Meloni vede il primo Ministro greco e ribadisce la vicinanza all’Ucraina
Un incontro per “elevare ancora di più il livello della cooperazione” sull'asse Roma-Atene, per siglare una serie di accordi tra l'esecutivo italiano e quello ellenico, ma anche un'occasione per affrontare i principali dossier dell'agenda europea e soprattutto internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina e dalla crisi in Medioriente. A distanza di otto anni torna il Vertice intergovernativo Italia-Grecia, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha accolto a Villa Doria Pamphilj il primo ministro Kyriakos Mitsotakis. Nella dichiarazione congiunta siglata al termine, i due leader hanno riaffermato il sostegno agli sforzi “per raggiungere una pace giusta e duratura in Ucraina il prima possibile e per la sicurezza, la sovranità e l'indipendenza” di Kiev. “Siamo determinati a contribuire al risanamento, alla ripresa e alla ricostruzione dell'Ucraina, anche in vista della Conferenza sulla ricostruzione dell'Ucraina”, hanno scritto Meloni e Mitsotakis, facendo riferimento all'appuntamento in programma a Roma il 10-11 luglio.
“Entrambi siamo stati fin dall'inizio a fianco dell'Ucraina e lo saremo fino alla fine”, ha ribadito la premier al termine del bilaterale, richiamando quelle “garanzie di sicurezza efficaci per Kiev” indispensabili per la fine della guerra. “Attendiamo una chiara risposta russa alla richiesta di un cessate il fuoco immediato e incondizionato, alla quale l'Ucraina ha immediatamente aderito, così come l'Ucraina ha accetto subito di incontrare Putin a Istanbul giovedì, chiarendo in pochi minuti rispetto a una certa propaganda quale tra le parti coinvolte nel conflitto sia certamente a favore della pace, e quale invece sia ancora una volta responsabile della guerra. Aspettiamo di vedere quale sarà la risposta russa”. Anche perché, come ricordato dal vicepremier e Antonio Tajani, “tutta la responsabilità oggi è nelle mani di Putin”.
La Lega tenta l’allungo sui salari. Gelo FdI
Un nuovo tipo di contratto fatto su misura per gli under 30. Parte dai giovani la proposta con cui la Lega punta a dare una risposta alla problematica dei salari troppo bassi, un’iziativa che prenderà la forma di un disegno di legge e arriverà nei prossimi giorni alle Camere. La mossa rende ancora più caldo il dossier salari, tornato alla ribalta dopo gli ultimi dati dell'Istat sulle retribuzioni reali ancora dell'8% inferiori a quelle del 2021 e il monito lanciato alla vigilia della Festa dei Lavoratori dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sul tema la maggioranza procede un po' in ordine sparso e sulla proposta della Lega c'è il gelo di FdI: “Prima di parlare di altro, va terminata la delega salari al Senato”, avvertiva nei giorni scorsi il presidente della commissione Lavoro della Camera Walter Rizzetto. FI ha già presentato un proprio ddl che prevede una defiscalizzazione dell'aumento dei contratti collettivi per tre anni.
La Lega però accelera. “Presenteremo il ddl sui giovani, a prima firma Toccalini, in settimana in Parlamento”, fa sapere il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. “L'obiettivo è quello di creare “un nuovo contratto di inserimento che metta fine agli stage o ai tirocini sottopagati”, per la prima assunzione a tempo indeterminato di under 30, con flat tax al 5% per cinque anni per redditi fino a 40mila euro. In più per l'imprenditore che assume un'esenzione dal pagamento dei contributi per i primi 36 mesi. Flat tax al 5% anche per favorire invece il rientro dei lavoratori in Italia, con un contratto rimpatri, per gli under 36 fino a 100mila euro lordi di reddito l'anno. La misura verrebbe rivolta al settore privato, ma con una deroga per medici e infermieri.
