Landini vede Pd, M5S e Avs per rilanciare la mobilitazione sui referendum

Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha iniziato il tour per lanciare la volata ai 5 quesiti referendari dell'8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza. In un giorno ha incontrato i leader di PdM5S e Avs; il primo obiettivo è coinvolgere le opposizioni in una campagna d’informazione e di invito al voto: se alle urne non andrà almeno il 50% degli aventi diritto, la consultazione sarà nulla, e il rischio che succeda c'è. Per Landini “C'è un impegno comune per questa battaglia. Sappiamo che la meta del quorum è impegnativa, ma può essere raggiunta”. Certo è che fra le forze politiche non c'è totale sintonia sui quesiti: malgrado il sostegno convinto di Elly Schlein, nel Pd ci sono posizioni diverse su quelli che riguardano il lavoro, mentre il M5S lascerà libertà sul referendum promosso da Più Europa per ridurre da 10 a 5 anni il tempo necessario per la cittadinanza italiana. Da tempo, anche con proposte di legge, il Movimento lavora a un'altra via, lo ius Scholae

Sintonia totale, invece, fra Landini e Avs: “Diciamo cinque sì pieni e convinti” hanno spiegato Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. È probabile che la traversata del segretario della Cgil fra i partiti sia agli sgoccioli: né quelli di centrodestra né Azione appaiono particolarmente interessati ai quesiti. L'incontro fra Landini e Italia viva c'è stato la scorsa settimana, ma l'argomento centrale sono stati i dazi; il leader Matteo Renzi non ha partecipato, fra lui e il segretario della Cgil c'è stata una telefonata. D'altronde, i referendum puntano ad abrogare una delle misure simbolo del governo Renzi, il jobs act. “Abbiamo chiesto incontri a tutte le forze politiche” ha spiegato Landini “ma la risposta delle forze di governo non l'abbiamo ancora avuta. Noi pensiamo che qualsiasi forza politica debba dire ai cittadini di andare a votare. Poi assuma e decida se votare sì, se votare no”. 

Nonostante i maldipancia sul jobs act, Schlein ha garantito a Landini l'appoggio del Pd, con la mobilitazione anche delle “articolazioni territoriali” del partito: “Il Pd sosterrà i 5 referendum. È pronto a dare il suo contributo per agevolare la più ampia partecipazione al voto. Si vota per dei referendum che vogliono contrastare la precarietà, aumentare la sicurezza di chi lavora nel Paese. E andremo a votare anche per affermare il diritto di cittadinanza”. Nei mesi scorsi, però, l'ala riformista del Pd non ha nascosto le perplessità sul referendum contro il jobs act. La segretaria ha tirato dritto, ma senza arrivare allo scontro: “Non chiediamo abiure a nessuno”, ha detto. 

Da FdI iniziano le pressioni sul dopo Zaia in Veneto

“Se FdI non chiedesse per sé la Regione Veneto sarebbe un'occasione mancata. E poi non sarebbe tragedia se il Veneto non andasse alla Lega, così come non lo sarebbe senza più Zaia, che riconosco essere amatissimo, e con il quale ho lavorato molto bene”. Così l'europarlamentare Elena Donazzan, ex assessore, oggi europarlamentare del partito di Meloni, vede lo scenario delle prossime regionali in Veneto, dove il centrodestra non ha ancora scelto quale partito esprimerà il candidato a Palazzo Balbi, né tanto meno il nome. Donazzan parla degli scenari più probabili nel voto del prossimo autunno. “I veneti hanno una visione politica molto conservatrice, prima la Dc, poi Forza Italia, infine la Lega. Oggi sono con Fratelli d'Italia; gli elettori hanno dato due mandati chiari a Giorgia Meloni. In Veneto FdI è stato di gran lunga il primo partito nelle ultime politiche e nelle scorse europee. 

