti stabiliti. "Un giudizio atteso, frutto di una politica economica seria", ha commentato il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti.

Non tutti i Paesi membri hanno ottenuto risultati altrettanto positivi. I Paesi Bassi sono stati l’unico Stato tra i 21 esaminati a vedersi bocciare il proprio Psb, con Bruxelles che ha chiesto un percorso di spesa più coerente. Anche il Dpb olandese non ha passato l’esame, considerato "non in linea con le raccomandazioni di spesa". Tra i Paesi che hanno ricevuto osservazioni per mancata coerenza, figurano Germania, Estonia, Finlandia e Irlanda, mentre Lussemburgo, Malta e Portogallo sono stati criticati per la mancata riduzione dei sussidi energetici. La Lituania, infine, è stata segnalata come "a rischio di non conformità" per quanto riguarda la spesa.

Per quanto riguarda l'Italia, la Commissione giudica il quadro macroeconomico su cui si basano le proiezioni del Dpb "in linea con le previsioni comunitarie per il 2024 e il 2025". Le stime italiane indicano una crescita del Pil dell’1,2% nel 2025, leggermente superiore all’1% previsto dalla Commissione nelle sue proiezioni autunnali. Tuttavia, Bruxelles nota alcune differenze, attribuibili a un riporto meno favorevole per il 2024 e a previsioni più basse sulla domanda interna, in particolare per gli investimenti.

Un aspetto critico riguarda i rischi al ribasso per il raggiungimento degli obiettivi fiscali del 2025 indicati nel Dpb. Questi rischi derivano dalle misure annunciate sul fronte della spesa, che potrebbero influenzare negativamente il percorso di riduzione del deficit e del debito. Nonostante ciò, l’approvazione della Commissione rappresenta un segnale positivo per l’Italia, che vede riconosciuti gli sforzi di programmazione economica del governo.

Banco BPM respinge l’OPS di UniCredit ma permangono le critiche del Governo

Banco BPM ha ufficialmente rifiutato l’offerta pubblica di scambio (OPS) di UniCredit, pari a 10,1 miliardi di euro, definendola "non coerente con la redditività sottostante e il potenziale di creazione di valore per gli azionisti". L’offerta, presentata lunedì, proponeva un premio dello 0,5% rispetto alla chiusura del titolo BPM di venerdì, ma rappresentava uno sconto del 7,6% rispetto alla chiusura di lunedì, influenzata dal rialzo del titolo a seguito della notizia.

Accettare l’OPS attiverebbe per Banco BPM la "Passivity Rule" italiana, che vieta alla società oggetto di un’offerta di attuare azioni strategiche senza l’approvazione dell’assemblea straordinaria. Ciò bloccherebbe operazioni già avviate da BPM, tra cui l’acquisizione di Anima Holdings per 1,6 miliardi di euro e l’acquisto del 5% di Monte dei Paschi di Siena (MPS) dallo Stato italiano. UniCredit punta a concludere l’operazione entro giugno 2025, ostacolando il piano industriale 2023-2026 di BPM.

L’offerta di UniCredit ha scatenato reazioni politiche. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato che l’operazione è stata "comunicata, ma non concordata con il governo", e ha ventilato l’uso del "golden power", che consente allo Stato di imporre veti su acquisizioni strategiche. Matteo Salvini, dal canto suo, ha accusato UniCredit di non essere più una banca italiana e ha sottolineato l’importanza di mantenere BPM e MPS come entità autonome per creare un terzo polo bancario nazionale.

Andrea Orcel, CEO di UniCredit, ha spostato l’attenzione sull’Italia dopo aver messo in stand-by la potenziale acquisizione della tedesca Commerzbank, ostacolata dalla recessione economica in Germania e dalle imminenti elezioni politiche. L’OPS su BPM appare più una mossa tattica: un’offerta destinata al rifiuto per attivare la Passivity Rule e frenare l’espansione di BPM. Orcel ha descritto l’operazione come parte dell’ambizione di rafforzare UniCredit come player europeo, sottolineando che l’offerta su BPM è "indipendente" dall’investimento in Commerzbank. Tuttavia, il piano ha incontrato opposizione sia da BPM sia dal governo e dall’arena politica.

Giuseppe Castagna, CEO di BPM, ha respinto l’offerta evidenziando i gravi impatti. In una lettera ai dipendenti, ha denunciato che l’acquisizione comporterebbe oltre 6.000 esuberi e una riduzione di un terzo dei costi. Ha inoltre criticato il rischio di diluire la presenza territoriale di BPM in Lombardia, spostando il focus verso aree meno sviluppate e con maggiori rischi geopolitici.

La vicenda mette in luce le profonde divergenze tra interessi economici, strategici e politici legati al sistema bancario italiano. Con un governo pronto a intervenire e un clima politico teso, il futuro di BPM e la strategia di espansione di UniCredit rimangono incerti.

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