Sulle coperture, la Lega rassicura: le risorse si troveranno. In questo clima intanto la maggioranza riapre il cantiere della delega sull'equa retribuzione: il testo, approvato oltre un anno fa alla Camera e poi arenatosi in Senato, ha interamente sostituito la proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo. Il testo arriverà in Aula a Palazzo Madama “entro maggio”, assicura la ministra del Lavoro Marina Calderone, spiegando che “c'è la piena convinzione di Governo e maggioranza di andare avanti spediti”. E guardando alle proposte della Lega, Calderone non esclude un “coordinamento” tra le proposte del partito di Matteo Salvini “con la delega che stiamo portando a compimento”.
Tra opposizioni e maggioranza è scontro sulla Rai e sui referendum
Le opposizioni prendono di mira la Rai perché non fornirebbe un'adeguata informazione sui referendum dell'8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza e attaccano la maggioranza per gli inviti all'astensione; insomma, le polemiche restano. Fanno invece meno rumore le questioni di merito, i distinguo fra alleati e dentro i partiti, tanto che, stavolta, è stato Giuseppe Conte a parlare con spirito unitario: “Non mi sembra che le forze principali di opposizione, come la nostra, vadano in ordine sparso. Abbiamo preso chiaramente posizione per quanto riguarda il referendum”, ha detto. Pd e Avs sono per 5 “Sì”, il M5S è per il “Sì” ai referendum sul lavoro e lascia libertà sulla cittadinanza. Altre scelte per i centristi, Azione e Iv: “No” ai referendum sul lavoro, “Sì” alla cittadinanza. Anche se, Matteo Renzi ha spiegato che “cercare di non far raggiungere il quorum è legittimo”.
E infatti, ha poi aggiunto, “penso che il referendum” sul jobs act “non avrà il quorum”. Per l'astensione spinge il centrodestra (tranne Noi Moderati, che è per 5 “No”). Sulla Rai è intervenuto il Pd, col responsabile Informazione della segreteria Sandro Ruotolo: “TeleMeloni ha spento il servizio pubblico. La Rai segue la linea di Palazzo Chigi e del presidente del Senato, la seconda carica istituzionale: non votare”. E Angelo Bonelli, deputato di Avs: “I quesiti referendari sono stati praticamente cancellati dal dibattito pubblico e televisivo, come se non esistessero”. I componenti Pd della Commissione Vigilanza hanno annunciato un'interrogazione “per sapere perché la Rai non sta facendo il suo dovere e chi ha deciso di tenere i cittadini all'oscuro. Il servizio pubblico non può trasformarsi nello strumento di propaganda della maggioranza”.
Il Governo fa muro sul Mes, le opposizioni attaccano
Il Governo continua a fare muro sul Mes. Il nuovo pressing dell'Eurogruppo viene respinto e Matteo Salvini chiarisce che la Lega “non ratificherà mai” la modifica al Meccanismo europeo di stabilità, e anzi propone di “riprenderci i nostri 15 miliardi”. Nessun ripensamento neppure da FdI, perché è “uno strumento inadeguato”. E FI, che si astenne quando a fine 2023 il centrodestra in Parlamento bocciò la ratifica, ora preferisce la linea del prendere tempo: “Non è una priorità” dice Antonio Tajani, “ora la priorità è costruire la pace”. In quest'ottica si attende di capire se decollerà un negoziato fra Ucraina e Russia sulla proposta di cessate il fuoco, che ha preso corpo anche dopo la missione dei Volenterosi a Kiev, cui Giorgia Meloni ha partecipato solo in videocollegamento.
Tornando al Mes, l'Italia è l'unico dei 20 Paesi a non aver ratificato le modifiche, che non possono essere operative, incluso il cosiddetto backstop pensato per contenere i rischi di contagio in caso di crisi bancarie. Le opposizioni contestano la linea dell'esecutivo. Piero De Luca (Pd) chiede che sia calendarizzata in Commissione Affari esteri la proposta di ratifica: “Si mette in pericolo la tenuta finanziaria dell'Ue danneggiando gravemente la credibilità internazionale dell'Italia”. “Salvini vuole distruggere l'Ue con Afd, Le Pen, Orban” è il commento del leader di Azione Carlo Calenda: “C'è un piccolo dettaglio: senza l'Ue, l'euro e la Bce, l'Italia è fallita”. Dal M5S avanzano un sospetto: “Il Governo sta provando a barattare il sì al Mes con una proroga del Pnrr, oppure con la possibilità di usarne le risorse per spese militari” ma l’ipotesi di una partita doppia Mes/Pnrr è stata smentita a più riprese dall'esecutivo.