È gente pragmatica, con forte senso del merito, e in queste due tornate ha premiato una donna e un partito che, unici rispetto agli altri, si sono smarcati dal gruppone del Governo Draghi”. La seconda ragione, “è che per FdI la regione più importante d'Italia è il Veneto. E qui hanno capito che Meloni è la più pragmatica di tutti, impegnata nel realizzare un partito produttivista, non centralista come dice certa narrazione. Questo è un mandato politico. Oggi Meloni intercetta l'esigenza del mondo produttivo veneto di essere rappresentato, per questo c'è stato un forte travaso di voti verso di noi. È una tendenza che sta ancora crescendo. Credo, insomma, che il Veneto meriti di essere chiesto da FdI, perché ha la classe dirigente (faccio nomi di Speranzon, De Carlo, Urso) e perché ha un progetto politico”. Parole sulle quali la Lega non ha ribattuto ma che di sicuro sono destinate a generare non poco dibattito interno alla maggioranza

L'Ue vuole l'intesa con gli Usa ma è pronta anche a no deal

A Bruxelles restano su due punti fermi: l'Europa continua a essere fermamente convinta di un'intesa con gli Stati Uniti e, contemporaneamente, pienamente consapevole che quest'intesa potrebbe non esserci. In mezzo c'è una trattativa difficile, finora dai contorni poco chiari e spesso dalle caratteristiche poco usuali. “Faremo tutto il possibile per giungere a un esito positivo” nei negoziati con gli Usa sui dazi, “ma in parallelo dobbiamo prepararci allo scenario potenziale di un mancato accordo”, ha spiegato il commissario Ue alla Giustizia Michael McGrath aggiornando la linea di Palazzo Berlaymont. In questo quadro ci sono diversi aspetti sul tavolo di Ursula von der Leyen; il primo è legato al bilaterale tra Meloni e Trump e alle eventuali richieste che il secondo recapiterà alla prima di cui alcune non possono che riguardare tutta l'Ue, una, su tutte, l'impegno dell'Europa a tagliare ulteriormente i rapporti commerciali con Pechino

Una simile richiesta da parte dell'amministrazione Trump andrebbe a complicare non poco il faticoso tentativo di Ue e Cina di riaprire un canale commerciale che, da diversi mesi, è ormai ai minimi termini. I segnali, da entrambe le parti, sono stati tangibili e il vertice tra Ue e Cina previsto in Oriente nella seconda di metà di luglio è visto come una tappa cruciale per il futuro delle loro relazioni. Sui dossier commerciali l'Ue resta pronta a venire incontro alle richieste americane: “Noi stiamo trattando per evitare una guerra economica. Il commercio fra Ue e Usa produce il 40% della prestazione economica globale”, ha sottolineato in un'intervista a Spiegel il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. L'offerta principe resta la stessa: zero dazi sui beni industriali e sulle auto ma il punto, per Bruxelles, resta la poca chiarezza della controparte. 

Prima di Meloni, a volare a Washington è stato il ministro delle Finanze spagnolo, Carlos Cuerpo. Il bilaterale con il segretario al Tesoro Scott K.H. Bessent non è andato bene. Gli Usa, nella nota al termine dell'incontro, hanno parlato di colloquio “franco” e hanno sottolineato le loro richieste a Madrid: più spese nella difesa nel contesto della Nato e stop alla tassa sui servizi digitaliimposta da alcuni Paesi come appunto la Spagna. È un diktat di fronte ai quali difficilmente i 27 sceglieranno di abbassare la testa, anzi, di fronte all'America di Trump l'Ue ha l'urgenza di presentarsi come nuovo “baricentro di un commercio aperto” per dirla come l'ex commissario Paolo Gentiloni. E perfino la prudente von der Leyen, in un'intervista a Zeit, pur senza mai esplicitamente attaccare Trump martedì ammetteva come la relazione con gli Usa sia “complicata”. 