Il tema Mes, comunque, non dovrebbe essere fra quelli (Gaza, sanità, lavoro) toccati dalle opposizioni nelle interrogazioni a Meloni al premier question time di oggi pomeriggio alla Camera. La presidente del Consiglio da mesi non si esprime sulla questione. A inizio 2024 spiegò che il 'no' dell'Aula poteva “diventare un'occasione per trasformare” quello “strumento obsoleto” in “qualcosa di più efficace”. Di certo il Governo sta trattando in Ue sugli strumenti per aumentare le spese per la difesa. “La richiesta di prestiti tramite lo strumento Safe dovrebbe essere valutata attentamente, considerando l'impatto sulle finanze pubbliche” ha sottolineato Giancarlo Giorgetti all'Ecofin, “per questo sosteniamo l'esplorazione di ulteriori opzioni, tra cui l'utilizzo di fondi del settore privato e la possibilità di estendere il dispositivo per la ripresa e la resilienza oltre il 2026, per aumentare il margine di bilancio a disposizione degli Stati membri per rispondere all'esigenza di aumentare la spesa per la difesa”.
Sui referendum le opposizioni scenderanno in piazza. L’Agcom richiama la Rai
Opposizioni in piazza per i referendum dell'8 e 9 giugno. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni il 19 maggio parteciperanno a Roma all'iniziativa della Cgil dal titolo “Il voto è libertà”, contro l'astensionismo. La mossa dei leader di Pd, M5S e Avs, annunciata con una nota congiunta, è una risposta alla “propaganda” degli esponenti di centrodestra, che invitano gli elettori a disertare le urne. La battaglia si combatte su più fronti, anche su quello dell'informazione: da giorni, i promotori dei referendum polemizzano con la Rai, accusandola di oscurare i quesiti, una posizione di fatto avallata dall'Agcom, con un richiamo al servizio pubblico e a tutte le emittenti affinché venga garantita un'informazione “completa, imparziale e corretta”. L'intervento dell'Autorità di garanzia è arrivato poche ore dopo la nota con cui la Rai aveva assicurato di aver dedicato “numerosi spazi” ai referendum, malgrado il “momento complesso, segnato dalla scomparsa di Papa Francesco e dalla successiva elezione di Papa Leone XIV, che hanno polarizzato l'attenzione dei media”.
Col passare dei giorni, lo scontro politico si fa più aspro. “La maggioranza di Governo ha aperto una campagna che intossica il dibattito pubblico” hanno scritto i leader di Pd, M5S e Avs nella nota congiunta, “L'invito ad astenersi e rimanere a casa mina la salute della nostra democrazia, già pesantemente provata da politiche liberticide e repressive promosse dal Governo Meloni” ed è “un atto di sabotaggio antidemocratico”. Dopo il Ministro degli Esteri Antonio Tajani e il presidente del Senato Ignazio la Russa, nelle ultime ore sono stati il vicepremier Matteo Salvini e il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida a fare campagna per l'astensionismo, posizioni che hanno alimentato numerosi botta e risposta fra maggioranza e opposizioni.