L’Ue accelera sulla lista dei Paesi sicuri. Meloni: avevamo ragione

Bruxelles accelera sull'attuazione del Patto sulla migrazione e l'asilo. In attesa dell'entrata in vigore del pacchetto, previsto per giugno 2026, l'Ue gioca di anticipo su due elementi riguardanti le procedure d'asilo. Il primo è la soglia di riconoscimento del 20%, ovvero la possibilità per gli Stati membri di applicare la procedura alla frontiera o una procedura accelerata alle persone provenienti da Paesi in cui, in media, il 20% o meno dei richiedenti ottiene protezione internazionale nell'Ue. Il secondo è la creazione di una lista di Paesi sicuri di origine a livello Ue, che diventa vincolante per i 27. La mossa, spiega la Commissione Ue, punta ad aiutare gli Stati “a trattare più rapidamente ed efficacemente le domande di asilo per i richiedenti i cui ricorsi potrebbero essere infondati”. Soddisfatta la premier Giorgia Meloni: “Si tratta di fattispecie che consentono di attivare le procedure accelerate di frontiera ai migranti che arrivano da determinate Nazioni, come previsto dal Protocollo Italia-Albania”. 

Per la Premier “se oggi anche in Europa ci si pone come priorità la difesa dei confini esterni, il contrasto all'immigrazione irregolare di massa, il rafforzamento della politica dei rimpatri e l'attuazione di partenariati paritari con i Paesi di origine e transito, lo si deve per buona parte alla determinazione e alla caparbietà dell'Italia”. Viene poi introdotta la possibilità che la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro possa essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili. La designazione a livello dell’Ue dovrebbe quindi permettere di superare alcune divergenze tra gli elenchi nazionali e garantire l'applicazione uniforme del concetto di Paese di origine sicuro da parte di tutti gli Stati membri nei confronti dei richiedenti asilo.

Nell'elenco proposto dalla Commissione figurano: Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco, Tunisia, ma anche tutti i Paesi candidati all'adesione: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia, Ucraina; a questi si unisce anche il Kosovo come candidato potenziale. La presenza di alcuni Stati in cui non sono garantiti a pieno i diritti ha sollevato più di una critica, ma la Commissione assicura di essersi basata sulle analisi dell'Agenzia dell'Ue per l'asilo e su altre fonti, comprese le informazioni provenienti dagli Stati membri, dall'UNHCR e dal Servizio per l'Azione esterna

Milano divide il centrodestra. Tajani punta a un civico. Ipotesi Lupi

La consapevolezza è che, questa volta, non si può più sbagliare. Anche per questo il futuro candidato sindaco per Milano divide il centrodestra. Il nome che sarebbe emerso con forza nella cena prepasquale a casa del presidente del Senato Ignazio La Russa sarebbe quello del presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi, un profilo politico - come vorrebbe FdI -  conosciuto in città, con cui non si rischierebbe di drenare troppi voti ai partiti, come potrebbe fare invece un civico con la sua lista. Lo stop arriva però da Forza Italia: “Abbiamo rispetto per tutti i nomi fatti, persone di prestigio, ma siamo convinti che serva un candidato civico, se vogliamo vincere” dice il segretario azzurro Antonio Tajani. Secondo il vicepremier, il futuro di Milano “non si decide a cena”. E comunque “non credo che il miglior candidato possa essere un politico. Se politicizziamo lo scontro, facciamo un regalo alla sinistra”. È una lettura che Noi Moderati, con il coordinatore lombardo Alessandro Colucci, rimanda al mittente. In questo quadro FdI rilancia chiedendo spazio agli alleati nella corsa delle regionali: “I sondaggi ci danno oltre il 30%, è naturale che un grande partito aspiri a governare una regione del Nord. Abbiamo posto questo tema, non è un risiko politico ma una richiesta legittima e sensata. Troveremo come sempre una soluzione”, la posizione di FdI espressa da Luca Ciriani, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Ma Tajani è convinto che “anche a Milano si vince al centro” e ci tiene a sottolineare, davanti alle mire di FdI, che il candidato “non lo decide un partito, si sceglie collegialmente”. A casa La Russa si sarebbe parlato anche di un possibile ticket tra Maurizio Lupi e Andrée Ruth Shammah, direttrice artistica del Teatro Franco Parenti. Il leader della Lega Matteo Salvini, che nel 2021 dava le carte sulle comunali e che non sposò la candidatura di Lupi, fa sapere di aver già parlato con persone “di spessore” per Milano, e questa volta a guidare sarà FdI.

Meloni vede Trump che presto verrà a Roma per trattare con l’Ue sui dazi

L'obiettivo minimo Giorgia Meloni l'ha raggiunto: Donald Trump ha accettato l'invito a fare una visita in Italia e in quell'occasione potrebbe “considerare” di partecipare a un incontro con l'Unione Europea. Però il Presidente Usa non ha cambiato idea sui dazi che “ci stanno arricchendo”. Sono le 12.00 (le 18.00 italiane) quando la presidente del Consiglio varca il cancello della Casa Bianca. Trump la accoglie definendola “great person”. È il primo dei complimenti che rivolge a una “fantastica persona” che “sta facendo un ottimo lavoro” e con cui la “relazione è ottima”. L'incontro si apre con un pranzo di lavoro aperto alle delegazioni: dal lato americano del tavolo, oltre al presidente siedono il vice J.D. Vance, che vedrà la Meloni a Roma, il consigliere per la sicurezza Michael Waltz, il segretario al Tesoro Scott Bessent, il segretario alla Difesa Pete Hegseth; per l'Italia ci sono il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, il consigliere militare Franco Federici e l'ambasciatrice Mariangela Zappia. A sorpresa, la stampa viene fatta entrare per delle brevi dichiarazioni. 

La premier è visibilmente tesa, consapevole della posta in gioco: “Io credo che potremmo raggiungere un accordo” sui dazi, dice, “sono qui proprio per questo”. Certo, precisa, “non posso fare un accordo nel nome dell'Ue, il mio scopo è invitare il presidente a un dialogo ufficiale con l'Italia e capire se, quando verrà, ci potrà essere anche un incontro con l'Ue”, un invito che poi Trump accetta. Però, parlando dei dazi nello Studio Ovale, non rinnega la sua strategia: “No, i dazi ci stanno arricchendo, stavamo perdendo tanti soldi con Biden, miliardi di dollari sul commercio, adesso la marea è cambiata”. Con la Ue, anche se non lo dice, sembra restare grande diffidenza: quando un cronista gli chiede se conferma di considerare gli europei “parassiti”, la premier interviene dicendo che “non l'ha detto” e anche Trump fa mostra di stupore: “Non l'ho detto, non so di cosa state parlando”. Comunque, concede, “ci sarà al 100% un accordo sui dazi con l'Ue”. Altro tema al centro dell'incontro sono le spese per la difesa: la premier anticipa che al prossimo summit Nato, in programma a giugno, l'Italia annuncerà la volontà di “aumentare le spese al 2% come richiesto”, troppo poco per il tycoon che la gela: “Non è mai abbastanza”. 

Per lui la richiesta è già salita al 5%. L'Europa, assicura Meloni, “è impegnata a fare di più, sta lavorando sugli strumenti per aiutare gli Stati membri ad aumentare le spese per la difesa. Siamo convinti che tutti debbano fare di più”. Nel lungo spray, le dichiarazioni congiunte allo Studio Ovale; qualche imbarazzo lo crea una domanda sull'Ucraina: ai due viene chiesto conto del fatto che Trump dia sostanzialmente la colpa dell'inizio della guerra a Volodymyr Zelensky. La Meloni mantiene il punto sulla posizione italiana: “Penso che ci sia stata un'invasione e che l'invasore fosse Putin e la Russia. Ma oggi quello che è importante è che insieme vogliamo lavorare e stiamo lavorando per arrivare in Ucraina a una pace giusta e duratura. Sono sforzi su cui abbiamo condiviso anche oggi il nostro lavoro”. Da parte sua il presidente assicura che “non do la colpa al presidente Zelensky, ma non sono un suo fan”. Sul tavolo del bilaterale, la premier mette, anche, gli interessi economici reciproci: “Le imprese italiane, come fanno da molti anni, investiranno qui nei prossimi anni circa 10 miliardi e questo mostra quanto siano interconnesse le nostre economie. Questo è molto importante, non si tratta solamente dell'Italia, si tratta dell'Europa”. 