Tensione alla Camera durante il Premier Question Time. Lite Meloni-Schlein
Si è tenuto il tanto atteso premier question time alla Camera e non è mancata la tensione tra Giorgia Meloni e le forze di opposizione, prima con Giuseppe Conte sul piano di riarmo e su Gaza e poi con Elly Schlein, con cui va in scena un duro botta e risposta sulla sanità. I toni si alzano, le accuse reciproche non si risparmiano, anche se a fare innervosire particolarmente la Premier sono le parole della segretaria del Pd. Il Transatlantico nell'attesa si riempie, più di cronisti che di deputati. In Aula, infatti, non c'è il pienone, anzi, di banchi vuoti se ne registrano anche nelle file della maggioranza, a partire dai due vicepremier: se Antonio Tajani è in missione in Turchia, Matteo Salvini, che in mattinata aveva convocato una conferenza stampa proprio alla Camera, viene avvistato nel pomeriggio al Foro Italico agli internazionali di tennis, più o meno mentre la premier sta intervenendo. Il dibattito comincia soft: la Meloni interpellata dal suo stesso partito annuncia che a Palazzo Chigi si insedierà un gruppo di lavoro sul disagio giovanile. Poi assicura attenzione alle minoranze linguistiche che chiedono più rappresentanza al Parlamento europeo.
Poi tocca ad Angelo Bonelli, per Avs, chiedere conto della posizione del governo su Gaza e sulla proposta di Benjamin Netanyahu di entrare nella Striscia con la forza. Meloni per la prima volta prende esplicitamente le distanze sul punto “non abbiamo condiviso diverse scelte e non condividiamo le recenti proposte del Governo israeliano e non abbiamo mancato di dirlo ai nostri interlocutori” ma spiega che per l'esecutivo la via rimane il dialogo “con tutti”, “aperto, franco” e pure “critico” e proprio per questo Roma non ha “intenzione di richiamare” l'ambasciatore in Israele. Definisce anche la situazione a Gaza “sempre più drammatica e ingiustificabile” ma le sue parole non placano l'indignazione delle opposizioni che si alzano tutte in piedi quando Giuseppe Conte chiede di alzarsi per condannare “in silenzio questo sterminio”. Gli occhi sono tutti sulla Meloni che non si alza attirandosi urla di “vergogna” dai banchi delle minoranze.
Il quesito del leader M5S era in realtà sul piano di riarmo Ue e la premier ha gioco facile nel ricordare a Conte di quando da presidente del Consiglio aveva “aumentato le spese per la difesa”. Ma forse, ironizza tagliente “era un altro Giuseppi”. La stessa verve la Meloni la mette anche nel controbattere alla Schlein che la accusa di volere una “sanità a misura di portafogli”, una vera “tassa Meloni”: il fondo sanitario, insiste la presidente del Consiglio, non ha mai avuto tanti fondi come oggi, “10 miliardi in più” del 2022, aumenti che “il Pd non si è mai sognato di fare”. Poi rivendica appunto di avere arginato il fenomeno dei “medici a gettone”, cui ribatte subito Schlein: “Non è mai stata in un ospedale, i medici a gettone ci sono ancora”. Meloni si è poi soffermata lungamente sui risultati dell'economia e alla lotta al green deal ideologico, anche grazie alla ritrovata sintonia con la Germania del Cancelliere Friederich Merz.
Alla Camera il Governo ottiene la fiducia sul decreto Albania
Ieri l'aula della Camera ha approvato, con 192 voti a favore, 111 contrari e 4 astenuti, la fiducia posta dal Governo sul decreto sicurezza, provvedimento che modifica il protocollo firmato tra la premier Giorgia Meloni e l'omologo Edi Rama ormai un anno e mezzo fa. Il decreto estende la platea agli stranieri già in Italia colpiti da provvedimenti di trattenimento (non solo quindi per extracomunitari richiedenti asilo intercettati in acque internazionali). Il trasferimento in Albania sarà possibile senza che venga meno il trattenimento e senza che sia richiesta una nuova convalida.
D'altronde era stata la stessa premier a dicembre del 2024 ad affermare alla kermesse di FdI dal palco di Atreju: “I centri funzioneranno, funzioneranno. Dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del Governo italiano, funzioneranno”. In sede di esame degli emendamenti in commissione Affari costituzionali, sono state approvate alcune proposte presentate dalla relatrice Sara Kelany (Fdi) che vanno ulteriormente in questa direzione: se il migrante, trasferito nei centri in Albania, dovesse presentare domanda di protezione, cambiando quindi il suo status giuridico, non sarà riportato in Italia se vi siano “fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione internazionale sia stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del respingimento o dell'espulsione”; lo stesso in caso poi di mancata convalida del trattenimento in presenza di una domanda di asilo di cui si sospetta che sia stata presentata a scopo dilatorio. Tra le novità introdotte anche la proroga al 31 dicembre 2026 delle deroghe ad alcune disposizioni di legge per l'individuazione, l'acquisizione o l'ampliamento dei Cpr e la cessione a Tirana a titolo gratuito di “due motovedette della classe 400 Cavallari”.
La maggioranza ha difeso l'operazione ritenendo i centri in Albania parte “fondamentale” dell'azione messa in piedi dal Governo “contro l'immigrazione illegale” e per incrementare i rimpatri nel solco del nuovo Patto europeo per la migrazione e l'asilo. Di “vero abisso del diritto, in violazione della Costituzione” ha parlato la deputata democratica Rachele Scarpa, annunciando il voto contrario del Pd.
Il decreto cittadinanza è al rush finale. Tensione nella maggioranza
Il decreto che riforma la cittadinanza sulla base dello ius sanguinis è alle battute finali. Ma alla vigilia del primo voto al Senato, la Lega sembra mettersi di traverso: il partito di Matteo Salvini garantisce comunque lealtà ma i dubbi restano, condivisi con il Maie, il movimento degli italiani all'estero, generalmente schierato con la maggioranza e che stavolta è pronto a votare contro. Altro terreno scivoloso, nel centrodestra, è il decreto sicurezza da sempre sponsorizzato dalla Lega, osteggiato per mesi dalle opposizioni e con il peso delle riserve del Quirinale sulle norme più controverse. Sul decreto cittadinanza la crepa non è nuova, si era aperta a fine marzo, portando allo scontro aperto tra leghisti e azzurri. Intento della norma del Governo è mettere un freno al boom di richieste di cittadinanza bollato come “un mercato illegale”, secondo i più critici, fiorente soprattutto in Brasile. Il Carroccio è d'accordo, ma si distanzia sulla nascita in Italia come requisito per chiedere la cittadinanza.
Per i leghisti, il rischio è che possa aprire la strada allo ius soli, favorendo anche le richieste degli stranieri in Italia. Nei giorni scorsi si è trovata un'intesa, facendo sparire quel punto dal testo, ma i mal di pancia però sono tornati, complice il pressing degli italiani all'estero e il loro battage contro il decreto. Ora pomo della discordia, nella maggioranza, è lo stop all'acquisizione della cittadinanza italiana per i figli di emigrati all'estero che, in base al decreto, è ammessa solo per chi ha ascendenti “esclusivamente” italiani e per due generazioni. Insomma, niente doppia cittadinanza che invece sarebbe la condizione della quasi totalità dei connazionali oltre confine. Un altro stop alla legge è venuto dal ministero dell'Economia guidato da Giancarlo Giorgetti su un emendamento di FdI: bocciato perché imponeva il certificato di conoscenza dell'italiano a quanti vogliano mantenere la cittadinanza, se nati e residenti all'estero con genitori o nonni con doppia cittadinanza. Secondo i rilievi della relazione tecnica, c'erano costi aggiuntivi per i controlli richiesti agli Uffici consolari, ma anche il rischio di “disparità difficilmente giustificabili” tra italiani fino all'ipotesi estrema di creare apolidi.
L’Italia è stata esclusa dai partner strategici della Germania. Ira del Governo
Italia sarebbe stata esclusa dagli alleati strategici della Germania nel nuovo patto di coalizione di governo su input della Spd: un’indiscrezione del quotidiano tedesco Die Welt che rimbalza da Berlino a Roma scatena l'ira del Governo, perché si tratta secondo Tommaso Foti di un “atto gravissimo”, anzi, come dice Antonio Tajani, di una vera e propria “scelta antieuropea”. Così si apre in poche ore anche un nuovo terreno di scontro interno con le opposizioni, colpevoli, agli occhi dei meloniani, di restare in silenzio davanti ad un “sabotaggio” politico. “È inutile che i socialisti dicano di essere europeisti” quando “cercano di dividere l'Europa che deve invece in questo momento essere unita”, rimarca Tajani, convinto che il cancelliere tedesco Friederich Merz, esponente della Cdu e della famiglia dei popolari come FI, “certamente vuole avere un ottimo rapporto con l'Italia”. Il caso esplode proprio a ridosso del primo incontro tra Giorgia Meloni e il successore del socialdemocratico Olaf Scholz che sarà a Roma nel fine settimana in occasione dell'insediamento di Papa Leone XIV.