Inoltre “l'Italia dovrà aumentare le importazioni di gas liquefatto” dall'America “e anche sul nucleare stiamo cercando di svilupparci e su questo dovremo lavorare insieme”. Hanno parlato anche di collaborazione in ambito aerospaziale, “ma non di Starlink” assicura la presidente del Consiglio. Glissa invece, evitando una domanda, sui rapporti strategici con la Cina, tema quantomai spinoso nei rapporti con Washington. Piena sintonia sulla questione dei migranti, su cui il tyconn loda la sua interlocutrice. La visita si conclude quindi nel segno di quello che la premier chiama “nazionalismo occidentale”, espressione forse non “corretta”, dice, se non nel senso che occorre “lavorare e rendere l'Occidente più forte” nel segno “dell'unità dell'Occidente”: si deve parlare “francamente” e incontrarsi “a metà strada”, rafforzando “entrambe le sponde dell'Atlantico”. 

Von der Leyen punta all’intesa con gli Usa

A Bruxelles gli occhi sono tutti puntati sullo Studio Ovale dove di svolge il bilaterale tra Giorgia Meloni e Donald Trump, missione che, nell'inner circle di Ursula von der Leyen, è stata inserita nella categoria dei “facilitatori” per una distensione tra Europa e America. I segnali, da Washington, non sembrano essere stati negativi. Da Trump non è giunto il solito attacco frontale, anzi. Nelle pieghe delle dichiarazioni alla stampa sembra essersi aperto lo spiraglio per una vera trattativa e per un summit a Roma, tra il presidente americano, “il suo miglior alleato” in Europa e, forse, anche i vertici comunitari. La presidente della Commissione, a stretto giro, dovrebbe tornare a sentire Meloni per un aggiornamento su quanto accaduto alla Casa Bianca. 

Nel frattempo, nessuno si è spinto a commentare il bilaterale di Washington. A microfoni spenti nessuno, a Bruxelles, pensa che la trattativa sui dazi sia diventata improvvisamente in discesa: “Il negoziato resta lungo, l'Europa resta impegnata per un'intesa”, è il refrain che veniva ripetuto a Palazzo Berlaymont. Qualcosa, tuttavia, ora potrebbe essere cambiato perché quell'assicurazione, arrivata dal presidente americano, su un accordo sui dazi tra Ue e Stati Uniti è un passo che non è passato inosservato. E il tempo gioca dalla parte dei pontieri; mancano poco meno di 90 giorni alla fine della cosiddetta “pausa reciproca”: la scadenza cadrà quindi dopo il vertice della Nato all'Aja, quando i Paesi europei sono chiamati ad andare formalmente incontro a una delle richieste di Trump sull'aumento delle spese per l'Alleanza Atlantica. Certo, non basterà. 

I tecnici della Commissione Ue sono da giorni al lavoro sui possibili binari su cui trovare un punto di incontro con la Casa Bianca. Le ipotesi sono diverse: si va dall'aumento dell'import di Gnl americano a quello degli acquisti degli armamenti a stelle e strisce. L'idea dei zero dazi reciproci su beni industriali e automobili lanciata dalla Commissione resta sul tavolo ma, dopo la missione di Meloni a Washington, sembra improvvisamente più marginale. Intanto a Bruxelles, si fa spazio l'ipotesi di un nuovo summit straordinario, tutto su dazi e difesa, da tenersi possibilmente dopo il 6 maggio, quando la Germania avrà finalmente il suo Governo. 