La prima ad alzare il dito è la vicecapogruppo Fdi alla Camera Augusta Montaruli, che in Aula a Montecitorio chiede che l'esecutivo “venga a relazionare su una vicenda in cui l'Italia sarebbe stata danneggiata dalla Spd, e quindi dagli alleati e da quella famiglia politica di cui fa parte il Pd e l'opposizione al governo Meloni”. Sono i dem e il loro “silenzio”, come stigmatizza anche il presidente dei deputati Galeazzo Bignami, nel mirino dei meloniani e la questione potrebbe essere posta, alla ricerca di un chiarimento, già alla Capigruppo della prossima settimana. “Ci interessa capire”, spiega un big di Fdi, “se il Pd condivida o no questa mossa”, perché “confermerebbe che per la sinistra italiana viene prima l'antimelonismo che l'interesse nazionale”. In sostanza “o il Pd lo sapeva ed è grave, o non lo sapeva” e deve dichiarare alla presenza del Governo “se intenda fare le dovute rimostranze ai cugini politici”, perché l'esecutivo possa “far tesoro delle conclusioni di questa discussione nei rapporti con il Governo tedesco”.
Nel lungo articolo della Welt si ricostruisce la vicenda che avrebbe portato all'esclusione italiana dalla lista di Paesi con cui Berlino ha rapporti strategici. Nella bozza di accordo la Cdu aveva proposto di citare, oltre a Francia e Polonia, anche altri partner come la Repubblica Ceca e, appunto, l'Italia. Ma per volontà dei socialdemocratici tedeschi il Belpaese sarebbe stato depennato dalla lista, anche se gli stessi popolari tedeschi parlerebbero di un “errore”, ricordando che con Roma i rapporti sono stretti anche grazie al Piano d'azione firmato nel 2023.
Meloni ha sentito Papa Leone XIV: “Sosteniamo gli sforzi di pace”
L'apprezzamento e il sostegno agli sforzi della Santa Sede per la pace e la disponibilità a proseguire il lavoro avviato con Francesco sullo sviluppo etico dell'Intelligenza artificiale sono i due principali messaggi di Giorgia Meloni a Leone XIV nella prima telefonata con il nuovo Papa, a ridosso della messa per il suo insediamento di domenica, che porterà a Roma diversi Capi di Stato e di Governo, inclusi il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro del Canada Mark Carney e il presidente del Libano Joseph Aoun, con cui la premier avrà incontri sabato a Palazzo Chigi, come successo con altri leader in occasione delle esequie di Bergoglio. Al nuovo pontefice (che in queste ore ha sentito anche il francese Emmanuel Macron), la presidente del Consiglio ha rinnovato “le felicitazioni, personali e del Governo”, sottolineando “il legame indissolubile che unisce l'Italia al Vicario di Cristo”. Ha poi fatto riferimento sulla necessità che cessino i “conflitti in tutti gli scenari di crisi dove le armi hanno preso il posto del confronto e del dialogo”.