A Parigi si riuniscono gli inviati di Usa e Ucraina al tavolo dei volenterosi

Prove di dialogo a Parigi dove si sono riuniti, su iniziativa dei “volenterosi”, europei, uomini di Trump e Ministri di Zelensky. Obiettivo: “Una tregua in tempi rapidi e una pace solida e duratura” in Ucraina. In uno scenario di grande tensione mondiale, anche tra Stati Uniti ed Europa, è stata “un'occasione importante”, ha sottolineato Emmanuel Macron. Lo scopo del cosiddetto “formato E3” (Francia-Gran Bretagna-Germania) è di riportare l'Europa in primo piano al tavolo della pace, dopo essere stata messa ai margini dall'irruzione di Donald Trump. Intanto il presidente americano, incontrando la premier Giorgia Meloni, ha chiarito il suo pensiero sulle responsabilità di una guerra e ha quindi aggiunto che “molto presto avremo notizie dalla Russia”, aprendo a una missione di pace europea in Ucraina: “Le missioni di pace sono sempre benvenute”. Nella capitale francese, intanto, si sono succeduti gli incontri, a partire dal pranzo di lavoro all'Eliseo tra Macron, il segretario di Stato americano Marco Rubio, e l'inviato per il Medio Oriente di Donald Trump Steve Witkoff

Il pranzo è stato seguito da un vertice che ha visto intorno al tavolo Macron, Marco Rubio, Steve Witkoff, il Ministro degli esteri francese Jean-Noel BarrotKeith Kellog, inviato speciale degli Usa per l'Ucraina e la Russia, Jonathan Powell, consigliere per la sicurezza nazionale della Gran Bretagna, quello tedesco Jens Plotner, il capo di gabinetto di Zelensky Andriy Yermak, il Ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha, e quello della Difesa Roustem Umerov. A fine pomeriggio, si è unito ai lavori David Lammy, segretario di stato britannico. “Quello di oggi è stato un lavoro eccellente” hanno commentato dall'Eliseo “uno scambio di qualità, sulla sostanza, con forte convergenza sui temi di una tregua immediata e di una pace solida e duratura, oltre che sulle garanzie di sicurezza per l'Ucraina. Continueremo a Londra la settimana prossima”.

Arrivano le nomine nelle partecipate a partire da Autostrade e Snam

La politica ha deciso sulle nomine delle partecipate in scadenza. Un cambio netto arriva per la guida di Autostrade per l'Italia, alla quale approda il tandem Giana-Turicchi, e per Snam nella quale si collocano Agostino Scornajenchi nel ruolo di amministratore delegato e Alessandro Zehentner come presidente. Vengono confermati invece i vertici di Fincantieri mentre per Italgas rimane l'amministratore delegato Paolo Gallo che viene affiancato alla presidenza da Paolo Ciocca, economista di lungo corso tra Bankitalia e Consob che ora ricopre lo stesso incarico in Open Fiber. La girandola di nomi e poltrone appare un cambio della guardia legato alla nuova maggioranza politica.

Questo appare evidente soprattutto nella società Trevi - Finanziaria Industriale, nella quale insieme al futuro ad Giuseppe Caselli viene indicato come presidente Antonio Maria Rinaldi, un economista euroscettico, che si dichiara sovranista e che nel passato è stato eletto con la Lega al Parlamento Ue. Come detto, Agostino Scornajenchi, che guiderà Snam, ha una lunga carriera nel settore energia; ora lascia l'incarico di amministratore delegato di Cdp Venture Capital ma ha ricoperto l'incarico di Cfo in Terna, Engie, Aceaelectrabel ed ha lavorato anche in Enel nel controllo di gestione. Prende il posto di Stefano Venier, superesperto di gas dal profilo d’ingegnere che ha guidato la società e gestito la difficile transizione dalle forniture russe a quelle dei rigassificatori, tra i protagonisti della messa in sicurezza energetica dell'Italia. 

In Snam, poi, arriva come presidente Alessandro Zehntner, originario di Merano, ora nel Cda di Enel, che è vicino a FdI: si è candidato per due volte nella circoscrizione estero alla Camera e al Senato mancando però l'elezione; prende il posto di Monica De Virgiliis. Una conferma arriva ai vertici di Fincantieri, Biagio Mazzotta ex ragioniere dello Stato rimane presidente e Pierroberto Folgiero Ad, mentre per Italgas, a fianco dell'Ad Paolo Gallo che viene affiancato alla presidenza da Paolo Ciocca, economista nel passato in Bankitalia e Consob, ma già da tempo impegnato in società e attualmente è presidente di Open Fiber. Autostrade per l'Italia ha invece tenuto la propria assemblea e nominato Antonio Turicchi presidente; Arrigo Giana è invece stato inserito nel Cda che lo nominerà amministratore delegato. Lascerà quindi la guida di Atm Milano. 

È scontro tra Governo e Regioni sulle liste d’attesa

È scontro aperto tra il Governo e le Regioni sulle liste di attesa nella sanità e poco conta che entrambe le parti, al termine della riunione della Conferenza Stato-Regioni, utilizzino lo stesso termine, “rammarico”, per la mancata intesa. Lo scontro si gioca sui poteri sostitutivi, quelli che lo Stato farebbe scattare nel momento in cui le Regioni si dimostrassero inadempienti. Nella riunione i presidenti delle Regioni, all'unanimità, hanno chiesto un rinvio per capire quando scattano quei poteri, quali sono le condizioni per attuarli e come si esce da quello che alcuni governatori non esitano a chiamare commissariamento, richiesta alla quale il Governo, rappresentato dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, ha risposto negando la proroga. Si apre adesso una finestra di 30 giorni affinché le parti trovino una mediazione. Passato questo mese, in caso di mancato accordo, il Governo potrà varare il Dpcm annunciato nei giorni scorsi e le Regioni potranno ricorrere al Tar. 

La rottura non ha solo un sapore tecnico ma anche politico, considerato che a presiedere la Conferenza delle Regioni è il leghista Massimiliano Fedriga, pronto al muro contro muro su questo tema. Dal canto suo il dicastero di Orazio Schillaci ricorda che il decreto “è stato trasmesso alle Regioni il 6 novembre scorso. In questi mesi c'è stata un’interlocuzione costante” e le osservazioni “sono state recepite con spirito di collaborazione”. Dunque “i poteri sostitutivi sono una soluzione estrema in caso di gravi inadempienze” e una “garanzia in più” per i cittadini, non “un'ingerenza nelle competenze delle Regioni”. Dal canto suo la Conferenza delle Regioni sottolinea però che tra i governatori non ci sono state divisioni e che all'unanimità è stata data l'ampia disponibilità al confronto e a trovare soluzioni, anche diverse rispetto alle prime osservazioni inviate al Ministero della Salute. Inoltre mercoledì, nella lettera inviata dalla Commissione Salute della Conferenza, veniva ribadita la richiesta di “definire insieme” i criteri con cui l'esecutivo poteva esercitare i poteri sostitutivi. 

I sondaggi della settimana

Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 14 aprile, tra i partiti del centrodestra frena Fratelli d’Italia che perde uno 0,2% scendendo al 30,0%. In seconda battuta anche il Partito Democratico scende, perdendo 0,3 punti e attestandosi al 22,0%.Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che invece guadagna lo 0,3% e sale all’12,5%. Arretra invece Forza Italia, che perde lo 0,1% (8,8%) mentre rimane stabile la Lega, che si attesta all’8,7%. Nella galassia delle opposizioni, AVS torna a crescere, guadagnando 0,2 punti e attestandosi al 6.4%, mentre i centristi, rilevati singolarmente, con Azione (3,6%)IV (2,7%) e +Europa(1,9%). Chiude il quadro settimanale le rilevazioni con Sud Chiama Nord di De Luca all’1,0%.

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La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI) segna -0,3% rispetto alla scorsa settimana, scendendo al 47,5%.Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,4% delle preferenze con una contrazione di 0,1 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S, guadagna 0,3 punti e si attesta all’12,5%. A chiudere il Centro che registra un buon risultato, guadagnando lo 0,1%, salendo all’8,2%.

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  1. Landini vede Pd, M5S e Avs per rilanciare la mobilitazione sui referendum
  2. Da FdI iniziano le pressioni sul dopo Zaia in Veneto
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