Le crisi in Ucraina e in MO saranno inevitabilmente al centro dei colloqui. Sabato scorso Kiev è stata la meta della missione di Merz con la coalizione dei Volenterosi per un vertice cui Meloni ha preso parte solo in videocollegamento. Questa volta, dopo il summit della Comunità politica europea cui parteciperanno entrambi a Tirana, si vedranno faccia a faccia sabato pomeriggio e sarà l'occasione per un punto sui rapporti bilaterali. Le tensioni mediorientali e la stabilizzazione del Libano si annunciano argomenti del confronto con Aoun, mentre quello con Carney arriva a un mese dal summit dei leader del G7 che il Canada ospiterà a giugno, a un anno da quello ospitato dall'Italia in Puglia, con la storica prima presenza di un pontefice alla sessione sull'Intelligenza artificiale. Meloni spera di portare avanti il persorso, rinnovando a Leone XVI “la disponibilità dell'Italia a continuare a lavorare, insieme alla Santa Sede, per uno sviluppo etico e al servizio dell'uomo dell'intelligenza artificiale”.
L'Ue e gli Usa sono pronte a nuove sanzioni alla Russia
Un pacchetto di nuove sanzioni durissime, questa volta in coordinamento con gli Stati Uniti e costruite in modo da colpire anche i Paesi terzi: l'Europa è pronta a passare a un nuovo contrattacco nei confronti di Mosca, questa volta con la sponda dell'amministrazione Trump. Vladimir Putin, è questo il comune obiettivo di Bruxelles e Washington, va portato al tavolo negoziale. E se, come sembra, i colloqui di Istanbul non saranno altro che un confuso incipit di dialogo, l'Occidente è pronto a mettere nuove sanzioni economiche sul tavolo. Ad Antalya, a margine della riunione dei ministri degli Esteri della Nato, si è parlato anche di questo. Il senatore americano Lindsey Graham ha avuto un incontro con il Quintetto, formato da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia; è lui che, pochi giorni fa, ha messo in campo un disegno di legge che prevede dazi al 500% sulle importazioni negli Stati Uniti dai Paesi che acquistano greggio, prodotti petroliferi, gas naturale e uranio dalla Russia, una mossa che determinerebbe un colpo mortale all'elusione delle sanzioni finora attuata dal Cremlino con la sponda dei Paesi non allineati sulla guerra in Ucraina. Parigi, Berlino e Roma hanno già anticipato di voler concordare le nuove sanzioni con Washington: “Dobbiamo coordinare la nostra azione perché più la situazione economica russa è complicata, meno possono pagare i militari che, ripeto, guadagnano il doppio di quello che guadagna qualsiasi lavoratore russo”, ha sottolineato il Ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il pacchetto “includerà sanzioni sul petrolio e sulle istituzioni finanziarie”, ha spiegato il ministro francese per gli Affari Ue Jean-Noel Barrot. Si tratta, per ora, di misure solo minacciate ma è vero che Donald Trump, negli ultimi giorni, ha mostrato segni di chiara irritazione nei riguardi di Putin. Ed è anche vero che la recente missione a Kiev di Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer e Donald Tusk ha riacceso il motore europeo sul sostegno all'Ucraina, con la ratifica del 17esimo pacchetto di sanzioni prevista già martedì prossimo.
Vannacci e Sardone sono i nuovi vice di Salvini: la Lega si blinda
Come preannunciato nei giorni scorsi, il generale Roberto Vannacci e Alessandra Sardone affiancheranno Matteo Salvini come vicesegretari della Lega. Le scelte sono state ufficializzate nel pomeriggio di ieri al Consiglio federale del Carroccio, il primo convocato a un mese dal Congresso di Firenze che ha confermato Salvini leader per la terza volta, allungandone il mandato fino al 2029. Le nomine allargano il numero di vice a quattro, grazie a una modifica dello statuto approvato ad aprile, e che di fatto blindano il partito: “Sono molto soddisfatto”, commenta al volo Salvini. Poi conferma gli altri due vicesegretari Alberto Stefani e Claudio Durigon, uno espressione della Liga veneta, l'altro del centrosud, mentre ad Andrea Crippa, cui tocca lasciare la poltrona di vice, preannuncia “un ruolo rilevante per il bene della Lega”: tradotto, secondo fonti leghiste, potrebbe proporgli il coordinamento delle segreterie territoriali. Ma niente di ufficiale, per ora.
Riguardo a Vannacci e Sardone, la loro promozione è un premio alla fedeltà: pur con carriere diversissime, entrambi sono molto vicini a Salvini. Ed è un riconoscimento delle preferenze: alle ultime Europee, i consensi raccolti dai due, sommati, hanno superato quota 600 mila. Rispetto al legame territoriale Vannacci è più debole come ha evidenziarlo, tra le righe, Luca Zaia: “Rispetto le scelte del segretario e resto geneticamente legato al fatto che noi dobbiamo rappresentare le istanze del popolo”. Più freddo è apparso Giancarlo Giorgetti: “Se lavorerà bene saremo soddisfatti”. Certo è che, secondo alcuni della vecchia guardia, l'approdo con tanto di tessera e ruolo nella Lega adesso lo rende più “controllabile”. Che ci sia fermento nella Lega non si può negare, anche se è ancora tutta da vedere.
Le opposizioni si mobilitano per i referendum e attaccano su TeleMeloni
La segretaria Pd Elly Schlein ha riunito al Nazareno i segretari regionali per fare il punto sulle iniziative nei territori: “Siamo tutti mobilitati”. E il presidente del M5S Giuseppe Conte ha approfittato del tour elettorale in Emilia-Romagna per rilanciare l'appuntamento dell'8 e 9 giugno: “È una grande occasione, non andare a votare è una follia”. Il fronte del centrodestra è invece fermo sull'invito all'astensione (solo il partito Noi Moderati non è allineato, voterà tutti “No”), sposato anche dal governatore del Veneto Luca Zaia: “Non parteciperò alla formazione del quorum come hanno fatto loro per altre cose ad esempio per il mio referendum sull'autonomia. Ognuno è libero, io dico quello che faccio”. A tenere banco, dunque, è ancora il rischio di mancato quorum, con i promotori dei quesiti che accusano il servizio pubblico di “boicottare” l'appuntamento referendario. A rilanciare le accuse sono stati i senatori del M5S che, in Aula a Palazzo Madama, durante l'intervento del capogruppo Stefano Patuanelli hanno esposto cartelli con scritto: “Referendum oscurato, democrazia silenziata”.
Anche il Pd è tornato a battere sul ferro: “Il Governo ha paura che si raggiunga il quorum e la Rai tace” ha scritto il responsabile Informazione del partito Sandro Ruotolo, “è diventata TeleMeloni, abdica alla sua funzione pubblica e diventa megafono dell'astensionismo. È indecente”. E il deputato Pd Marco Saracino, anche lui della segreteria: “I dati Agcom sugli spazi informativi dedicati da Rai e Mediaset ai referendum sono allarmanti: meno dell'1% del tempo nei telegiornali e nei talk. Questo oscuramento mediatico è inaccettabile”. Avs è sulla stessa linea. Lunedì le opposizioni saranno in piazza a Roma con la Cgil: Schlein, Conte, i leader di Avs Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, oltre ai promotori dei referendum, il segretario della Cgil Maurizio Landini e quello di Più Europa Riccardo Magi. Faranno “propaganda” ai quesiti, ai quattro sul Lavoro, che di fatto mirano ad abolire il jobs act, e a quello sulla cittadinanza.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 12 maggio, tra i partiti del centrodestra riprende la proprio crescita Fratelli d’Italia che guadagna uno 0,3% e sale al 30,4%. In seconda battuta il Partito Democratico perde terreno, lasciando 0,1 punti e scendendo al 22,4%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che perde lo 0,2% e scende all’12,0%. RImane stabile la Lega (8,6%) mentre cresce di 0,1 punti Forza Italia, che si attesta all’8,5%. Nella galassia delle opposizioni, AVS continua a crescere, guadagnando 0,1 punti e attestandosi al 6.5%. I centristi vengono rilevati singolarmente con Azione (3,5%), IV (2,8%) e +Europa (1,7%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni di Noi Moderati all’1,0%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM) segna +0,4% rispetto alla scorsa settimana, salendo al 48,4%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,9% delle preferenze rimanendo stabile; fuori da ogni alleanza, il M5S, perde 0,2 punti e si attesta all’12,0%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno neutro, confermandosi all’8,0%.
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